Una risorsa rinnovabile ma non inesauribile

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  Redazione
  10 March 2018
  15 minutes, 34 seconds

A cura di Stefano Sartorio

Questo percorso, che si comporrà di diversi articoli pubblicati periodicamente, è frutto di una ricerca che ho avuto l'occasione di svolgere e grazie alla quale, penso, sono riuscito a comprendere le caratteristiche di un altro fattore fondamentale che oggi e domani condizionerà le Relazioni Internazionali.

La geopolitica e le risorse naturali

La continua ricerca di risorse da parte delle entità internazionali, definibili per la maggior parte all'interno della categoria degli Stati-Nazione, da forza e vigore a quel fenomeno che più volte è stato definito come una “Fame energetica”. Le due rivoluzioni industriali del ‘700 e ‘800 hanno impresso una notevole spinta nei confronti del processo di sviluppo per quanto riguarda lo sfruttamento di determinate risorse naturali per fornire energia. Dal carbone, utilizzato soprattutto per alimentare macchinari a vapore, al petrolio, sostanza altamente infiammabile, scoperta nelle profondità della terra già dagli antichi greci che fungerà però, dal XX secolo in avanti, da risorsa di base per lo sviluppo della modernità tecnologica.

Quello a cui si assiste oggi è senz'altro un aumento della domanda del bene, trainata soprattutto dai paesi in via di sviluppo (tra cui i “Giganti Asiatici” come Cina ed India) e una relativa diminuzione dell’offerta dello stesso. La discrepanza tra quantità disponibile e quantità richiesta dalle diverse economie mondiali, rende questa risorsa di fondamentale importanza. Osservando il fenomeno più da lontano, notiamo che l’acquisizione di risorse per sostenere la crescita di uno Stato diventa un imperativo, tanto da essere inserita all'interno delle prerogative di sicurezza nazionale.

Proprio la così forte incidenza delle risorse naturali sul futuro degli Stati, causando in loro un sentimento di vulnerabilità e di pericolo, dovuto all'eventuale possibilità di trovarsi senza un approvvigionamento di queste ultime, ha reso essenziale lo sviluppo e l’implementazione di una serie di studi sulla loro reperibilità e protezione. Nasce in questo senso la concezione di Geopolitica delle Risorse Energetiche, che studia le relazioni tra la geografia delle risorse naturali ed energetiche con l’azione politica. Origina da queste considerazioni una Geostrategia, che si basa sulle conclusioni degli studi geopolitici per assurgere a dei risultati strategici che possano soddisfare, in questo frangente di analisi, la Sicurezza Energetica. Essa è definibile come la possibilità di un approvvigionamento di risorse che possa essere stabile, abbondante e dal prezzo contenuto.

Questo concetto ha assunto notevole importanza soprattutto successivamente alla crisi energetica degli anni ’70, successiva allo scoppio della guerra del Kippur tra Israele ed Egitto, Siria, i quali questi ultimi furono sostenuti dai paesi membri dell'OPEC (Oil and Petrol Exporting Countries) che fecero lievitare il prezzo del greggio. Oggi la questione della Sicurezza Energetica comprende soprattutto quattro problematiche che si identificano nella sopracitata scarsità crescente delle risorse energetiche collegate all'aumento cospicuo della domanda: i rischi dovuti ad una possibile interruzione dell’offerta, dovuta a questioni climatiche, disastri o guerre; l’utilizzo politico delle risorse energetiche, come accadde appunto nel ’73; la volatilità dei prezzi dovuta alle condizioni appena citate.

La Cina costituisce un altro interessante esempio di geo strategia indirizzata verso la Sicurezza Energetica, ad esempio attraverso le sue azioni in Africa (mediante l’ottenimento dei diritti di sfruttamento) e all'interno del mar cinese meridionale (la Nine Dash Line e la ricerca del petrolio e del gas naturale).
Per identificare una risorsa come tale, è si necessaria la sua utilità alla sopravvivenza dell’essere umano, ma anche la sua disponibilità e reperibilità. Accanto quindi al Metano, Petrolio e altri gas naturali utilizzati per la produzione energetica e il sostentamento del sistema economico odierno troviamo un altro elemento che potrebbe scatenare conflitti e instabilità forse ben peggiori rispetto a quelle causabili da un’improvvisa assenza di risorse minerarie

