75 anni di NATO: una riflessione sullo stato dell'Alleanza

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  Redazione
  25 aprile 2024
  6 minuti, 48 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Nonostante abbia ottenuto notevoli e indubitabili successi nel corso dei suoi settantacinque anni di esistenza, la NATO si trova oggi ad affrontare una sfida importante.

Il 4 aprile 1949 la Repubblica Italiana firmava con altre 11 Nazioni il Trattato del Nord Atlantico (NATO). Ad ogni anniversario non mancano mai interrogativi vari tra cui: un eventuale cambiamento nell’impegno degli Stati Uniti in Europa e nei rapporti economici-militari con questa, potrebbe significare la fine dell’alleanza? O quanto meno una sua forte trasformazione ?

L’Alleanza del Nord Atlantico ha giustamente celebrato il settantacinquesimo anno dalla sua fondazione, ma questo potrebbe non essere il momento di stappare il migliore Champagne.

La NATO è stata etichettata come “l’alleanza di maggior successo della storia” e, a seconda di come si definisce il successo, questa etichetta sembra abbastanza valida e accurata negli argomenti a suo sostegno.

La sfida fondamentale

Tuttavia, oggi l’alleanza si trova ad affrontare una sfida fondamentale, che potrebbe significare che l’espressione superlativa su riportata sembra intendere l’avviamento della NATO verso i limiti della sua esistenza storica.

Se l’impegno dell’America nei confronti dell’alleanza dovesse cambiare in modo significativo dopo le elezioni presidenziali, ad esempio attraverso un radicale cambiamento politico e geostrategico come il ritiro formale dall’Europa, la NATO potrebbe davvero essere consegnata all’oblio della storia.

Dalla sua fondazione avvenuta il 4 aprile del 1949, l’alleanza ha ottenuto numerosi ed importanti successi.

Il principale tra questi è rappresentato dal contenimento e poi l’arretramento del controllo politico e strategico sovietico/russo in una vasta area geografica presente nell’est del continente europeo. Tutto ciò si è concretizzato in un’assenza di eventi bellici per una durata di ben settantacinque anni su scala continentale in Europa.

Essa ha rivaleggiato con l’altro periodo storico relativamente pacifico che è trascorso dal Congresso di Vienna del 1815 - che pose fine alle guerre napoleoniche - alla sanguinosissima deflagrazione della Prima Guerra Mondiale nel 1914. Esattamente trent’anni fa, l’alleanza ha ottenuto un altro notevole successo: espandendo il proprio repertorio positivo di interventi recandosi “fuori area” per affrontare la grave instabilità politica che si stava svolgendo alle sue porte, nei Balcani.

La Bosnia e il Kosovo – territori “caldi” anche nel contesto storico dell’Impero Ottomano - sono ancora lontani dall'essere esempi virtuosi di democrazia liberale occidentale, ma è anche vero che l'intervento della NATO ha posto fine in modo risolutivo ai primi casi di orrenda pulizia etnica in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale fino ad oggi.

Il risveglio dell’Art. 5

Più recentemente, l’Alleanza ha mostrato altri segnali positivi nel riportare alla luce il dettato dell’ Articolo 5 dell’istituzione Atlantica, il quale esprime con molta chiarezza i termini tassativi e relativi all’autodifesa della NATO.

Negli anni successivi alla prima invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa nel 2014, i cambiamenti necessari per concentrarsi nuovamente sulla difesa collettiva sono arrivati piuttosto ​​lentamente. Ad esempio, nel corso di diversi anni sono stati sviluppati: il ​​“Readiness Action Plan”, la “Enhanced Forward Presence” , l’ iniziativa “Four 30s”, oltre ad una revisione della concezione strategica dell’alleanza stessa.

La difesa collettiva

Dal febbraio 2022 e dalla ben più brutale seconda invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, il ritorno della NATO ai temi operativi della difesa collettiva è tornato in auge a tutti i livelli istituzionali e deliberativi sia dell’Unione Europea che del Consiglio Atlantico.

Ancora, è nato un nuovo modello geostrategico di forza caratterizzato dall’ingresso ed integrazione nella NATO di Finlandia e Svezia, determinando un assetto generale di maggiore solidità lungo il suo fianco orientale, una maggiore enfasi sull’innovazione tecnologica introdotta negli armamenti e infine nella collaborazione da parte dell’industria della difesa.

Questi elementi si sono succeduti rapidamente negli ultimi due anni, in maggiore intensità rispetto alla ordinaria attività operativa della NATO.

