La geopolitica dell'India e del Pakistan secondo Henry Kissinger (3)

Parte 3

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  Michele Pavan
  02 gennaio 2019
  4 minuti, 16 secondi

I conflitti, precedentemente descritti, che hanno caratterizzato il 1900 hanno complicato lo scacchiere mondiale per l'India, ancor più della regione.
Il ruolo dell’India nell’ordine mondiale è reso problematico da fattori strutturali connessi alla sua fondazione. Tra i più complessi, ci sono i suoi rapporti con i vicini più immediati, in particolare con il Pakistan, il Bangladesh, l’Afghanistan e la Cina. I loro ambivalenti legami e antagonismi riflettono un’eredità di un millennio di contrastanti invasioni e migrazioni nel subcontinente e di scorrerie britanniche ai margini dell’impero indiano, con la rapida fine del dominio coloniale all’indomani della seconda guerra mondiale.

Il Pakistan è geograficamente, economicamente, demograficamente e militarmente più debole dell’India. È uno stato islamico con una tradizione di dittatura e popolazioni che sono spesso più leali nei confronti della propria regione culturale che nei confronti del paese.

Il nome Pakistan dà già qualche indizio sulle divisioni presenti nel paese. Nella lingua urdu, pak vuol dire «puro» e stan vuol dire «terra», dunque «Pakstan» significa «terra dei puri», ma è anche un acronimo. La P sta per Punjab, la A per Afghania (la zona abitata dai pashtun nei pressi del confine afghano), la K per Kashmir, la S per Sindh, e la T per «tan», come nella parola Belucistan.

Da queste cinque regioni è nato uno stato ma non una nazione unita. Le tensioni sono sempre presenti, specialmente quelle religiose tra la maggioranza sunnita e le minoranze cristiane, indù e sciita. In Pakistan ci sono diverse nazioni all’interno di uno stesso stato.

La lingua ufficiale del Pakistan è l’urdu, la lingua madre dei musulmani indiani che vi si rifugiarono nel 1947, per insediarsi in massima parte nel Punjab. Ciò non la fa apprezzare al resto del paese. La regione abitata dai sindhi ha sempre digerito male quello che ritiene essere il predominio dei punjabi.

I pashtun della Frontiera nord-occidentale non hanno mai accettato il governo degli «intrusi»: alcune parti della regione vengono chiamate Federally Administered Tribal Area, ma in realtà non sono mai state amministrate da Islamabad. Il Kashmir rimane diviso tra Pakistan e India, e anche se la maggioranza dei suoi abitanti vuole l’indipendenza, l’unica cosa su cui possono concordare l’India e il Pakistan è che difficilmente tale regione può giungere all’autonomia.

Anche il Belucistan ha un movimento indipendentista che si solleva periodicamente contro lo stato. È di importanza fondamentale anche se ci vive una ristretta minoranza della popolazione del Pakistan. Occupa quasi il 45% del territorio nazionale e possiede gran parte del gas naturale e dei minerali. Un’altra fonte di reddito riguarda gli oleodotti; è allo studio il sistema per portare in Cina il petrolio proveniente dall’Iran e dal Mar Caspio passando per il Pakistan. Il gioiello di questo particolare Stato è la città costiera di Gwadar. Molti analisti sono convinti che fosse l’obiettivo a lungo termine dell’Unione Sovietica quando invase l’Afghanistan, nel 1979: Gwadar avrebbe realizzato l’antico sogno di Mosca di avere un porto in acque temperate.

I cinesi sono stati attratti da questo gioiello e hanno investito miliardi di dollari nella regione. Un porto d’alto mare è stato inaugurato nel 2007, e oggi i due paesi stanno lavorando per collegarlo alla Cina. Nel lungo termine, la Cina vorrebbe usare il Pakistan come rotta terrestre per i suoi fabbisogni energetici. Ciò le permetterebbe di bypassare lo stretto di Malacca che, come è stato descritto nel capitolo precedente, è un collo di bottiglia potenzialmente in grado di soffocarne la crescita economica.

Nella primavera del 2015, i due paesi hanno sottoscritto un accordo da 46 miliardi di dollari per la costruzione di una rete avanzata di strade, ferrovie e oleodotti lunga quasi 3000 chilometri che separa Gwadar dalla regione cinese dello Xinjiang. Il «corridoio economico Cina-Pakistan», come viene chiamato, darà alla Cina un accesso diretto all’Oceano Indiano, e non solo. Alla fine del 2015, la Cina ha firmato anche un contratto di affitto quarantennale su 930 ettari di terra nella zona del porto, per costruirvi una grandissima «zona economica speciale» e un aeroporto internazionale, il tutto nell’ambito del Corridoio economico Cina-Pakistan. Poiché entrambe le parti sanno che il Belucistan dovrebbe rimanere instabile, si sta formando una forza di sicurezza che potrebbe arrivare a 25000 uomini per proteggere la zona.

Il gigantesco investimento cinese sarebbe una panacea per il Pakistan, ed è una delle ragioni per cui cercherà sempre di soffocare tutti i movimenti secessionisti nella provincia. Ma finché una quota più consistente della ricchezza generata dal Belucistan non tornerà in patria e non verrà usata per il suo sviluppo, la zona è destinata a rimanere turbolenta e, di tanto in tanto, anche violenta.

Fonti principali:
- Marshall Tim, (2017), Le 10 mappe che spiegano il mondo, Garzanti. Traduzione a cura di Roberto Merlini.
- Kissinger Henry, (2017), Ordine Mondiale, Mondadori. Traduzione a cura di Tullio Cannillo.
- Kissinger Henry, (2012), On China, The Penguin Press.
- Kissinger Henry, (1994), Diplomacy, Simon&Schuster Paperbacks, Rockefeller Center.

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L'Autore

Michele Pavan

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