Analisi globale sulla condizione della donna in Sud America

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  Redazione
  13 August 2020
  7 minutes, 35 seconds

A cura di Simona Sora

El estado opresor es un macho violador

(Un violador en tu camino – Las Tesis)


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Questo articolo si propone di fare un punto sulla situazione generale in cui vivono le donne in Sud America. I Paesi che compongono questa regione sono enormemente diversi tra di loro per cultura, tradizioni specifiche, inflessioni linguistiche (oppure lingua) e situazione politica. Nonostante questo, però, si possono ritrovare degli elementi comuni, una sorta di fil rouge che lega insieme Stati grandi e piccoli, emergenti e in crisi, in cui si parla come idioma ufficiale il castigliano o una versione autoctona della lingua portoghese: uno di questi è l’impegno con cui le donne sudamericane combattono per veder riconosciuti i propri diritti. Si tratta di una lotta che coinvolge interessi economici e politici oltre che culturali[1], ed è perciò rappresentativa della complessità sociale che caratterizza il subcontinente americano. Las mujeres scendono in piazza, manifestano, creano legami e si associano, sapendo di combattere non solo per loro stesse, ma anche per un mondo più giusto per tutti.

La piaga della violenza contro le donne è diffusa in modo capillare in tutto il territorio qui preso in esame: a titolo esemplificativo si riporta che, secondo le statistiche 2020 di UN WOMEN, le donne di età compresa tra i 15 e i 49 anni, che hanno subìto una violenza da parte del proprio partner nell’ultimo anno nella regione del Sud America e Caraibi corrispondono all’11.8% del totale[2]. La percentuale è già di per sé molto alta (a tutte queste vittime si devono poi aggiungere quelle che subiscono violenza per mano di qualcuno di esterno alla cerchia familiare), tuttavia leggendo le note a piè di pagina si nota che questi dati corrispondono ad una stima fatta su sedici Paesi e con una copertura della popolazione di appena il cinquanta percento. Questo significa che moltissimi casi (anche di minori[3]) sfuggono alle statistiche ufficiali.

Oltre ad una violenza esercitata sul corpo femminile e profondamente diffusa, un altro problema che las mujeres incontrano in una società come quella sudamericana è il razzismo: non è un caso infatti che siano proprio le componenti femminili delle comunità indigene ad esserne più spesso vittime sia da parte delle persone bianche o meticce che da parte degli stessi indígenas. Talvolta, non si tratta nemmeno di essere oggetto di violenza verbale o fisica, bensì di qualcosa di più sottile: ad esempio, è significativo che un celebre personaggio comico della televisione peruviana, La paisana Jacinta, sia una donna chiaramente andina (checché ne dica il suo creatore e interprete) che vive disavventure in città a causa della sua scarsa comprensione del castigliano e della sua generale ignoranza. Nonostante numerose organizzazioni ed esponenti del governo abbiano più volte accusato il programma di razzismo, il personaggio continua a calcare gli schermi televisivi di un Paese in cui le discriminazioni sono ancora all’ordine del giorno[4].

Las mujeres son más indias è un’espressione rappresentativa del fenomeno oltre che il titolo di un importante studio di Marisol de la Cadena[5] che, nonostante riporti il lavoro sul campo svolto su uno specifico pueblo andino, evidenzia risultati che potrebbero benissimo fare riferimento a diverse zone della regione. In un gioco culturale al ribasso, in una società in cui spesso avere tratti somatici indigeni rappresenta un problema in termini di accesso alle strutture e al mondo del lavoro, essere una donna dai tratti diversi da quelli “bianchi” significa sovente essere considerata far parte del gradino più basso della scala gerarchica. Questo vuol dire, non solo avere poca o nulla possibilità di ascesa sociale, ma anche rischiare di essere vittima di violenza ingiustificata ed efferata.