L’acqua come risorsa

Formata da due molecole di idrogeno e una di ossigeno, l’acqua risulta essere la componente fondamentale per la vita sulla terra. Basti pensare alle civiltà più antiche della storia e al loro rapporto causale con l’acqua; i Babilonesi e la Mesopotamia, la quale prende il nome dalla sua locazione tra i due fiumi principali della regione della Mezzaluna fertile, il Tigri e l’Eufrate; l’Egitto e la venerazione che questo popolo aveva ed ha tutt'oggi nei confronti del fiume Nilo, che ha permesso la colonizzazione umana di un tratto di terra che altrimenti sarebbe rimasto deserto. La civiltà cinese poi, ha avuto origine anch'essa tra due fiumi, il Fiume Giallo (Huang hé) e il Fiume Azzurro (Yangtzè o Chang Jiang).

All'interno di un discorso improntato sulla carenza di risorse energetiche, l’acqua sembra avere poco a che fare se non fosse che la scarsità di una risorsa, energetica o non, pone in essere svariate problematiche. Questo avviene soprattutto dal momento in cui su questa risorsa si basa l’intera popolazione globale. A differenza del petrolio, o dei gas naturali, l’acqua è sostanza prima e assoluta in termini di importanza per la continuazione delle attività umane sulla terra. La consapevolezza della sua caratteristica di rinnovabilità l’ha, per molti secoli, se non fino a qualche anno fa, portata ad essere considerata solo marginalmente. Sempre più frequenti episodi di siccità e contaminazione di questo elemento però hanno allarmato l’opinione pubblica ed i governi che hanno cominciato ad interrogarsi sul suo futuro in termini di disponibilità.

La Geopolitica dell’Acqua, nasce anche da queste considerazioni. Seguendo un percorso molto simile rispetto a quella delle Risorse Energetiche, essa analizza il rapporto tra la geografia e la distribuzione della risorsa all'interno del panorama globale.

Prima di addentrarci all'interno di questo complesso universo, è necessario porre in essere alcune premesse: la Terra è molto ricca di acqua, contando che la quantità in essa presente non diminuisce mai. Essa è sempre la stessa. Attraverso il ciclo solare e la gravità, l’acqua evapora dal mare, e ricade sulla terra sotto forma di pioggia o neve.

Il 71% della superficie terrestre è coperto da acqua, di cui il 97% è salata, il rimanente 3% è acqua dolce proveniente da ghiacciai e nevi perenni (68,9%), falde sotterranee (29,9%) e acque superficiali (1,2%); solo l’1% è acqua accessibile per uso umano.

La risorsa idrica è quindi fondamentalmente dipendente dalle condizioni ed ineguaglianze climatiche che caratterizzano le diverse parti della terra. Le zone polari, ad esempio, sono caratterizzate da bassissime temperature e scarsissime precipitazioni, mentre le zone sotto l’equatore sono caratterizzate da forti piogge e fiumi giganteschi, come il Congo o il Rio delle Amazzoni. Altri luoghi, come in quelli tropicali, i deserti (Sahara, Kalahari) sperimentano altissime temperature e modeste precipitazioni, con un grande fenomeno di evaporazione, che impedisce alla vegetazione di crescere.

La risorsa idrica dipende altresì dai venti, in quanto le precipitazioni sono molto legate ad essi. Il vento soffia sempre da zone di alta pressione a zone di bassa pressione. La circolazione atmosferica è caratterizzata da anticicloni (cellule di alta pressione) che si formano ai tropici e spingono masse d’aria verso destra nell’emisfero Nord e verso sinistra nell’emisfero Sud. Tali movimenti si trasformano in Alisei che si caricano di umidità sugli oceani portando piogge sui litorali alle latitudini temperate e nella zona orientale dei tropici. Sull’equatore gli alisei si incontrano e lo sviluppo impetuoso di aria si traduce in un fenomeno di condensazione, dando vita alle piogge equatoriali.

Oltre a questo, le piogge aumentano con l’altitudine, dando luogo ad immensi ghiacciai quando le temperature raggiungono una certa gradazione sotto lo zero, assumendo un ruolo regolatore per le stagioni più calde. Non per nulla le montagne vengono definite anche “Castelli d’acqua”, intesi come fortezze e serbatoi per contenere e proteggere questa risorsa fondamentale.

