Pechino, Manila e Washington: un rapporto complicato

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  Francesco Oppia
  14 aprile 2024
  6 minuti, 11 secondi

A inizio marzo, le principali agenzie di stampa hanno riportato l’aggressione cinese di una nave da rifornimento filippina nelle vicinanze del Second Thomas Shoal, un atollo conteso delle Isole Spratly. Le Filippine ne hanno preso possesso per la prima volta nel 1999 ed è attualmente controllato da un contingente di marines stanziato su una nave intenzionalmente incagliata sulla barriera corallina.

Immediatamente sono giunte le dichiarazioni di sostegno al governo di Manila da parte delle cancellerie occidentali, in particolare gli Stati Uniti, seguiti dall'Australia e dal Giappone che hanno palesato la loro preoccupazione per le azioni della Cina. Matthew Miller, il portavoce del Dipartimento di Stato americano, ha affermato che gli ultimi incidenti hanno dimostrato lo «sconsiderato disprezzo della Cina per la sicurezza dei Filippini e anche per il diritto internazionale» e che Pechino sta interferendo con «le legittime operazioni marittime filippine». Come risposta all’aggressione questi Paesi hanno organizzato un’esercitazione militare congiunta con Manila, il 7 aprile scorso.

Questa è l’ultima di una lunga lista di aggressioni per il controllo del Mar Cinese Meridionale in forza delle rivendicazioni derivanti della cosiddetta Nine-Dash Line, una linea autonomamente tracciata su una mappa del 1948 che assegna a Pechino gran parte del suddetto mare. Queste acque sono di estrema importanza per la sicurezza economica della Cina, poiché oltre il 60% del suo commercio, in termini di valore, avviene attraverso rotte marittime. Secondo le stime della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD), il Mar Cinese Meridionale è attraversato da circa un terzo del commercio marittimo globale, con un valore stimato di 5,3 trilioni di dollari. Le rivendicazioni cinesi sono state invalidate dalla Corte permanente di arbitrato dell'Aia nel 2016, che ha ritenuto non sufficienti gli elementi presentati dalla Cina per dichiarare la sua sovranità sugli atolli contesi. Tuttavia, il ministero degli Esteri cinese afferma di "non accettare né riconoscere" il lodo della corte.

Sebbene persistano importanti divergenze circa la politica internazionale, va evidenziato che nel 2022 la Cina rappresentava il primo partner commerciale delle Filippine con un interscambio di circa 39 miliardi di dollari, in crescita rispetto agli anni passati, seguita dagli Stati Uniti con circa trentasei miliardi di dollari nel medesimo anno. Nonostante ciò, Washington rimane il principale partner in materia di sicurezza in virtù del Trattato di Mutua Difesa del 1951, rinforzato dapprima nel 2014 e successivamente esteso lo scorso anno. L’accordo del 2014 consente alle forze armate statunitensi l’uso congiunto e la possibilità di ruotare truppe presso le basi militari filippine in cambio dell’intervento per una loro espansione. Le basi oggetto dell’accordo sono aumentate da cinque a nove nel 2023.

Le tensioni fra i governi di Manila e Pechino assumono ulteriore rilevanza in quanto la Cina le considera come espressione della più ampia relazione fra due differenti visioni dell’ordine regionale, nello specifico quella cinese e quella occidentale. In un recente articolo del giornale cinese Global Times, controllato dal Partito Comunista, sono state riportate le seguenti parole pronunciate da Ding Duo, vicedirettore dell'Istituto di diritto e politica marittima presso l'Istituto cinese per gli studi sul Mar Cinese Meridionale: « Gli Stati Uniti sono il più grande disturbo esterno alla pace e alla stabilità nel Mar Cinese Meridionale […] stanno cercando di rimodellare l'ambiente strategico intorno alla Cina rafforzando la loro alleanza militare con le Filippine per intervenire nella questione del Mar Cinese Meridionale, ma è inutile e potrebbe persino ritorcersi contro quando useranno il loro "trattato di mutua difesa" per minacciare la Cina ».

Come evidenziato dal Prof. Matteo Dian, nel saggio La Cina, gli Stati Uniti e il futuro dell’ordine internazionale del 2021, la Cina sostiene un ordine regionale sino-centrico basato sul principio della sovranità, e di conseguenza sul principio di non interferenza negli affari interni, che ponga la Cina al pari degli Stati Uniti e che progressivamente limiti il sistema di alleanze americano. Questo progetto si sostanzia in un differente approccio alla cooperazione internazionale, tra cui si evidenzia il rifiuto delle alleanze formali. Invero la Cina ha sviluppato un esteso e variegato reticolo di “Strategic Partnerships” che tuttavia esclude alcuni partner chiave, come la Corea del Nord. Parallelamente, Pechino persegue la graduale ristrutturazione della “governance” multilaterale, come dimostrato dalla promozione della Belt and Road Initiative e dalla fondazione della Asian Infrastructure Investment Bank. Nel suo insieme la visione cinese dell’ordine regionale è sintetizzabile nella frase pronunciata da Xi Jinping nel 2014 «Spetta al popolo asiatico gestire gli affari dell'Asia».

Al contrario, gli Stati Uniti, qui considerati come rappresentati del diversificato mondo occidentale, promuovono una regione fortemente integrata nell’ordine internazionale liberale a guida statunitense, sia dal punto di vista della “governance” multilaterale sia dal punto di vista economico e giuridico. Nello specifico ciò si concretizza attraverso il coinvolgimento dei Paesi asiatici in istituzioni quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio. A questo elemento si associa il rafforzamento e lo sviluppo di una rete di alleanze bilaterali che possa limitare l’ascesa della potenza cinese e le sue iniziative sul palcoscenico globale. I Paesi interessati sono il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia, la Thailandia e le Filippine. Con il medesimo fine, sul piano multilaterale, Washington ha favorito lo sviluppo del gruppo “Quad” (che include oltre agli Stati Uniti anche l’Australia, il Giappone e l’India), e congiuntamente il dialogo con il gruppo ASEAN. Questa visione è sintetizzabile nell’idea «Free and Open Indo-Pacific» espressa nella Strategia per l’Indopacifico della Casa Bianca pubblicata nel 2022.

Negli ultimi anni si è molto parlato del concetto di “Trappola di Tucidide”, coniato dall’accademico statunitense Graham Allison, che prevede l’inevitabilità dello scontro fra Stati Uniti e Cina. In una recente intervista concessa al Global Times il politologo statunitense ha indicato che insieme a Taiwan, le Filippine potrebbero rappresentare uno dei "punti caldi" per l'inizio di un'escalation, alla luce delle recenti tensioni e dei rapporti tra i tre Stati. Quest'idea, sebbene plausibile, nel breve termine sembra essere contraddetta dalla rilevanza dei legami economici tra Manila e Pechino, oltre al ripreso dialogo tra l'Amministrazione Biden e il governo cinese dopo il summit di San Francisco. Tuttavia, data l'elevata incertezza sia regionale sia globale, è essenziale continuare a monitorare attentamente la situazione.

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Francesco Oppia

Autore di Mondo Internazionale Post

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Asia Orientale

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