Gaza e la geopolitica

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  Redazione
  30 novembre 2023
  9 minuti, 13 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Per vincere questa guerra, Israele avrà bisogno del sostegno di partner che condividano i suoi interessi strategici. Un certo numero di stati arabi, gli Stati Uniti e i paesi europei svolgeranno un ruolo fondamentale. I loro contributi comprenderanno finanziamenti e sostegno militare, una campagna globale per ridurre i finanziamenti di Hamas, assistenza umanitaria per i civili e gli sfollati all’interno di Gaza (e forse anche oltre), sforzi di ricostruzione, campagne di informazione mirata per contrastare la propaganda anti-israeliana e anti-ebraica in tutto il mondo, e , soprattutto, l’istituzione di un’autorità di governo, legittima e riconosciuta a livello internazionale, a Gaza.

Sotto la guida del presidente Joe Biden, gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo importante nel processo decisionale di Israele in tempo di guerra, consigliando moderazione per prevenire un’escalation nel nord del paese, chiedendo il rispetto delle leggi sui conflitti armati e spingendo Israele ad affrontare la crisi umanitaria a Gaza.

Nelle settimane successive al 7 ottobre, giorno dell’attacco di Hamas, l’amministrazione Biden ha fornito un livello senza precedenti di aiuti e sostegno militare. Portaerei e varie forze statunitensi sono state inviate nella regione con l’intento di dissuadere l’Iran e Hezbollah dall’intervenire nel conflitto, per proteggere le forze americane nell’area da eventuali quanto reali attacchi da parte di altre milizie sciite appoggiate dall’Iran e per offrire una soluzione efficace a tali attacchi. È degno di nota, tuttavia, che Israele mantenga il suo principio fondamentale di difendersi da solo, astenendosi dal richiedere il coinvolgimento degli Stati Uniti.

Anche molti paesi europei hanno dimostrato un sostegno incrollabile a Israele, andando oltre le loro preoccupazioni immediate riguardo alla sicurezza dei cittadini europei tenuti in ostaggio da Hamas. Leader europei di alto rango come il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il primo ministro britannico Rishi Sunak hanno visitato Israele per esprimere solidarietà. Durante la sua visita di fine ottobre, Macron ha addirittura chiesto la creazione di una coalizione internazionale per combattere Hamas, sul modello di quella che ha combattuto l’Isis dal 2014.

L’allineamento di Israele

Per garantire l’assistenza continua dei leader americani ed europei, molti dei quali devono fare i conti con le critiche interne al loro sostegno, Israele deve rafforzare il suo allineamento geopolitico con il blocco meglio rappresentato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati della NATO. Ciò potrebbe comportare una rivalutazione della politica israeliana in Ucraina, portando potenzialmente ad un maggiore sostegno alla difesa di Kiev contro l’aggressione russa.

Inoltre, Israele dovrebbe sforzarsi di aumentare ulteriormente gli aiuti umanitari a Gaza, chiarire che non intende occupare permanentemente il territorio, riaffermare costantemente la propria adesione alle leggi di guerra (e riconoscere eventuali errori al riguardo) . E collocare la propria missione in Gaza nel contesto di un più ampio processo politico israelo-palestinese che possa promuovere solidi accordi di sicurezza e sostenere la fattibilità della soluzione a due Stati.

L’era dei cicli intermittenti di combattimenti e cessate il fuoco a Gaza è finita.

In pubblico, i leader di molti stati arabi, compresi quelli con cui Israele intrattiene rapporti, hanno condannato fermamente la guerra a Gaza, spinti dal timore di disordini e instabilità interna. A porte chiuse, tuttavia, temono la minaccia di una rinascita di Hamas, un’organizzazione estremista dei Fratelli Musulmani che ha sempre rappresentato un grave pericolo per i regimi arabi e serve gli interessi del loro principale rivale regionale, l’Iran. I governi di Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti temono che qualsiasi successo ottenuto da Hamas nella lotta attuale incoraggerà le forze jihadiste sunnite nei loro paesi e le milizie sciite che l’Iran sostiene negli stati vicini come Iraq, Libano e Yemen. .

