Le prospettive di dollarizzazione dell'Economia Argentina

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  02 maggio 2024
  18 minuti, 36 secondi

Autore: Liam Mariotti, Junior Researcher MI G.E.O. Economia.

Abstract

Una delle proposte più controverse del neoeletto Presidente della Repubblica Argentina riguarda l’adozione del Dollaro come valuta ufficiale. Questa manovra ha subito suscitato un dibattito interno al paese, ma anche a livello internazionale, sulla sua fattibilità. In questa analisi verranno analizzate le prospettive della dollarizzazione in Argentina, tenendo conto dei casi precedenti, cercando di determinare se questa operazione sia fattibile e soprattutto desiderabile per la già affaticata economia argentina.



Introduzione

Il nuovo Presidente della Repubblica Argentina Javier Milei si è già fatto conoscere a livello internazionale per la sua eccentricità e posizioni economiche neoliberiste. “El Peluca”, infatti, ha conquistato la fama mondiale per la sua comunicazione altalenante, la quale talvolta è sopra le righe (come con il famoso meme di “afuera”) mentre in altre occasioni è molto accademica e professorale, dimostrando una conoscenza profonda del movimento neoliberista e dei suoi esponenti di spicco. Prendendo dalle teorie di questi ultimi, Milei ha posto come obiettivo della propria presidenza una riforma totale dell’economia argentina, la quale versa da diversi anni in condizioni disastrose, aggravate da un’inflazione dilagante. Tuttavia, la dichiarazione che ha destato più scalpore riguarda proprio l’adozione del Dollaro come valuta nazionale e l’abbandono del Peso Argentino, attuando una vera e propria rivoluzione monetaria. Nonostante l’obiezione di alcuni, secondo cui la manovra non sarebbe altro che una formula demagogica visti i toni esagerati come “bruceremo la banca centrale”, altri hanno preso in considerazione questa possibilità visto che non si tratterebbe della prima volta che uno Stato latino-americano adotti il Dollaro. Questa analisi cercherà, quindi, di esaminare le implicazioni di una tale manovra, guardare ai casi precedenti di dollarizzazione e infine trarre delle conclusioni relative all’economia argentina e definire quali prospettive si delineano per lo Stato rioplatense.

Considerazioni Teoriche

La politica monetaria è da sempre uno degli strumenti essenziali della politica economica di uno Stato. Grazie a questa si possono controllare svariati aspetti dell’economia e si può intervenire per ribilanciare eventuali squilibri e shock economici.

In primis, considerando l’economia interna di uno Stato, la politica monetaria può essere usata per governare l’aumento dell’inflazione, come stiamo vedendo oggi in gran parte del mondo Occidentale, dato che la banca centrale può limitare la circolazione della moneta aumentando i tassi d’interesse, comprando o vendendo titoli di stato oppure fissando la quantità minima delle riserve bancarie. La politica monetaria può essere usata inoltre per reagire a shock economici, ammortizzandone gli effetti.

Considerando la posizione internazionale di uno Stato, quindi principalmente la sua posizione commerciale, anche qui la politica monetaria è uno strumento molto utile. Infatti, svalutando il valore della propria moneta, uno Paese può rendere i propri prodotti più competitivi sul mercato internazionale, aumentando di conseguenza le esportazioni e migliorando la propria bilancia commerciale.

Sebbene adottare una valuta straniera porterebbe ad una perdita di questi strumenti, ci sono dei vantaggi. In primo luogo, riduce i costi di transazione che esistono nei rapporti commerciali tra due Stati. Infatti, quando un Paese compra dei beni prodotti da un altro deve comprarli nella valuta dell’altro. Inoltre, adottare la valuta di uno Stato con un’economia sufficientemente grande stabilizza i tassi di cambio, visto che in piccole economie aperte questi devono adeguarsi ai mercati internazionali.

L’adozione di una valuta straniera può anche avere dei risvolti negativi per svariati motivi. In primo luogo, toglie ai governi capacità di manovra nell’attuare politiche di stabilizzazione interne. Infatti, se uno Paese subisce uno shock economico la banca centrale può intervenire alterando la quantità di moneta in circolazione. Adottando una valuta straniera limiterebbe l’utilizzo di questo strumento da parte delle banche centrali, visto che non possono stampare la valuta ma possono solo acquistarne una quantità maggiore. Un’altra problematica riguarda gli strumenti che possono essere utilizzati per rendere i propri prodotti competitivi sul mercato internazionale, visto che adottando un’altra valuta uno Stato non può più svalutarla per avvantaggiare la propria posizione commerciale.