Il riscaldamento climatico ha sulla distribuzione dell’acqua un’importanza fondamentale, in quanto la modifica delle temperature ha effetto su ognuno di questi passaggi; con l’aumentare della temperatura, dell’evaporazione e il conseguente aumento del vapore acqueo nell’atmosfera il ciclo dell’acqua potrebbe diventare più dinamico. Le precipitazioni complessive potrebbero aumentare ma con uno spostamento di queste verso le zone più umide poste sotto l’equatore o nell’Asia monsonica, ma sempre meno nell’Africa del Nord, Australe, il Sud ovest degli USA e l’Australia. A breve termine si valuta una desertificazione cospicua nelle aree del mediterraneo e altre aree sub tropicali. Oltre a queste conseguenze dirette sulle precipitazioni, l’aumento delle temperature sarà caratterizzato anche dall’aumento delle tempeste e degli uragani. L’aumento delle temperature potrà dare vita anche a situazioni paradossali: l’Europa Nord-Occidentale potrà sperimentare infatti, in contraddizione con il fenomeno del riscaldamento globale, un crollo delle temperature, dovuto allo scioglimento dei ghiacci della calotta polare che fungono da termoregolatori per la Corrente del Golfo.

L’aumento del livello dell’acqua degli oceani è un altro problema collegabile al riscaldamento climatico: il calore dilata l’acqua causando un’espansione termica. In più lo scioglimento dei ghiacci continentali, di quelli montani e delle calotte polari giocheranno un ruolo senza dubbio importantissimo.

Attraverso le considerazioni precedenti, possiamo capire quale sia l'importanza di una risorsa come l'acqua e come essa possa modificare le relazioni tra Stati e potenze. Partendo dalle premesse già messe in luce nel precedente articolo, capiamo ora cosa significhi avere potere sull'approvvigionamento idrico e sul suo corso.

In questa situazione di stress climatico l’acqua risulta il bene o la risorsa che più viene influenzata. Lo stress idrico (1700 m3/ab/annui) e la penuria idrica (1000 m3/ab/annui) riguardano oggi il 30% della popolazione mondiale e si prevede un aumento di questa percentuale al 40% della popolazione mondiale entro il 2050 (2500 m3/ab/annui è la soglia ottimale). I paesi più colpiti da questa sorgente di instabilità sono quelli contenuti all'interno del così detto “triangolo della sete” che vede costruirsi i suoi angoli attraverso i paesi della Mongolia, Yemen e Marocco. Alcune zone del mondo sono costrette a vivere con meno di 100 m3/ab/annui, come in Kuwait. In paesi così minacciati da una totale scarsità di risorse idriche, si deve obbligatoriamente ricorrere a metodi non convenzionali per il reperimento delle risorse, come ad esempio la desalinizzazione dell’acqua marina oppure lo sfruttamento delle falde sotterranee. Questo ultimo punto risulta molto interessante all'interno della geopolitica idrica, in quanto esistono due tipologie differenti di falde con un valore relativo molto differente: le falde freatiche, sono serbatoi naturali di acqua potabile che filtra nel sottosuolo e forma dei vasti laghi sotterranei. Esse sono facilmente accessibili, anche a pochi metri di profondità e sono rinnovabili, in quanto l’acqua che si infiltra a causa delle precipitazioni va a riempirne il bacino. Le falde fossili invece non sono rinnovabili. Esse sono molto profonde e del tutto separate dal ciclo di rinnovamento di cui le falde freatiche godono. Risalgono a 10-12 mila anni fa e sono oggi divise in vari paesi. Gli spazi tra il Sahara e la Penisola Arabica ne nascondono moltissime. Basti pensare poi alla falda del Sahara Settentrionale, lunga più di un milione di km2 che si estende sotto Tunisia, Algeria e Libia. Oppure in America Latina, del Guaranì, che misura 1.2 milioni di km2 a cento metri di profondità, condivisa tra Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay. Senza pensare alla difficoltà che incorre nella delimitazione delle aree di sfruttamento marittimo, pensiamo a quanto potrà e quanto è complessa la gestione delle falde sotterranee che contengono la risorsa più importante per il genere umano.