In termini di garanzia del sostegno globale alla guerra contro Hamas al di fuori dell’Europa, degli Stati Uniti e del Golfo, il quadro invece si oscura: Cina e Russia si sono astenute dal condannare pubblicamente l’attacco di Hamas, hanno cercato di limitare gli sforzi di Israele per smantellare l’organizzazione chiedendo un cessate il fuoco immediato e hanno scatenato la propaganda antisemita sui social media e sui media controllati dallo Stato. Da parte sua, la Russia è spinta dal desiderio di distogliere l’attenzione e le risorse dell’Occidente dalla guerra in Ucraina e ritiene che trarrà beneficio da un aggravamento del conflitto in Medio Oriente. Non c'è motivo di pensare che Israele possa fare qualcosa per cambiare l'orientamento di Mosca.

La posizione della Cina è più sfumata.

Più di ogni altra cosa, il Paese teme un conflitto regionale che potrebbe innescare un’impennata dei prezzi del petrolio che potrebbe danneggiare la sua debole ripresa economica post-Covid. Dato l’allineamento di Israele con l’Occidente e gli Stati Uniti, potrebbe essere difficile per Israele influenzare la politica cinese nei confronti dei suoi sforzi bellici a Gaza. Ma Israele potrebbe sfruttare le preoccupazioni di Pechino riguardo all’escalation regionale per incoraggiarlo a fare pressione sull’Iran affinché freni Hezbollah e i suoi delegati in Iraq e Yemen.

Allo stesso tempo, Israele deve rafforzare i suoi legami strategici con l’India, che ha sostenuto Israele e condannato l’attacco di Hamas; forti relazioni con Nuova Delhi potrebbero aiutare a contrastare le critiche che Israele deve affrontare da altri paesi del Sud del mondo.

La lotta per il ritorno a casa

Oltre alle complesse operazioni militari e diplomatiche, i leader israeliani devono lanciare una serie di iniziative in patria che non saranno meno impegnative.

In primo luogo, devono iniziare a ripristinare un senso di normalità in una società che è rimasta traumatizzata, cominciando con la ricostruzione delle comunità vicino al confine di Gaza devastate dall’attacco di Hamas e con il rimpatrio dei residenti che hanno abbandonato le loro case nel nord di Israele come precauzione contro un attacco da parte di Hezbollah. Le attività economiche in tutto Israele dovrebbero riprendere immediatamente e dovrebbero gradualmente ritornare ai loro livelli consueti.

Più fondamentalmente, il governo deve lavorare per ripristinare la fiducia nelle istituzioni statali tra i cittadini israeliani. Ciò richiederà una leadership nuova e unificata, la mobilitazione coordinata di tutti i ministeri del governo e un’indagine ufficiale sulle origini dell’attacco di Hamas. Una buona parte delle forze politiche israeliane non reputa Netanyahu come adatto a questo compito. Lui e i suoi più stretti alleati, dopo tutto, sono responsabili del fallimento nell’affrontare il problema di Gaza e Hamas negli ultimi 15 anni e della spaccatura senza precedenti nella società israeliana che ne ha ridotto la preparazione nei mesi precedenti l’attacco.

Secondo molti, Israele dovrà tenere le elezioni il prima possibile dopo la fine dell’operazione di terra a Gaza, purché le condizioni di sicurezza, anche nel nord, lo consentano. Anche prima che l’operazione di terra principale si concluda e le truppe israeliane si ritirino, Israele dovrebbe avviare un dialogo con i paesi arabi e i propri partner internazionali per formulare un piano per il futuro governo di Gaza.

La normalizzazione

L’approccio più promettente sarebbe l’istituzione di un’amministrazione provvisoria per supervisionare il territorio fino a quando l’Autorità Palestinese non sarà in grado di assumere legittimamente tale ruolo. Questa amministrazione sarebbe guidata dagli Stati Uniti e dai cinque stati arabi che hanno stabilito accordi di pace con Israele.

