Patrick Zaki: la battaglia per il rispetto dei diritti umani

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  Francesca Alfonzi
  31 luglio 2023
  6 minuti, 19 secondi


La storia di Patrick Zaki ha scosso profondamente l’opinione pubblica di tutto il mondo. Opinione pubblica che, dal 2020, ha dapprima assistito con apprensione al suo arresto e alla detenzione durata 22 mesi, successivamente ha atteso per lunghissimo tempo l’emanazione di una sentenza definitiva, protestato per la sua condanna (avvenuta il 17 luglio) e infine ha tirato un sospiro di sollievo per la concessione della grazia da parte del presidente egiziano Al-Sisi.

Quella di Patrick è infatti una vicenda giudiziaria estremamente complessa e controversa che ha inizio il 7 febbraio 2020, data in cui il giovane studente egiziano, iscritto al programma di Studi di Genere e delle Donne GEMMA presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, atterra al Cairo per trascorrere un breve periodo in compagnia della sua famiglia, ma viene fermato e preso in custodia dalla polizia egiziana. Nelle 24 ore successive, secondo varie fonti e in particolare secondo gli attivisti dell’ONG Egyptian Initiative for Personal Rights di cui anche Patrick fa parte, sarebbe stato torturato e sottoposto ad un interrogatorio concernente il suo attivismo in favore dei diritti umani in luoghi di detenzione non ufficiali dell’Agenzia per la sicurezza nazionale. L’8 febbraio compare in udienza davanti alla procura della città di Mansura per la convalida dell’arresto. Le accuse, nonostante le numerose smentite della difesa, si basano principalmente su alcuni post pubblicati da un account Facebook attribuitogli e sono relative a terrorismo, istigazione alla protesta e gestione di account social volti a minare la sicurezza nazionale. Da quel momento ha inizio una interminabile vicenda giudiziaria, durata più di tre anni e fatta di continui rinvii e violazioni del diritto a un giusto processo. Infatti, le prime due udienze si tengono solo nel luglio del 2020, a distanza di circa cinque mesi dall’arresto, e solo nella seconda Patrick riesce a rivedere, per la prima volta dal 7 marzo, il suo avvocato.

In questo periodo si assiste ad una mobilitazione internazionale impressionante. Mentre in Italia vengono lanciate petizioni, indette innumerevoli manifestazioni e appelli di scarcerazione, anche l’Europa si mobilita: l’allora presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, si appella al Governo egiziano affinché rilasci l’attivista, ma, nonostante questo, il processo ha inizio solo dopo 19 mesi di custodia cautelare.

La prima, seppur minima, svolta, si ha il 7 dicembre 2021, dopo ben 22 mesi di ingiusta detenzione: in questa data viene disposta la scarcerazione di Patrick, ma lo studente non è assolto dai capi d’accusa. Nel periodo successivo, vissuto con incertezza ed apprensione a causa dei continui e ingiustificati rinvii, Patrick riceve la cittadinanza onoraria dal Comune di Roma e discute la sua tesi di laurea a distanza, terminando il suo percorso di studi con la votazione di 110 e lode. La felicità di questo traguardo è subito cancellata da una terribile sentenza emessa il 18 luglio che condanna il neolaureato a tre anni di carcere. L’immagine di Patrick trattenuto dalla polizia lascia attonito il mondo intero, che assiste così a quello che è stato definito il ‘peggiore degli scenari possibili’, come afferma Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International. Tuttavia, alla brevissima distanza di sole 24 ore, arriva la concessione della grazia da parte del presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi: notizia inaspettata che conclude positivamente l’intera vicenda giudiziaria di Patrick George Zaki, ma che comunque non cancella le violazioni dei diritti subite e non restituisce all’attivista gli ultimi tre anni della sua vita.