La situazione di precarietà idrica porta gli Stati ad utilizzare queste risorse per sopperire alla mancanza di ulteriori corsi di superficie consumando acqua pura e "sprecandola" per utilizzi agricoli: un’ipoteca sulle spalle delle generazioni future. L’agricoltura è infatti l’attività umana che utilizza più acqua in assoluto, per un 70/80% del totale (e più della metà di questa evapora).
L’importanza dei corsi d’acqua allora si riscopre come primaria per l’autosufficienza idrica. Quello che però complica ulteriormente le cose è la suddivisione di questi ultimi all’interno del globo: ad oggi si contano 263 corsi d’acqua divisi tra più Stati. Dal punto di vista geopolitico, si viene qui a creare una discrepanza tra gli stati per quanto riguarda il loro potenziale di potere; infatti, gli Stati possono essere distinti in “A valle” (Downstream) oppure “A monte” (Upstream). Quelli che si trovano in cima ai corsi d’acqua godono senz'altro di un grande potere, per lo meno materiale, sui corsi d’acqua. Nonostante le norme di diritto internazionale siano per l’equa divisione delle acque, come stabilito dalla convenzione Onu del 1997 sulle norme per corsi d’acqua internazionali per usi diversi dalla navigazione, molti Stati sono ancorati a considerazioni di stampo storico o di preminenza nazionale.

La Turchia (paese a monte), ad esempio, ha sempre considerato l’acqua come una carta strategica e una leva di potere nei rapporti con i vicini (Siria e Iraq). Questo perché dalla Turchia nascono i due fiumi Tigri ed Eufrate, fondamentali per l’approvvigionamento idrico dei paesi a valle. Il progetto turco del GAP su entrambi i fiumi prevede la costruzione di 22 dighe e 19 centrali elettriche e farebbe diventare il paese uno dei più grandi cantieri mondiali ingegneristici, idraulici ed idrotecnici. Le preoccupazioni dei paesi rivieraschi però rischiano di minare i già precari equilibri tra le potenze e all’interno delle stesse popolazioni. Inoltre, gran parte del progetto si sviluppa in zone curde, che vengono evacuate continuamente. La costruzione delle dighe servirà oltre a controllare le acque anche a irrigare la piana del Diyarbakir, distruggendo però oltre 4000 villaggi. L’agricoltura ivi praticata però potrebbe correre il rischio di inquinare le acque del Tigri e potrebbe spingere verso l’aumento delle malattie legate all’acqua come la malaria o la lesmaniosi. La Siria ha poi bisogno delle acque dell’Eufrate per il suo sviluppo futuro e per mantenere a livello il Lago Assad per la produzione idroelettrica. Si stima che una volta terminato il progetto, ci sarà una riduzione del flusso d’acqua del 40% in Siria e del 90% in Iraq. I problemi relativi alla scarsità di acqua si rifletteranno in gravi crisi alimentari e di sviluppo. La Turchia in tutto questo sostiene che i fiumi nascano nel suo territorio e che invece lo stoccaggio delle risorse idriche a monte potrebbe essere solo un beneficio per i paesi a valle.

In un sistema dove le conflittualità sono imprevedibili diventa necessario sostenere un dialogo comune alla ricerca di accordi per la divisione delle acque. In questo frangente viene a inserirsi l’Idrodiplomazia. Essa gioca un ruolo fondamentale all'interno del teatro asiatico, soprattutto fra i giganti di Cina e India. Entrambi gli stati sono dipendenti da una duplice crescita; economica e demografica. Esse richiederanno nel tempo ulteriori consumi di acqua che potrà causare non poche problematiche con i propri vicini. La Cina ad esempio possiede il 7% della totale quantità delle risorse idriche del pianeta, per una popolazione che ammonta al 21% di quella mondiale. Questo equivale ad oggi a 2000 m3/ab/annui, poco superiore ai 1700 m3/ab/annui per la soglia dello stress idrico. Oltre all'aumento della popolazione e alla relativa richiesta di risorsa, anche il miglioramento delle condizioni di vita inciderà prepotentemente sulla quantità consumata, fornendo un moltiplicatore impressionante. Questo è dimostrato dal fatto che in un secolo i prelievi di acqua si sono moltiplicati per 7, il consumo per 6 mentre la popolazione mondiale per 3.