Per aprire la strada all’eventuale ritorno dell’Autorità Palestinese a Gaza, la comunità internazionale, con l’assistenza e il coordinamento di Israele, deve lavorare con l’Autorità Palestinese per rafforzare le sue capacità di governo e affrontare la corruzione al suo interno. Sarà indispensabile un sostegno significativo da parte dei ricchi stati arabi del Golfo per affrontare i diversi aspetti economici, politici e di sicurezza della governance di Gaza.

A tale proposito, la ripresa dei colloqui di normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita è cruciale, così come lo sarà l’integrazione del regno nel progetto di governo di Gaza. Il ruolo di Teheran nell'aiutare lo sviluppo di Hamas negli ultimi anni potrebbe aver aumentato il livello di interesse per la normalizzazione all'interno del blocco anti-iraniano dei paesi arabi. Un nuovo governo israeliano impegnato a rafforzare l’Autorità Palestinese e a mantenere una prospettiva aperta su una soluzione a due Stati potrebbe spingere ulteriormente in avanti il ​​processo di normalizzazione.

La soluzione a due stati

Una guerra contro Hamas e la possibilità di discutere una soluzione a due Stati potrebbero sembrare difficili, ma fin dalla sua nascita, Hamas si è opposto e ha minato in maniera irriducibile la prospettiva di due stati. Ogni volta che i colloqui tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina sembravano prendere slancio, Hamas lanciava in modo puntuale attacchi terroristici.

Questa organizzazione respinge categoricamente gli accordi di Oslo, rifiuta di riconoscere il diritto di Israele ad esistere e persegue apertamente la sua distruzione. Di conseguenza, la rimozione di Hamas dal potere a Gaza non è neanche un ostacolo all’idea della formazione di due Stati: essa è una condizione che si pone come necessaria (anche se non sufficiente) per ottenere qualsiasi progresso positivo e credibile nelle relazioni israelo-palestinesi e nel Medio Oriente in generale.

Ritorno alle basi

Sulla scia del trauma del 7 ottobre, Israele si ritrova in una nuova realtà geopolitica e strategica: in futuro, dovrà mettere da parte le percezioni, le convinzioni e i presupposti che sono divenuti consueti negli ultimi anni e ritornare ad alcuni principi fondamentali che finora ha trascurato. Per far fronte alla presenza di forze militari minacciose lungo i suoi confini, Israele potrebbe ritenere necessario passare da una strategia reattiva di ritorsione a un approccio maggiormente proattivo che tuttavia prevede attacchi preventivi. Smantellare nelle sue funzioni e strutture il regime di Hamas a Gaza deciderà oppure no il ripristino della deterrenza. Il Paese dovrà inoltre rivalutare, migliorare e potenzialmente rivedere il proprio sistema di allarme rapido, in particolare aumentando l’entità e l’uso di fonti di intelligence umana de visu.

Le forze armate (IDF) dovranno inoltre spostare la propria attenzione sull’anticipazione delle violazioni e sulla costruzione di linee di difesa secondarie. L'onere di ottenere risultati decisivi ricadrà sempre sulle spalle di Israele. Nonostante l’impegno duraturo di Israele verso l’autosufficienza, tuttavia, potrebbe rivelarsi necessario formulare una strategia congiunta più strettamente coordinata con gli Stati Uniti, l’alleato più fedele del paese, e anche con alcuni partner aggiuntivi.

Il passato più virtuoso e concludente

L’ultima volta che Israele ha affrontato una sfida anche lontanamente simile è stato nel 1973. E all’inizio, la guerra dello Yom Kippur sembrò una sconfitta per Israele; gli Stati arabi certamente la vedevano in questo modo. Alla fine, però, Tel Aviv ha avuto la meglio, e la sua vittoria ha portato a un accordo di pace rivoluzionario e innovativo anche con l’Egitto, un risultato che ha messo in moto praticamente ogni sviluppo positivo che si è verificato da allora nella regione. Oggi è troppo presto per dire se Israele sarà in grado ancora una volta di trasformare sofferenze e perdite umane in pace e progresso, ma anche in questa nuova triste realtà c’è sempre qualche motivo di speranza.

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