Una regola importante da tenere in considerazione inoltre è la legge di Gresham: quando si introduce in un’economia una valuta estera, questa non può più essere rimpiazzata per la mancanza di fiducia da parte dei consumatori, i quali regolano le proprie aspettative sulla base della valuta adottata.

Nel caso specifico della dollarizzazione, secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) i vantaggi nell’adottare il do Dollaro sarebbero i seguenti: a) si eviterebbero crisi legate alla valuta o al bilancio dei pagamenti visto che non ci sarebbero svalutazioni improvvise o fughe di capitale motivate dal timore di quest’ultima; b) porterebbe ad un’integrazione maggiore con l’economia statunitense, abbassando i costi di transazione e assicurando la stabilità dei prezzi; c) la dollarizzazione potrebbe creare un circolo virtuoso, rafforzando le istituzioni finanziarie dei Paesi che adottano il Dollaro e incentivare gli investimenti

Il FMI identifica anche dei possibili svantaggi riguardanti questa pratica: a) abbandonare la propria valuta è una scelta simbolicamente dolorosa per uno Stato visto che è un simbolo di sovranità; b) cessa le entrate ottenute con il signoraggio a favore degli Stati Uniti, visto che la Banca Centrale non può più produrre valuta; c) la dollarizzazione comporta la perdita di qualsiasi operazione politica autonoma riguardante la valuta e il tasso di scambio.

Con queste nozioni fissate, ora andremo ad analizzare i casi precedenti di dollarizzazione.


Casi precedenti di dollarizzazione

L’Argentina non sarebbe certo il primo Stato latino-americano ad adottare il Dollaro, ma esistono casi pregressi: Ecuador, Panama e El Salvador sono infatti Stati indipendenti e sovrani, ma hanno usano la valuta statunitense come valuta ufficiale

Panama per primo ha adottato il Dollaro nel 1904 a seguito dell’indipendenza politica ai danni della Colombia. È doveroso specificare che le ragioni dietro alla dollarizzazione erano politiche piuttosto che economiche, visto il coinvolgimento statunitense che rese Panama uno Stato satellite a tutti gli effetti in modo da controllare il canale strategico che taglia il paese. Tuttavia, le relazioni tra i due Paesi sono cambiate considerevolmente, dando a Panama un margine di manovra maggiore rispetto ad un secolo fa. Secondo il Cato Institute, la dollarizzazione ha beneficiato Panama visto che dagli anni ’90 ad oggi ha avuto una crescita del PIL pro-capite superiore a Brasile e Colombia. Mentre alcuni hanno indicato la presenza del canale come un fattore determinante per la crescita economica, in realtà l’assetto istituzionale panamense è stato il fattore chiave nel determinare una crescita solida. Infatti, Panama possiede un sistema bancario aperto, internazionalizzato che permette al Paese di attrarre capitale straniero e garantire liquidità nell’economia. Secondo Moreno-Villalaz, la macroeconomia panamense possiede molte delle condizioni evidenziate da Robert Mundell per formare una Optimal Currency Area con gli Stati Uniti. I vantaggi principali che Panama ha tratto da questo sistema sono stati l’eliminazione del rischio nello scambio di valuta estera, disallineamento valutario o attacchi speculativi. Un altro fattore che gioca a vantaggio dell’economia panamense è il ruolo dell’industria, la quale svolge principalmente un ruolo intermediario nelle catene di montaggio internazionale. Di conseguenza, se ci dovesse essere un eventuale svalutazione del Dollaro queste potrebbero importare beni da altre economie senza colpire il tasso di cambio reale. Per concludere, Panama ha beneficiato molto dalla dollarizzazione in larga parte grazie alla sua struttura macroeconomica.

