Crescita economica e geopolitica: il caso della Cina

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  Redazione
  09 febbraio 2024
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A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Molto è stato scritto sul potere geopolitico della Cina, ma la sua capacità di finanziare tutta questa ascesa è stata altrettanto trascurata da molti analisti. Entrambe le questioni sono facce della stessa medaglia, poiché senza prestare attenzione al futuro dell’economia cinese, per altre ragioni non è possibile comprenderne a sufficienza il futuro geopolitico.

L’antico storico greco Polibio scrive nelle sue opere che, durante la presa finale di Cartagine nel 146 a.C. da parte delle legioni romane, il loro generale e comandante, Scipione Emiliano, cominciò a piangere quando vide la città nemica consumata dalle fiamme. Polibio, amico di Scipione, gli chiese: "Perché piangi se la vittoria è tua?", al che l’alto romano rispose: "perché un giorno questo accadrà a Roma". Più di cinque secoli e mezzo dopo, nel 395 d.C. Flavio Teodosio “il Grande”, imperatore nato in Hispania, morì, dividendo l'impero tra i suoi figli, uno più inetto dell’altro, Onorio e Arcadio. Il risultato fu che alla sua morte nessuno poteva immaginare che in soli quindici anni l'antica città di Roma sarebbe stata conquistata dai Goti di Alarico, adempiendo così in pieno la profezia di Scipione.

Già il noto storico tunisino, Ibn Khaldun (1332-1406), proponeva una filosofia della storia che spiegava magistralmente come le civiltà avanzate perdessero fatalmente la loro coesione e venissero di conseguenza travolte da popoli più arretrati di loro ma decisamente più coesi. Questi fenomeni spiegavano a suo avviso la rovinosa caduta di alcune civiltà (come quella greca) e l’ascesa dell’Impero Romano insieme al declino di altre civiltà.

Un’altra legge della storia è stata ampiamente dibattuta: riguarda i poteri che cercano di proiettare un potere geopolitico non in linea con la loro forza economica finiscono per crearne il declino. Tra gli altri esempi storici, si possono segnalare la disastrosa spedizione in Sicilia della già impoverita Atene, quasi alla fine delle guerre del Peloponneso; l'Impero Romano del III e IV secolo D.C.; i bizantini del VII secolo o dei secoli XI e XII; la Spagna imperiale, dal 1550 al 1643; e per giungere ai tempi più recenti, il tracollo dell’Unione Sovietica degli anni '70.

Più rare sono le occasioni in cui una potenza riconosce questo rischio, e ipotizza una cocente ritirata geopolitica coerente con la sua precaria situazione economica. La decisione del presidente Obama di ritirare una parte significativa della presenza statunitense dal Medio Oriente avrebbe potuto avere effetti dannosi in questa regione nel medio periodo, ma era del tutto coerente con la difficilissima situazione macroeconomica che la prima potenza mondiale stava vivendo in quegli anni.

Forse si è trattato di una decisione legata, anche qui, al suddetto principio del complesso bilanciamento del potere economico con quello economico e geopolitico.

Ricchezza e potere

Il potere geopolitico non è costituito da sole parole ma è intimamente legato alla capacità di finanziarlo, il che ci porta a commentare il PIL di ogni stato. Un esempio eclatante è rappresentato dalla sorprendente ascesa economica della Cina negli ultimi 30 anni e sulle sue importanti, secondarie e proporzionali implicazioni geopolitiche a livello globale. A volte Pechino ha esagerato con la sua esposizione finanziaria. Ma questo risultato potrebbe anche essere stato un errore perché si tratta pur sempre di due facce della stessa medaglia.

Le motivazioni

In ogni dottrina economica non è granché favorevolmente accettato proiettare la crescita economica del passato verso quella puramente del tutto ipotetica del futuro. C'è un’economia definita e basata su una crescita "facile", come quella raggiunta dall'Unione Sovietica negli anni '50. Krusciov, ad esempio, arrivò al punto di minacciare l'Occidente con una famosa guasconata "vi seppelliremo", riferendosi non tanto ai suoi numerosi carri armati quanto al fatto che l'URSS in quegli anni prosperò più velocemente dell'Occidente, cosa che tuttavia il leader russo estrapolò erroneamente proiettando questa ardita conclusione anche verso una prospettiva futura. A distanza di alcuni decenni si è visto il fallimento ed il degrado dell’economia russa, la quale oggi presenta un PIL inferiore a quello dell’Italia ed uno sviluppo tecnologico decisamente inferiore alla media europea.

La crescita è più difficile, una volta che l'economia è un po' più ottimizzata dopo l'incorporazione di più donne nella forza lavoro, la meccanizzazione agricola, il miglioramento dello stock di capitale, il miglioramento della formazione dei lavoratori e lo sviluppo anche tecnologico nel settore dei servizi.

Le proiezioni sulla futura espansione dell'economia cinese basate sul passato non stanno funzionando.

Secondo gli esperti di geoeconomia, nel medio termine, un'economia può crescere solo in due modi: in termini di numero e qualità di ore lavorate e/o di produttività per ogni ora lavorata. Infatti, sempre secondo valutazioni tecniche, quando un politico annuncia che, se salirà al potere, farà crescere un'economia sostenibile secondo un valore valutabile interno al 4 per cento e, ciononostante, le ore lavorate saliranno dello 0,3 per cento e la produttività all'1,5 per cento, tale sproporzione e quindi anche la falsità delle promesse diventano evidenti anche ai profani di economia. In questo caso è più plausibile che l'economia crescerà non più dell'1,8%. La matematica non è opinabile neanche per un politico.

