Una nazionale per due nazioni

Il caso dell'Irish Rugby Football Union

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  Matteo Gabutti
  12 novembre 2023
  7 minuti, 28 secondi

Lo scorso 28 ottobre si è conclusa la decima edizione della Coppa del Mondo di Rugby a 15 con la vittoria del Sudafrica. Gli Springboks si sono infatti laureati campioni per la quarta volta nella loro storia, bissando il successo ottenuto quattro anni fa in Giappone nella finale contro l’Inghilterra. Questa volta a fermarsi sul secondo gradino del podio è stata la Nuova Zelanda, arresasi sul punteggio di 12-11 solo al termine di una partita tanto avvincente quanto caotica, condita da errori e cartellini – tra cui il rosso diretto al capitano dei Kiwi Sam Cane, inedito in una finale.

Eppure, gli All Blacks non sono gli unici ad aver lasciato la competizione con più di un rimpianto. Grandi aspettative accompagnavano anche il cammino della squadra ospitante, la Francia, interrottosi anzitempo ai quarti di finale proprio contro i futuri campioni del mondo. Grande delusione ha poi fatto seguito all’uscita, sempre ai quarti, dell’Irlanda, in testa al ranking mondiale fino all’eliminazione, nonché unica squadra a poter rivaleggiare con i padroni di casa per il supporto allo stadio. Per un mese e mezzo, infatti, intere legioni vestite di verde hanno invaso l’Esagono, e in particolare lo Stade de France a Parigi, preso d’assalto a ogni partita da oltre 40’000 tifosi irlandesi.

Chi in quei giorni viaggiava sulla metro per Saint-Denis, in direzione dello stadio, veniva travolto da un’euforica fiumana dal forte accento gaelico, inebriata dal gioioso odore di sudore e birra, e pigiata così strettamente da far mancare il fiato. Difficile figurarsi una fanbase (letteralmente) più unita e compatta. Ancor più arduo immaginare che tanto ardore si raccolga intorno a una nazionale che in realtà ne contiene due, e che riunisce in sé i fronti di uno dei territori europei più balcanizzati del secolo scorso. Sì, perché quella che abitualmente chiamiamo Irlanda è in realtà la Irish Rugby Football Union (IRFU), e rappresenta sia la Repubblica d’Irlanda sia l’Irlanda del Nord.



Ponti e confini

Per più di cento anni, sentimenti nazionalisti e unionisti hanno dilaniato l’Isola di Smeraldo, anche dopo la divisione del 1921 tra un Sud cattolico indipendente e un Nord protestante lealista nei confronti di Londra. Fino al 1998, infatti, la permanenza di Belfast nel Regno Unito vacillò mentre la città sanguinava durante i cosiddetti Troubles. Con questo termine si fa riferimento al conflitto fratricida che travolse l’Irlanda del Nord per trent’anni in merito alla riunificazione dell’isola, opponendo in particolare le forze paramilitari unioniste ai nazionalisti dell’IRA (Irish Republican Army). Circa 3’600 persone vi persero la vita, mentre il numero di feriti superò i trentamila.

Eppure, vi è un luogo che riuscì a sfuggire al settarismo violento, costituendo una sorta di incrollabile zona franca, ovvero il campo da rugby. Ieri come oggi, infatti, l’IRFU riunisce i migliori talenti e il sostegno unanime di tutte e quattro le province dell’isola, ciascuna con la propria cultura e la propria bandiera.

Queste sono Leinster, la provincia di Dublino col simbolo dell’arpa, Connacht, la provincia occidentale sulla cui bandiera figurano un’aquila nera e una mano bianca che brandisce una spada, Munster, nel sudovest, con tre corone dorate su sfondo blu, e infine Ulster, che comprende la maggior parte dell’Irlanda del Nord ed è simboleggiata dalla mano rossa di Ulster. Tutti e quattro gli stemmi sono inclusi nella bandiera dell’IRFU, che come sempre compariva nei tabelloni del mondiale al posto del tricolore verde-bianco-arancione della sola Repubblica d’Irlanda. Proprio la bandiera, proposta per la prima volta nel 1925, reincarna con la propria longevità la capacità di compromesso che ha da sempre caratterizzato l’IRFU, nonostante le tensioni che hanno scosso l’isola per tutto il ventesimo secolo.



La voce dei tifosi

Il rugby unisce tutti”, ha detto Denis, aspettando di entrare allo stadio per la sfida ai gironi contro la Scozia, insieme alla moglie e i cinque figli, tutti in completo verde. “Fa bene allo sport, fa bene all’Irlanda, fa bene alle prospettive future”. “Ogni provincia ha la propria identità e il proprio stile di gioco individuale”, ha aggiunto Michelle, che ha percorso in macchina gli oltre 1200 km tra Galway e Parigi per assistere a ogni partita dell’IRFU. “La squadra mette insieme tutte queste peculiarità, così che ci rafforziamo come quartetto”.