Nonostante tali successi, l’alleanza manifesta ancora qualche difficoltà a reperire risorse materiali e finanziarie sufficienti - oltre a edificare una più equa condivisione delle responsabilità - nel raggiungere gli obiettivi necessari e posti in termini di capacità militari. Oltre ad abbracciare pienamente l’ulteriore minaccia rappresentata oggi dalle forti ambizioni della Cina Popolare in Europa.

Gli sforzi dell’Alleanza in Libia e Afghanistan hanno condotto a risultati che sotto alcuni aspetti appaiono ancora scarsi e perniciosamente contrastanti.

Non tutto è andato bene

Al di là di queste recenti operazioni, la storia della NATO è stata costellata da alcuni momenti di disaccordo o di crisi, alcuni piuttosto gravi: riconoscendo che la Germania Ovest, la crisi di Suez, il ritiro francese dal comando militare integrato della NATO (1966), il dispiegamento di missili cruise lanciati da terra e di missili Pershing, e l'invasione americana dell'Iraq nel 2003, spiccano decisamente fra tutti.

Nel corso dei decenni, giornalisti, analisti e altri osservatori hanno preso atto di queste criticità, definendo spesso la NATO come se fosse caduta in una crisi senza precedenti, capace di minacciarne l’esistenza. Questo fenomeno è così comune che alcuni analisti lo hanno etichettato come “sindrome da crisi di alleanza”.

Eppure la NATO ha sostanzialmente resistito sia al tempo che all’usura della gestione interna. Le ragioni di ciò variano tra le esposizioni degli analisti: nell’elenco delle probabili variabili esplicative c’è il dato di fatto che le democrazie che compongono la NATO eleggono periodicamente nuovi leader nazionali i quali dimostrano la capacità e il buon senso di superare i disaccordi e trovare nuovi percorsi per raggiungere un valido compromesso. In effetti, sono stati tutti ricompensati politicamente per tale virtuosa proprietà.

Oggi, però, l’alleanza è sull’orlo di una crisi interna che potrebbe deciderne l’esistenza. Se il membro più importante dell'alleanza (gli USA) abbandonasse formalmente il trattato che porta il nome della sua capitale, allora la NATO potrebbe sicuramente crollare. Ma un risultato simile si avrebbe per l’alleanza se gli Stati Uniti dovessero condizionare la propria volontà di difendere i suoi alleati, creando dubbi operativi sia tra gli alleati che tra gli avversari. Per essere ancora più espliciti, il successo della NATO nello scoraggiare prima l’Unione Sovietica, e più recentemente la Russia, dipende da un fattore fondamentale: la sicura percezione del Cremlino che gli Stati Uniti interverrebbero in modo decisivo per contrastare militarmente qualsiasi aggressione contro i membri dell’alleanza. È possibile che il Cremlino trovi alquanto preoccupanti gli arsenali nucleari relativamente piccoli del Regno Unito e della Francia, il considerevole esercito turco e le forze sempre più dotate e potenti della Polonia. Ma è lecito e più razionale ritenere che l’enorme arsenale nucleare americano, il suo grande esercito convenzionale e la sua capacità di proiettare potere in tutto il mondo siano le ragioni principali delle restrizioni decisionali ancora vigenti a Mosca. Solo gli Stati Uniti hanno la capacità e la possibilità di cambiare in modo decisivo l’esito degli eventi in Europa. La Russia sa anche questo.

Nell’ottica del Cremlino

Probabilmente, Mosca sa anche che gli isolazionisti americani di estrema destra – così come i radicali di sinistra – sono una stretta minoranza, e che i sondaggi effettuati negli USA mostrano costantemente che la grande maggioranza degli americani sostiene convintamente la NATO. Eppure c’è la possibilità che coloro i quali – almeno nella loro propaganda pre-elettorale - apprezzano meno il ruolo insostituibile della NATO nel quadro generale della stabilità e sicurezza dell’Europa, nel commercio e negli investimenti transatlantici - e quindi nello stile di vita americano - possano ribaltare radicalmente la politica statunitense nei confronti dell’Alleanza.

Se davvero fosse così, il settantacinquesimo anniversario della NATO potrebbe essere il preludio ad una tragedia. Nel 2011, l’allora segretario alla Difesa, Robert Gates, suggerì che i futuri leader statunitensi potrebbero non ritenere che il ritorno sugli investimenti americani nella NATO valga il suo costo. Attualmente il suo avvertimento è ancora ben lungi dall’avverarsi. Ma data la serie di minacce che l’Occidente si trova ad affrontare oggi insieme alla comprovata capacità dell’Alleanza di adattarsi a tali sfide, è chiaro in questo settantacinquesimo anniversario che la NATO non è mai stata così meritevole e salda come oggi.

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