Il secondo paese ad adottare il Dollaro fu l’Ecuador nel 2000, ma in un contesto drammaticamente diverso da quello panamense. Infatti, tra gli anni ’80 e ’90 la crescita del PIL era stagnante per via di un’esportazione altalenante di petrolio causata da prezzi volatili e disastri naturali. Tale situazione fu aggravata da politiche di debito che hanno sacrificato la formazione di capitale esterno e da riforme strutturali incompiute. Tutti questi fattori hanno portato ad un deprezzamento continuo del Sucre, la valuta ecuadoregna, per mantenere un surplus nelle esportazioni e limitare l’accumulo di debito pubblico. Tutti questi problemi raggiunsero il loro apice nel 1998. Il Professor Alberto Valencia Granada ha ipotizzato che l’esplosione della crisi fosse dovuta ai disastri naturali causati dall’uragano El Niño e dalle crisi economiche asiatiche e russe del 1997 e 1998. Vista la situazione di incertezza, gran parte dei risparmiatori decise di prelevare i propri risparmi, causando la Banca Centrale a fornire liquidità alle banche per evitare il fallimento. Tali azioni hanno portato ad un collasso del tasso di cambio del Sucre e un’iperinflazione dei prezzi. La risposta del Presidente Jamil Mahuad fu quella di adottare il Dollaro come valuta nazionale il 9 Gennaio del 2000. La manovra fu contestata visti gli scarsi risultati iniziali e Mahuad fu deposto con un golpe lo stesso anno. Ciononostante, entro la fine dell’anno il Sucre venne abbandonato completamente a favore del Dollaro. L’impatto iniziale della dollarizzazione fu positivo dato che preservò l’economia nazionale tra il 2000 e il 2008 proteggendola da prezzi del petrolio alti, un controllo della spesa adeguato, una banca centrale indipendente e un tasso di cambio stabile e affidabile. Tuttavia, dal 2009 ad oggi la dollarizzazione ha avuto delle ripercussioni negative sull’economia ecuadoregna visto che la Banca Centrale ha perso gran parte dei suoi strumenti, il dollaro ha alterato la competitività dei prodotti ecuadoregni sul mercato internazionale e ha causato un aumento del debito e una perdita di liquidità nel paese, portando a ulteriori aumenti del debito pubblico. Certamente la dollarizzazione non è l’unica politica che sta alla radice di questi insuccessi, visto che, sempre secondo il Cato Institute, l’Ecuador ha fallito nell’attuare politiche strutturali che avrebbero dovuto: espandere e diversificare la base delle esportazioni; rendere il mercato dei beni e del lavoro più flessibili; ed attuare politiche monetarie prudenti per evitare crisi di liquidità interne. Quindi, la dollarizzazione non ha risolto tutti i problemi economici del Paese, sebbene ne abbia stabilizzato l’economia, non riscontrando, dunque, il successo del caso panamense.

Il terzo ed ultimo (fino ad ora) Stato latino-americano ad adottare il Dollaro fu El Salvador nel 2001. Il contesto salvadoregno è a sua volta diverso dai due case analizzati precedentemente. In primis, nel 1992 la guerra civile che devastò il paese per 12 anni finì. Per ricostruire il paese vennero abbassate le tariffe sulle importazioni e vennero privatizzati settori strategici dell’economia nel tentativo di attirare investimenti stranieri. Anche l’inflazione salvadoregna rimase abbastanza stabile, non superando mai il 10% negli anni Novanta. Le ragioni per la dollarizzazione nascevano dalla stretta partnership commerciale con gli Stati Uniti, con un occhio quindi a ridurre i costi di transazione, abbassare i tassi di interesse ed attrarre capitale straniero. Tuttavia, i tassi di crescita erano superiori negli anni precedenti alla dollarizzazione e soprattutto gli investimenti non sono aumentati in maniera significativa. Le ragioni sono perlopiù esogene al Dollaro, visti gli alti tassi di criminalità che rendono investire nel paese molto rischioso. Però l’adozione del dollaro ha contribuito a rendere i prodotti salvadoregni meno competitivi sul mercato internazionale e hanno tolto ampio margine di manovra alla Banca Centrale, costringendo El Salvador ad accumulare il proprio debito pubblico. Sempre il Cato Institute sostiene che sia il sistema macroeconomico salvadoregno ad essere il principale responsabile dei problemi economici di El Salvador e non il dollaro stesso, che anzi offre delle garanzie importanti, soprattutto sull’inflazione.

Visto il bilancio di questi tre Paesi appare chiaro che la dollarizzazione non è una panacea per risolvere i problemi economici di un paese. Certamente può stabilizzare un’economia nel breve termine, ma servono riforme strutturali che possano massimizzare i benefici nel lungo termine. Con questo a mente, ora passiamo alle prospettive argentine riguardanti il dollaro.

