Le elezioni amministrative turche: un'analisi dello scenario

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  Michele Magistretti
  04 aprile 2024
  3 minuti, 25 secondi

Le elezioni amministrative hanno provocato un piccolo terremoto politico in Turchia. L’opposizione, monopolizzata dal partito popolare repubblicano (CHP) ha confermato i propri sindaci uscenti ad Ankara e Istanbul e ha strappato altre importanti città, tra cui Bursa, al governo del partito islamista di Erdoğan (AKP).

Vediamo quindi quali sono i dettagli di questa tornata elettorale, evidenziandone anche gli aspetti chiaro-scuri.

La sconfitta di Erdogan: tra fine dell’invincibilità e nuove incognite

Le elezioni amministrative sono un appuntamento elettorale che non può essere paragonato alle presidenziali, ma possono aiutare ad analizzare qualche nuova tendenza o possono essere utili per testare l’umore della cittadinanza.

I risultati devono essere contestualizzati principalmente considerando tre fattori: i numeri dell’affluenza e le pessime performance dell’economia turca e le leadership. La Turchia detiene ancora uno tra i tassi maggiori di partecipazione elettorale al mondo nonostante tutti i deficit democratici del Paese, ma in questo ciclo di elezioni l’affluenza è calata dal precedente 85% a circa il 77%. Questo calo è un segnale della disaffezione di una parte dell’elettorato conservatore, che ha voluto punire il presidente, incapace di trovare una via di uscita alla crisi economica, in particolare riguardo l’inflazione che erode il potere d’acquisto delle fasce più povere del proprio elettorato. Inoltre, a contribuire alla sconfitta elettorale del rais turco vi è anche la concorrenza da destra del Nuovo Partito del Benessere, fondato dal Fatih Erbakan, figlio dell’ex padrino politico dello stesso Erdoğan, che si pone su posizioni islamiste ancora più radicali e ha raccolto complessivamente il 6% dei suffragi, contribuendo alla sconfitta dell’AKP in varie città. Fatih Erbakan critica la corruzione e i fallimenti del governo in economia, oltre a desiderare una più rigida moralizzazione della società in piena coerenza con la dottrina Millî Görüş ispirata dal padre Necmettin.

L’opposizione, pur avendo trionfato nel proprio obbiettivo, si trova con un vincitore principale, il CHP, e molti sconfitti, tra cui il partito curdo DEM e il partito di destra kemalista moderata, IYI, il cui leader Meral Akşener ha infatti poi annunciato le dimissioni. L’esperimento tentato dai fuoriusciti dal MHP, l’alleato di destra ultranazionalista di Erdoğan, di strappare voti nazionalisti alla coalizione del presidente pare per ora fallito.

Per la prima volta dagli anni ’70, il CHP vince una elezione e per la prima volta il partito supera il rivale islamista per numero di voti, attestandosi al 37% contro il 35% dell’AKP. Il volto principale di questo successo elettorale è il sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, che aveva già dovuto lottare contro un tentativo di frode elettorale che aveva portato alla ripetizione delle elezioni nel 2019, riuscendo comunque a sconfiggere il candidato dell’AKP anche al secondo turno. Dopo aver finalmente mandato in pensione l’ex leader Kemal Kılıçdaroğlu dopo la sconfitta delle presidenziali del 2023, il CHP ha scelto un nuovo leader, Özgür Özel, e ha puntato sulla figura di Imamoğlu come il volto candido dell’anti-erdoganismo. Molti analisti si interrogano infatti su quale avrebbe potuto essere l’esito delle scorse presidenziali se il CHP avesse preferito la strategia di lungo periodo alla tattica e alle manie di protagonismo del proprio vecchio leader.

Da parte sua, dopo una campagna elettorale scarica e dai toni meno battaglieri, il presidente ha riconosciuto la sconfitta con toni insolitamente umili e lucidi, avendo fiutato nel Paese lo scontento nei suoi confronti, e ha promesso una correzione di rotta per ovviare agli errori commessi. Nel mentre, da scaltro e abile manipolatore politico, ha promesso anche un nuovo round di offensive nei confronti dei terroristi curdi del PKK, anche in cooperazione con i clan curdi iracheni dell’Iraq settentrionale. L’epoca di Erdoğan non è quindi finita, forse non è nemmeno iniziato il suo tramonto, ma sicuramente si è spezzato l’incantesimo: il Sultano può essere sconfitto. 

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Michele Magistretti

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