La pratica del cloud seeding e il disastro di Dubai

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  Jacopo Biagi
  03 maggio 2024
  4 minuti, 34 secondi

Da diversi anni si parla di cambiamento climatico, estati sempre più calde, giorni di pioggia incessante e raccolti rovinati per la siccità. Questi eventi straordinari fanno comprendere bene quanto il cambiamento sia attuale e quanto sia necessario mettere in pratica azioni per salvaguardare le persone e la natura dall’ostilità del clima.

Nelle ultime estati le temperature da record e le precipitazioni sporadiche hanno causato ingenti danni alle colture portando a raccolti scarsi e danneggiando economicamente gli agricoltori. Per ovviare ai problemi di scarsità d’acqua molti Stati hanno avviato la costruzione di infrastrutture per la raccolta e la conservazione delle precipitazioni invernali creando invasi e bacini idrici. In altri Paesi, in cui invece la pioggia è scarsa tutto l’anno, sono state intraprese altre azioni, come, per esempio, il ricorso alla tecnologia di cloud seeding.

Il funzionamento del cloud seeding

Il cloud seeding, generalmente tradotto come "inseminazione delle nuvole", ha origine negli anni ‘40 dall’idea di alcuni chimici e meteorologi americani. Questa pratica rivoluzionaria prende piede alla fine degli anni ‘50 quando negli Stati Uniti venne utilizzata per aiutare gli agricoltori nell’irrigazione dei campi, per ingrossare le riserve di acqua delle centrali idroelettriche e per riempire di neve le stazioni sciistiche. La tecnica del cloud seeding sfrutta il principio naturale dei nuclei di condensazione, che sono presenti nelle nuvole cariche di umidità. Questi ultimi sono minuscole particelle igroscopiche, capaci di assorbire le molecole di acqua, che permettono alle goccioline di cui è composta la nube di aumentare di volume, di condensare e diventare, così, pioggia.

Vincent J. Schaefer, chimico e meteorologo americano, nel 1946 scoprì che il ghiaccio secco, in virtù di alcune sue caratteristiche intrinseche, poteva agire come nucleo di condensazione per le particelle di vapore acqueo presenti nelle nuvole. Nello stesso periodo il collega climatologo Bernard Vonnegut scoprì che anche le molecole di ioduro di argento erano in grado di agire come nucleo di condensazione, come i frammenti di ghiaccio secco.

La pratica di cloud seeding più diffusa sfrutta proprio la scoperta di Vonnegut, introducendo nelle nuvole dei nuclei di ioduro di argento come elemento di condensazione. Lo ioduro di argento, infatti, possiede una struttura molecolare estremamente compatta, che risulta ideale per legarsi con le particelle di ghiaccio e per aumentare il volume delle precipitazioni. L’inseminazione poi può avvenire sia da terra, mediante l’utilizzo di appositi cannoni che sparano il composto dal basso, sia tramite degli aerei che, volando al di sopra dei banchi di nuvole, cospargono le particelle sulla loro superficie.

Dai dati pubblicati da enti e da gruppi di ricerca del settore, si stima che la pratica del cloud seeding sia in grado di portare un aumento delle precipitazioni annue tra il 15% e il 30%. Per tale ragione, sempre più Paesi ricorrono a questa tecnica al fine di contrastare la crisi idrica e di migliorare la situazione climatica dei luoghi più aridi.

La pioggia straordinaria di Dubai

Paesi come India, Indonesia, Malesia, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti (UAE), da anni utilizzano tecnologie per la manipolazione del clima al fine di accrescere le riserve idriche a propria disposizione. Gli Emirati Arabi Uniti, in particolare, hanno avviato nel 1990 un programma di ricerca per la scienza del miglioramento della pioggia (UAEREP), che dal suo avvio si occupa di promuovere il progresso scientifico, lo sviluppo di nuove tecnologie in questo settore e di garantire l’accesso all’acqua in aree geografiche aride e semi-aride.

Nonostante gli Emirati Arabi Uniti pratichino con successo l’inseminazione delle nuvole da anni, il mese scorso precipitazioni straordinarie hanno colpito il Paese causando danni significativi.

Il 16 aprile, a Dubai, si è abbattuto un violento nubifragio che ha portato, in sole 24 ore, alla caduta di oltre 140 millimetri di pioggia. Le immagini della città sommersa e delle auto trascinate dalla corrente hanno sconvolto gli scienziati di tutto il mondo, che ora si chiedono se la causa di tutto questo possa essere imputata al ricorso intensivo al cloud seeding. Il Centro Nazionale di Meteorologia dell’emirato ha confermato all’agenzia Bloomberg di aver avviato spedizioni di inseminazione nelle giornate precedenti al disastro naturale. Tuttavia, nonostante la violenta alluvione sia avvenuta a pochi giorni di distanza dalle operazioni del Centro, secondo gli esperti consultati dalla Bbc, il cloud seeding potrebbe aver contribuito in modo marginale, se non trascurabile, e pertanto sarebbe errato attribuire a esso la responsabilità del disastro verificatosi.

Anche se questa volta la tecnologia di inseminazione delle nuvole non sembra essere la diretta responsabile per quanto accaduto, non si ha una totale conoscenza dei possibili impatti negativi di questa tecnologia. Perciò, all’interno dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) è stato creato un gruppo di lavoro che si occupa di indagare i possibili effetti indesiderati e di sorvegliare il crescente utilizzo di tale pratica.

Sebbene non si abbia una conoscenza completa delle conseguenze che questa tecnologia potrebbe portare, per molti Paesi il cloud seeding rappresenta un efficace strumento per migliorare le condizioni idriche delle zone siccitose. In Paesi come il Messico e gli Stati Uniti occidentali, infatti, questa tecnologia rappresenta un’alternativa più economica di altre soluzioni, quale, a esempio, la desalinizzazione dell’acqua marina prelevata direttamente dall’oceano.

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Jacopo Biagi

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