Le ore lavorate dipendono principalmente dal numero di giovani che entrano nel mercato del lavoro, piuttosto che dal numero di pensionati. Le proiezioni per il futuro demografico della Cina sono definite preoccupanti, con continue diminuzioni della propria consistenza fino a raggiungere un calo della popolazione compreso tra lo 0,5% e l'1% all'anno entro pochi anni.

Secondo i dati dell'ONU, qualora il tasso di natalità della Cina non migliorasse (molteplici esempi mostrano che quando il tasso di natalità diminuisce, è improbabile che aumenti di nuovo in tempi brevi), la popolazione attiva cinese passerà dagli attuali 1.000 milioni di lavoratori a 300 milioni entro il 2100. In altre parole, il 70% delle ore lavorate scomparirebbe se non si aumentasse l'attuale tasso di nascite per donna (1,3) o se non si ammettesse un gran numero di immigrati, in maggior parte qualificati. Quest'ultima considerazione non invita di certo all'ottimismo. La Cina ha visto un'emigrazione netta di 17 milioni negli ultimi cinquant'anni e l'attuale volume di immigrati rappresenta lo 0,1% della sua popolazione, rispetto a tassi più vicini al 15% in Occidente.

Le cose potrebbero cambiare in futuro? Certamente, ma analizzando i precedenti di Giappone e Corea del Sud (tassi di natalità rispettivamente a 1,3 e 0,8, senza flussi migratori significativi) non si può essere molto ottimisti a questo riguardo.

Investimenti e debito

Secondo la dottrina economica, la produttività dipende a sua volta fondamentalmente da due fattori: dal capitale disponibile per ogni lavoratore per produrre beni e servizi, e dal raggiungimento di una maggiore produttività di tutto il capitale esistente. Se ci concentriamo sul primo, quando un paese ha a malapena un certa quantità di capitale e inizia a ricevere investimenti, la produttività sale di molto. Vale l’esempio del contadino che sostituisce la zappa con un ben più produttivo come il trattore.

Formazione e innovazione

Un secondo indicatore di produttività è la cosiddetta “produttività totale dei fattori” (TFP), poiché tiene conto dell'efficienza con cui il lavoro e il capitale vengono prodotti ed utilizzati insieme. Negli ultimi anni la TFP è cresciuta sempre meno in Cina, passando dal 3% tra il 2000 e il 2008, all'1,5% nel decennio successivo e all'1% di oggi.

Inoltre, l'invecchiamento della popolazione cinese attiva sta tendendo già oggi a produrre livelli di produttività inferiori. Se ci atteniamo ai fattori relativi all'innovazione dei sistemi e all’innovazione nei processi produttivi, anche il quadro generale dell’economia nazionale diventa scoraggiante. In ogni caso, anche in questo campo, il dominio degli Stati Uniti nei brevetti internazionali (know-how) rimane schiacciante.

Bolla immobiliare

Nell'estate del 2021 ha iniziato a scoppiare la bolla immobiliare cinese. Essa ha riguardato non solo i tassi di costruzione di nuove case, totalmente sovradimensionati, ma anche i prezzi delle abitazioni private non sono risultati coerenti con i fondamentali economici, gli stessi che governano anche il settore industriale e dell’edilizia. Ancora, il settore estero cinese è pari a circa un quinto del suo Pil. Allo stesso tempo, le esportazioni stanno diminuendo fortemente a causa della migrazione dei consumi occidentali dai beni ai servizi, tutto in linea con i gravosi effetti post-pandemici. Sotto il profilo strutturale, negli ultimi quindici anni il costo del lavoro cinese è cresciuto molto più della produttività, il che ha reso le esportazioni all’estero meno competitive.

Ecco il motivo principale per cui - stavolta anche da un punto di vista geostrategico - non sorprende più che il Messico sia già da alcuni anni il primo partner commerciale degli Stati Uniti: ovvero le fabbriche delle aziende nordamericane che si trasferiscono lo stanno realizzando prevalentemente in Messico e in gran parte del Sud-Est asiatico. Anziché nell’oriente asiatico! Non si possono negare gli enormi risultati ottenuti dall’economia cinese negli ultimi quarant’anni: la Cina ha sicuramente eliminato la povertà estrema in tutto il territorio nazionale, ha generato un livello accettabile di reddito pro capite (simile a quello della Romania o della Bulgaria) e ha superato quantitativamente di poco l’eurozona come seconda economia più grande del mondo.

Le decisioni difficili

Nel mondo delle varie economie nazionali del mondo possono fatalmente avverarsi crisi cicliche e altre più strutturali. Attualmente, i problemi che la Cina deve affrontare sono principalmente di ordine strutturale e richiedono decisioni innovative e coraggiose in termini di politica economica interna.

Un’economia debole genera vistose cicatrici sociali (in Spagna, la disoccupazione ha raggiunto il 27% nel 2012). Gli Stati Uniti hanno superato la grave crisi del 2007-2008 con decisioni molto difficili, che hanno comportato il riconoscimento delle perdite del settore immobiliare e finanziario e la rapida ricapitalizzazione di quest’ultimo, che gli ha permesso di agire ancora una volta come polmone finanziario dell’economia secondo i principali indicatori. L'immagine interna ed esterna del paese si è deteriorata, ma ha recuperato il PIL perduto in cinque trimestri. Restano da sanare le problematiche e le crescenti fragilità strutturali.

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Asia Orientale

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