Il caso argentino

Prima di affrontare più nello specifico il caso argentino è necessario fare alcune premesse importanti. In primo luogo, i tre Stati menzionati nella sezione precedente sono di dimensioni, sia demografiche che economiche, abbastanza ridotti: Panama ha una popolazione di 4 milioni di abitanti ed un PIL pari a 76,5 miliardi di Dollari; l’Ecuador ha una popolazione pari a 18 milioni di persone e un PIL pari a 115 miliardi di Dollari; infine El Salvador ha una popolazione di 6 milioni di persone ed un PIL pari a 32,5 miliardi di Dollari. Se confrontiamo questi dati con quelli argentini, popolazione di 46 milioni e PIL pari a 631 miliardi, si delinea un quadro abbastanza diverso considerando la prospettiva della dollarizzazione. Infatti, tale operazione sarebbe molto costosa e avrebbe un impatto molto più forte nel breve periodo, soprattutto per gli strati più poveri della popolazione argentina.

Il secondo punto da considerare è che un tentativo di dollarizzazione dell’Argentina è già stato fatto sotto la presidenza Menem negli anni Novanta. Tuttavia, questo tentativo fu fallimentare perché le famiglie, le imprese, i governi e le banche argentine non poterono generare sufficienti dollari per mantenere il consumo ai livelli precedenti nella fase di conversione.

Il terzo punto da tenere a mente è uno prettamente geopolitico. Durante la presidenza di Alberto Fernandez l’Argentina si era avvicinata alla Cina e più in generale al gruppo BRICS, tanto da ricevere un invito formale ad unirsi al blocco. Tale manovra avrebbe comportato un allontanamento dagli Stati Uniti. Da quando Milei ha assunto la presidenza ha fatto dietrofront su questo tema, dichiarando esplicitamente di voler mantenere un rapporto più stretto e privilegiato con gli Stati Uniti. Adottare il Dollaro avrebbe conseguenze importanti, visto che, come indicato nella sezione teorica, legherebbe l’Argentina agli Stati Uniti in maniera quasi permanente, intensificando i rapporti commerciali con questi ultimi.

Concentrandoci esclusivamente sul caso argentino attuale, il presidente Milei sostiene che questa manovra metterebbe sotto controllo l’inflazione rampante, che ha raggiunto il 276%, liberando l’Argentina dal cruccio della propria Banca Centrale, individuata da Milei come la causa principale del disastro economico che sta vivendo il Paese per via dell’uso politico che è stato fatto dell’istituzione fino ad oggi. Milei ha anche sostenuto che questa manovra non può essere fatta nell’immediato, ma richiederà tempo e riforme. Con ciò Milei ha dimostrato che non vuole usare la dollarizzazione come una panacea, bensì come un’azione successiva ad una serie di riforme strutturali.

Il Professor Hanke, professore di economia applicata alla John Hopkins University, sostiene che tale manovra non solo sia fattibile, ma pure desiderabile. Hanke, che aveva scritto la legge per la dollarizzazione per la Presidenza Menem nel 1999, collabora attivamente con il team di Milei e ha dichiarato che lasciare il progetto sarebbe “un errore fatale” vista l’impossibilità di aggiustare l’economia tramite i Piani di Aggiustamento Strutturale del FMI, che Hanke stesso ha definito inutili. Hanke, rifacendosi al caso dell’Ecuador al quale lui stesso aveva collaborato, sostiene inoltre che uno Stato non deve avere delle riserve in valuta estera nette in positivo, semmai le riserve in valuta estera lorde in positivo. Il fatto che l’argentina già possieda enormi riserve di Dollari statunitensi renderebbe questo progetto un successo secondo Hanke.

Tuttavia, non tutti condividono lo stesso ottimismo di Hanke. Secondo Michael Cembalest, un analista per JP Morgan, spiega che la dollarizzazione potrebbe funzionare soltanto in economie con: a) alti livelli di produttività, flessibilità e dinamismo imprenditoriale per far sì che l’economia assorba shock interni ed esterni; b) istituzioni con lo stesso ruolo e la stessa credibilità della BCE e della Commissione Europea; e c) sufficienti riserve di valuta straniera. L’Argentina non possiede alcune di queste caratteristiche, quindi anche se riuscisse ad ammassare riserve di valuta estera la dollarizzazione fallirebbe subito dopo l’implementazione.