In Cina l’espansione urbana ingoia le campagne, la desertificazione e l’erosione caratterizzano il suo nord (carente della risorsa) mentre al sud il sovra sfruttamento idrico e l’inquinamento dell’acqua riducono le superfici irrigate dell’1% ogni anno. Così spiegata la crescente importazione di derrate alimentari e agricole. In più, il mancato trattamento delle acque (1/3 quelli industriali e 2/3 di quelli domestici) corrisponde ad un inquinamento di quest’ultime in maniera terribilmente progressiva. Tutti questi motivi preoccupano i vicini dei cinesi, che vedono con sospetto anche la continua costruzione di dighe. La Shanghai Cooperation Organization, che ha per scopo lo sviluppo di relazioni pacifiche tra gli Stati membri (Cina, Russia, Kazhakistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan con paesi associati come India, Mongolia e Pakistan), dovrà quindi essere in grado di gestire con diplomazia le sfide alla stabilità della regione. Attraverso la lente idrica, possiamo comprendere l’importanza che il paese da alla regione autonoma del Tibet. Questa regione è il Castello d’acqua asiatico, da cui originano dieci grandi fiumi tra cui l’Indo, il Brahmaputra, il Mekong e il Saluen da cui dipendono a valle i delta risicoltori di 1,5 miliardi di persone.

Le relazioni tra Cina e India, separate dalla barriera fisica dell’Himalaya, sono tese anche per la suddivisione delle acque. Nuova Delhi è preoccupata per la scarsità del flusso idrico del fiume Yangtzè Yang le cui acque vengono trasportate a nord dai cinesi e quindi ricaricate con l’acqua del Brahmaputra, fiume sacro per gli Indù. Teme altresì che la Cina possa dare seguito agli innumerevoli progetti di costruzione di dighe sul fiume nell’area del Tibet (per contribuire ad un suo sviluppo) che potrebbero limitare il flusso idrico. L’India, come la Cina, è in una situazione idrica difficile: 16% della popolazione mondiale ma solo con il 4% della risorsa idrica. La disponibilità per abitante è calata notevolmente, diminuendo da 5.000 m3/ab/annui nel 1951 a 1550 m3/ab/annui nel 2010 dovuto al sovra sfruttamento idrico e all’aumento della popolazione.

Questi dati sono particolarmente impressionanti se paragonati a zone come il Brasile che possiede in linea teorica circa 40.000 m3/ab/annui. In India poi le problematiche sono differenti; le irregolarità climatiche (economia monsonica rurale, e quello del 2009 è stato il più debole dal 1972) tanto che nel 2010 è stata costretta ad importare derrate alimentari dall'estero. L’urbanizzazione e la mancata previsione di meccanismi tecnologici per il trattamento delle acque e il loro uso inefficiente rende, poi, la risorsa idrica in grave pericolo. L’India poi ha relazioni complesse con il Pakistan e il Bangladesh; Il primo è una regione che non può beneficiare eccessivamente dei monsoni in quanto arrivano già secchi. La situazione è compensata dai corsi d’acqua che originano nel Kashmir, alimentati da precipitazioni e dai ghiacci. L’Indo è poi di fatto un’arteria vitale che attraversa lo Stato. Altri fiumi permettono una irrigazione capillare del territorio Pakistano, affluenti dell’Indo, lo Jhelum, e il Chenab che hanno la fonte nel paese, mentre il Ravi e lo Setley la hanno a monte, in India. L’utilizzo di quest’acqua è millenario. Con la partizione del mondo indiano nel 1948 tra l’India e il Pakistan stesso, i terreni irrigati vennero sconnessi dalle loro fonti di approvvigionamento per via delle nuove frontiere. Da questo momento si diede vita ad una gestione delle acque unilaterale, senza concertazione. L’India, che controlla i corsi superiori fluviali, sottopone il Pakistan ad una condizione di inferiorità idrica. Anche il Bangladesh, nato dall'indipendenza dallo Stato del Pakistan, gode di una posizione principale a livello fluviale nella regione; infatti, il delta fluviale più esteso al mondo (ricopre il 70 % del paese) si trova al suo interno. Fiumi come il Gange o il Brahmaputra confluiscono qui prima di entrare nell'Oceano Indiano. Fiumi che sono alimentati dal “castello d’acqua” himalaiano. Anche qui l’India possiede le sorti idriche della regione vista la sua posizione a monte.

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Ambiente e Sviluppo

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Geopolitica risorse naturali