Per quanto concerne la questione relativa ai diritti umani, come precedentemente accennato, questi non sono stati garantiti a dovere per Patrick Zaki. In primis, vi è da ricordare che l’Egitto è un paese che ha sempre riscontrato molte difficoltà sotto questo punto di vista e innumerevoli organizzazioni, come la stessa Amnesty International, denunciano da anni quella che è la condotta di questo stato. Difatti, a fronte delle norme esistenti a livello universale relative ai diritti dell’uomo, come il Patto delle Nazioni Unite del 1966, ma anche considerando la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (ratificata dall’Egitto), risulta contraddittoria l'attitudine delle autorità egiziane a fare spesso ricorso a misure repressive come sparizioni forzate, arresti di massa, tortura, uso eccessivo della forza e restrizione della libertà personale.

Nelle vicende che coinvolgono il giovane studente dell’università di Bologna si fa riferimento principalmente ai diritti essenziali alla vita, all’incolumità fisica, alla dignità personale, all’accesso alla giustizia e ad un equo processo.

Infatti, dopo essere stato preso in custodia dalle forze dell’ordine egiziane nel 2020, Patrick ha dovuto subire diversi atti di violenza e tortura: oltre ad essere stato bendato e ammanettato per circa 17 ore durante l’interrogatorio avvenuto nello scalo aeroportuale, l’attivista sarebbe stato, nel corso del periodo seguente, malmenato sulla pancia e sulla schiena e torturato con scosse elettriche. Ad aggravare la situazione vi è l’aura di iniquità e di irregolarità che fin dal principio ha avvolto l’intera vicenda giudiziaria: nonostante le varie smentite della procura egiziana, le modalità del fermo di quel 7 febbraio 2020 sono state reputate illegali dalla difesa. Successivamente, tra il 2020 e il 2021, Zaki ha anche rischiato una condanna a 25 anni di carcere per diffusione di notizie false, incitamento alla protesta e istigazione alla violenza e a crimini terroristici: accuse basate su dei post Facebook che, in primo luogo, non sono mai stati resi noti, ma che lui stesso ha sempre negato di aver scritto. Inoltre, nel corso della sua lunga detenzione, per molti mesi non gli è stato permesso di ricevere visite dall'esterno così come non gli fu consentito di presenziare ai suoi processi.

In questi tre lunghi anni anche le condizioni fisiche e mentali del giovane studente sono state una grande fonte di preoccupazione. Nel periodo che Patrick ha passato in prigione, lo stress psicologico a cui era sottoposto era immane (‘il mio stato mentale non è un granché dall’ultima udienza’ così ha scritto in una delle lettere alla famiglia) ed era dovuto sia alla paura e all’incertezza per il proprio futuro ma anche alle difficili condizioni in cui stava vivendo: il carcere di Tora, uno dei vari in cui ha vissuto, è noto per le pessime condizioni in cui versano i detenuti, Zaki, ad esempio, ha dormito sempre per terra e lui stesso ha espresso la necessità diforti antidolorifici e di qualcosa per dormire meglio’.

Fortunatamente questa vicenda si è conclusa con un lieto fine: il ritorno di Patrick Zaki in Italia, il giorno 23 luglio 2023, ha tranquillizzato molti animi ed è stato una fonte di grande sollievo per tutti coloro che hanno seguito con il fiato sospeso questa battaglia giudiziaria. Le speranze per il futuro sono chiaramente che questo genere di situazioni non si verifichino più e affinchè questo avvenga - come ha sostenuto Zaki stesso - è necessario che l'Italia, così come l'Unione Europea, sollecitino l’Egitto al rispetto dei diritti umani.


A cura di Mariasole Caira e Francesca Alfonzi


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L'Autore

Francesca Alfonzi

Laureata nel 2021 in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna; al primo anno di Magistrale in Relazioni Internazionali presso l'Università Sapienza di Roma.

Autrice per l'area tematica 'Diritti Umani'

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Diritti Umani

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Patrick Zaki Libertà freedom human rights Egypt Egitto Zaki