Anche l’Economist condivide i dubbi di Cembalest. Sebbene la dollarizzazione stabilizzerebbe la valuta e i tassi di cambio nel breve periodo come in Ecuador, la manovra di Milei parte dall’assunto che la politica, con l’assenza della Banca Centrale nell’evento di una crisi, condurrebbe una politica di prestiti responsabili. In realtà, un governo chiede dei prestiti a causa delle pressioni enormi a cui è soggetto, costituiti da creditori e dalle opposizioni. L’eventualità di un disastro in un’economia dollarizzata rende la possibilità di default molto più concreta, visto che la Banca Centrale non può più agire come creditore. Inoltre, ogni prestito sarebbe concesso sotto il diritto americano, mettendo il governo in seria difficoltà nei negoziati per ristrutturare il debito. La soluzione ai problemi dell’Argentina secondo l’Economist, quindi, non sarebbe la dollarizzazione data l’insolvenza della sua economia, bensì una ristrutturazione del debito per uscire da questo circolo vizioso.


Eduardo Porter, scrivendo per Bloomberg, sostiene che la dollarizzazione non aiuterebbe granché a risolvere i problemi economici che affliggono il paese. A detta sua, Milei e i suoi sostenitori partono da un assunto errato, ovvero che il problema principale risiede nel Peso Argentino, valuta manipolabile dal governo e quindi causa di instabilità nelle aspettative delle famiglie e banche, causando dunque un problema di convertibilità con il Dollaro. Tuttavia, il problema secondo Porter è lo stesso che affrontava l’Argentina durante la presidenza Menem, ovvero l’incapacità di generare abbastanza Dollari per mantenere il consumo alto e coprire di conseguenza il debito. Adottare il Dollaro, quindi, porterebbe ad uno scenario simile a quello ecuadoriano, con una stabilizzazione iniziale ma una probabile stagnazione nel lungo termine.

Infine, il FMI stesso ha espresso le proprie riserve su questa operazione. Rodrigo Valdés, direttore della divisione che si occupa dell’emisfero occidentale, in un’intervista a El Pais ha dichiarato che la dollarizzazione non può sostituire una politica monetaria sana. Innanzitutto, secondo Valdés, l’Argentina dovrebbe migliorare la propria produttività ed aprirsi ad investimenti esteri. Fatto ciò, Milei dovrebbe riformare il sistema fiscale e solo allora la dollarizzazione potrebbe essere un’opzione. Tuttavia Valdés non crede che questa operazione possa contribuire significativamente a dare una stabilità macroeconomica di lungo termine.

Conclusioni

La dollarizzazione è un processo doloroso e complicato da affrontare per un paese: è una manovra che nel breve termine, come abbiamo visto, ha un effetto stabilizzatore, ma nel lungo termine non ha alcuna garanzia di successo economico. Infatti, solo un particolare assetto macroeconomico e istituzionale, accompagnato da una stabilità sociale, può garantire il successo completo della dollarizzazione, con tassi di crescita relativamente alti.

Visto il tragico storico economico dell’Argentina, che ha avuto ben sette default da quando è uno stato sovrano, la ricetta politica da implementare non deve guardare ad una stabilizzazione di breve termine, bensì ad una ristrutturazione dell’economia che possa garantire dei benefici nel lungo termine. Anche se Milei ha annunciato la dollarizzazione come atto finale delle sue riforme e sebbene ci sia una solida logica economica e politica, tale manovra potrebbe non funzionare per le stesse cause che affondarono il progetto durante la presidenza Menem. Secondo la maggior parte degli analisti, infatti, esistono delle condizioni strutturali all’economia argentina che renderebbero fallimentare qualsiasi tentativo di dollarizzazione. Un ulteriore aspetto da considerare è quello politico: Milei ha la maggioranza in parlamento, ma questa è figlia di un’alleanza con il partito Proposta Repubblicana di Patricia Bullrich, la quale non si è dimostrata troppo favorevole a questa riforma. Inoltre, l’opposizione guidata da Sergio Massa continua ad avere una quantità notevole di seggi, una quantità sufficiente da bloccare delle riforme costituzionali. A complicare ulteriormente la situazione è il presidente della Corte Costituzionale Horacio Rosetti, il quale ha dichiarato la sostituzione del Peso con il Dollaro anti-costituzionale. Quindi, anche se quest’operazione è già economicamente difficile, sarà ancor più difficile trovare un consenso politico per metterla in atto. Alla luce di questi fatti la dollarizzazione rimane una prospettiva lontana, difficile e soprattutto non del tutto desiderabile.

Resta quindi da vedere se Milei e la sua squadra di governo decideranno di affrontare questa manovra rischiosa e mantenere la parola data o se semplicemente tali dichiarazioni sono state l’ennesimo frutto di una campagna elettorale bombastica. Una cosa è certa: il futuro prossimo dell’economia argentina non è roseo e la dollarizzazione non migliorerà di certo questo pronostico.

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