Trattato sull'Alto Mare: raggiunto l'accordo per la salvaguardia degli ecosistemi marini

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  Beatrice Basone
  28 maggio 2024
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Secondo numerosi ricercatori e biologi, l'oceano non può più aspettare. Ad oggi sale a quota 10% la stima delle specie marine ritenute a rischio di estinzione. Lo afferma l'IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura), con dati alla mano e previsioni preoccupanti, soprattutto per animali come squali, razze e coralli. Al primo posto tra le cause, naturalmente, le attività di pesca industriale e i cambiamenti climatici, fenomeni che da anni influenzano negativamente gli habitat marini minacciando la biodiversità del pianeta.

La gestione delle attività in mare e la tutela della biodiversità marina sono regolate dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS), firmata nel 1982 e rettificata da 158 Stati Membri. Questa Convenzione ha dei limiti, soprattutto in merito alle tematiche concernenti l’Alto mare e la tutela della biodiversità. A tutela delle acque internazionali - dopo anni di negoziazioni - l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha approvato il Trattato dell'Alto Mare, misura doverosa per proteggere la fauna marina in aree non protette oltre i confini nazionali, a 200 miglia dalla costa. L'obiettivo è riuscire a proteggere almeno il 30% della zona dell'alto mare entro il 2030, sottolineando quanto già discusso durante la Conferenza sulla Biodiversità tenutasi a Montreal nel 2022.

Finora sono 88 i Paesi che hanno firmato tale accordo sulla salvaguardia della biodiversità delle aree al di fuori della giurisdizione nazionale, ma la ratifica è stata portata avanti solamente da 3 Paesi: il Cile lo ha ratificato il 20 febbraio 2024, Palau il 22 gennaio 2024 e le Seychelles il 13 marzo 2024. Tutti gli altri Paesi coinvolti non hanno ancora adottato formalmente il Trattato, rischiando di rimandare nuovamente la salvaguardia delle specie in pericolo. Lo stesso accordo, infatti, non potrà entrare in vigore legalmente sino a che un numero sufficiente di Paesi non lo avrà siglato: secondo quanto imposto dall'ONU, occorre che almeno 60 Paesi ratifichino il Trattato per la sua disposizione.

Quali limitazioni impone concretamente il trattato?

In via generale, il nuovo Trattato sull'Alto Mare serve a limitare tutte quelle attività dannose per gli habitat marini svolte dall'uomo in acque internazionali, in aree non regolate da leggi e fuori dal controllo dei vari Stati. Più nello specifico, l'accordo mira a limitare pratiche non sostenibili come, ad esempio, la pesca intensiva e non regolamentata o l'estrazione mineraria in acque profonde, ma non solo.

Anche il traffico marittimo sembra essere un problema da risolvere non indifferente e su cui il Trattato vuole portare l'attenzione. A livello globale, infatti, tale fattore rappresenta circa il 3% di emissioni di gas serra annuali, un dato che è destinato a crescere del 250% entro il 2050. In Europa il trasporto via mare sembra essere tra i primi responsabili dell’introduzione nei mari della metà delle specie non indigene sin dal 1949. Negli ultimi anni, più di 51 specie non indigene - la maggior parte delle quali è stata rilevata nel Mar Mediterraneo -, sono state classificate "ad alto impatto" dagli esperti. Questo si traduce nell'arrivo di specie "aliene" capaci di incidere negativamente sugli ecosistemi e sulle specie autoctone dei mari europei, andando a minare i naturali parametri ambientali marini.

"Anche se sono già state intraprese misure sulla base delle politiche europee e internazionali, è necessario fare molto di più per ottenere un cambiamento essenziale verso uno sviluppo sostenibile del settore del trasporto marittimo che contribuisca a garantire un futuro benessere e la sopravvivenza dei nostri ecosistemi più sensibili e delle aree costiere", sostiene Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell’AEA (Agenzia Europea dell'Ambiente).

Perché il trattato è così importante?

Considerando che circa il 70% delle acque mondiali è racchiusa nel cosiddetto "Alto mare", ovvero al di là della Zona Economica Esclusiva (ZEE) di ogni nazione, il trattato diventa uno strumento fondamentale di tutela dei mari. Se è vero che tutti gli Stati hanno uguale diritto di pescare, navigare e fare ricerca, è altrettanto vero che gli stessi Stati non vogliono prendersi la responsabilità di tutelare territori cosiddetti "di nessuno".

Non solo la salvaguardia degli habitat marini è nel mirino dell'ONU, bensì anche la salvaguardia delle economie globali basate sulle attività ittiche. È chiaro che uno degli obiettivi principali del trattato è quindi quello di invertire il trend di declino della salute dell’oceano e limitare la perdita della biodiversità ed ecosistemi, ma è altresì importante tutelare le generazioni future e le popolazioni costiere, che fanno dal mare una fonte di cibo e sostentamento, reddito e svago.

I sostenitori del trattato chiedono che entri in vigore entro il 2025. Un obiettivo ambizioso che se raggiunto porterà le attività marittime ad essere finalmente regolamentate e svolte in base ad un sistema di condivisione dei benefici globali sia in termini ambientali che monetari.

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Beatrice Basone

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