Naturalmente, rimangono alcune piccole controversie, per esempio riguardo all’inno da cantare alle partite, un quesito sorto fin dalla prima edizione dei Mondiali nel 1987. La soluzione fu quella di commissionare al musicista irlandese Phil Coulter la canzoneIreland’s Call”. Ma ancora oggi, seppur unanimi nel considerare come positivo il fatto di avere una squadra che includa anche i cugini del Nord, molti intervistati dell’Éire – nome gaelico della Repubblica d’Irlanda – vorrebbero intonare anche il proprio inno nazionale, “Amhrán na bhFiann” ("la canzone del soldato"). Tuttavia, anche i giovani come Aaron e Ronan credono che “dobbiamo fare qualche sacrificio per unire le comunità del Nord e del Sud”. E così, anche “Ireland’s Call” ha finito per essere accettata, e cantata a squarciagola da far tremare le fondamenta dello Stade de France.

Nessun intervistato ha mai visto o sentito parlare di tensioni tra i tifosi di rugby del Nord e del Sud, neppure durante i Troubles. “Scontri e disordini sono roba da calcio” ha affermato Sean, studente del Dublin University College. Proprio per il calcio esistono due nazionali distinte, contrariamente al desiderio di molti, che preferirebbero invece vedere un’unica squadra a rappresentanza dell’intera isola come per il rugby.



Non è mai “solo sport”

“La struttura dello sport internazionale tende a riflettere quella di un mondo diviso in nazioni in competizione fra loro”, ha affermato Nicola Sbetti, professore di Storia e cultura dello sport all’Università di Bologna. In questo contesto, “l’eccezione dell’IRFU è molto significativa, ma non completamente isolata”. La stessa Irlanda, infatti, presenta un’unica nazionale anche per il cricket e per lo shinty-hurling – un ibrido gaelico-scozzese per certi versi simile all’hockey. Un’altra eccezione contemporanea è rappresentata dalla squadra di cricket delle Indie Occidentali, retaggio del colonialismo. All’interno dell’impero britannico, infatti, per ragioni di competitività, tutti i Caraibi vennero uniti in un’unica squadra per affrontare gli Inglesi, col risultato di dare vita a una ‘nazionale’ che dominò il panorama mondiale di cricket per tutti gli anni Settanta.

D’altro canto, ha aggiunto il Professore, la storia dell’IRFU fornisce un esempio lampante dell’uso politico dello sport”, e di come questo possa assumere significati diversi a seconda del contesto e degli attori in gioco. Come anche riportato in un articolo dell’Irish Examiner, infatti, l’IRFU sopravvisse alla partizione dell’isola essenzialmente perché i suoi esponenti a Dublino nutrivano sentimenti unionisti, e contrastarono il distaccamento dell’affine provincia di Ulster. Baluardo dei nazionalisti irlandesi era invece la Gaelic Athletic Association (GAA), fondata nel 1884 per promuovere una cultura sportiva antagonista a quella di Londra, che formalizzò una serie di discipline quali il calcio gaelico e l’hurling per contrastare il crescente successo dei britannici nel calcio, rugby, e cricket. All’epoca, dunque, il contrasto politico tra nazionalisti e unionisti trovava la sua traduzione negli sport propugnati dalla GAA e da quelli di matrice inglese cui apparteneva l’IRFU.

Da allora, tuttavia, la popolarità della palla ovale è cresciuta e, dalle parole del Professore, oggi il rugby e l’IRFU attirano “un senso di appartenenza che va al di là della divisione nazionale”. Ennesima dimostrazione della capacità dello sport di abbattere o di ergere confini grazie alle emozioni e al trasporto che suscita, in luce di cui non si può mai dire, in fondo, che si tratti “solo di sport”.

Interviste a Saint-Denis condotte dall’Autore con il supporto di Caterina Sanniti e Tommaso De Bellis

Interviste all’University College Dublin condotte da Sebastian Morabito

Intervista al Professor Nicola Sbetti condotta dall’Autore


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L'Autore

Matteo Gabutti

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Matteo Gabutti è uno studente classe 2000 originario della provincia di Torino. Nel capoluogo piemontese ha frequentato il Liceo classico Massimo D'Azeglio, per poi conseguire anche il diploma di scuola superiore statunitense presso la prestigiosa Phillips Academy di Andover (Massachusetts). Dopo aver conseguito la laurea in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Università di Bologna, al momento sta conseguendo il master in International Governance and Diplomacy offerto alla Paris School of International Affairs di SciencesPo. All'interno di Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autore per l'area tematica Legge e Società, oltre a contribuire frequentemente alla stesura di articoli per il periodico geopolitico Kosmos.

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Matteo Gabutti is a graduate student born in 2000 in the province of Turin. In the Piedmont capital he has attended Liceo Massimo D'Azeglio, a secondary school specializing in classical studies, after which he also graduated from Phillips Academy Andover (MA), one of the most prestigious preparatory schools in the U.S. After his bachelor's in International Relations and Diplomatic Affairs at the University of Bologna, he is currently pursuing a master's in International Governance and Diplomacy at SciencesPo's Paris School of International Affairs. He works with Mondo Internazionale as an author for the thematic area of Law and Society, and he is a frequent contributor for the geopolitical journal Kosmos.

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