Considerare come casi isolati gli stupri e le violenze compiuti in modo sistematico contro le donne indígenas durante i periodi di guerriglia tra le forze governative e i movimenti rivoluzionari in Perù[6] e in Guatemala nelle ultime decadi del secolo scorso sarebbe infatti peccare di ingenuità: nonostante l’incredibile brutalità dei fatti riportati nei documenti redatti alla fine delle guerre, le notizie di violenze compiute contro le donne appartenenti alle comunità indigene continuano a susseguirsi in tutta la regione. L’ultimo fatto in ordine di tempo riporta di una bambina vittima di uno stupro di gruppo da parte delle forze militari in Colombia, il 23 giugno scorso[7]: nonostante la firma dell’accordo di pace tra il governo e le FARC avvenuta nel 2016, la brutalità contro i popoli indigeni nel Paese non accenna infatti a diminuire[8].

Sarebbe però sbagliato parlare delle donne solo come “vittime” di una situazione sfavorevole, di maltrattamenti o di un destino avverso e incontrollabile: las mujeres sudamericane infatti possono vantare una lunga storia di lotta per i diritti loro e di coloro che hanno accanto. Dall’attiva partecipazione ai movimenti di liberazione dalle feroci dittature militari che hanno insanguinato molti Paesi della regione nel secolo scorso, alle marce contro il fenomeno delle sparizioni forzate e per la restituzione dei figli dei desaparecidos alle famiglie legittime (l’organizzazione de Las Abuelas de Plaza de Mayo in Argentina è solo l’esempio più celebre), all’impegno per la protezione dei diritti di esseri umani, culture e territorio, le donne di differenti nazioni hanno sempre mostrato il potere di camminare insieme e unire le proprie voci. Ancora oggi è così, si pensi alle marce delle esponenti femminili delle società indigene in Brasile[9], che combattono in difesa delle loro comunità e della loro terra o alle manifestazioni di Ni Una Menos[10] che si svolgono in diverse città della regione per mantenere alta l’attenzione sui diritti che mancano (l’aborto ad esempio[11]) e sulle violenze di cui le donne sono spesso vittima.

Data questa capacità di organizzazione, non stupisce che la percentuale femminile nei ruoli di rilievo a livello governativo sia in aumento negli ultimi anni. Sempre basandosi sul lavoro statistico portato avanti da UN WOMEN, si viene tuttavia a conoscenza di una forte eterogeneità tra i Paesi della regione: passiamo infatti dal 55.6% di donne in posizioni di potere politico in Nicaragua al 9.1% del Brasile (entrambi i dati sono del 2019)[12].

Purtroppo la partecipazione alla cosa pubblica a livello anche locale spesso non è facile in territori in cui gli interessi politici ed economici sono così profondamente intrecciati: non è raro che gli attivisti per i diritti umani o ambientali paghino il loro impegno con la vita. Le notizie di persone uccise per il loro lavoro in ambito sociale si susseguono da anni in tutto il subcontinente (solo per citare alcuni esempi recenti: Carlota Isabel Salinas in Colombia, Marielle Franco in Brasile, Isabel Cabanillas de la Torre in Messico), e il numero di morti non accenna a diminuire. Secondo un report di IACHR sui rischi che corrono i difensori dei diritti umani in Colombia[13], le donne socialmente impegnate o le leader delle comunità indigene sono spesso colpite con una violenza diversa rispetto a quella riservata agli attivisti uomini: mentre questi ultimi sono solitamente oggetto di sparizione forzata, le esponenti femminili sono più spesso vittime di stupro, torture e minacce a sfondo sessuale; inoltre, è più facile che vengano colpiti altri membri della loro famiglia. Questo perché, sempre secondo le ricerche di IACHR, l'obiettivo di chi esercita violenza contro una donna impegnata nella difesa dei diritti non è solo quello di punirla, ma anche dare un avvertimento a tutta la comunità.

Appare significativo che le violenze possano essere compiute, oltre che da criminali comuni, anche da gruppi criminali più organizzati (si pensi ai narcos), da gruppi rivoluzionari politicizzati (Sendero Luminoso, FARC…), da mercenari al soldo dei grandi interessi economici (per l’estrazione mineraria, cercatori d’oro, sfruttamento della foresta e della terra…) o da soldati dell’esercito regolare; e molto spesso il legame tra mondo criminale e istituzioni è stretto a tal punto da rendere i rappresentanti della legge difficilmente distinguibili da coloro che commettono atti criminali. Questo fenomeno, che porta ovviamente ad una pesante mancanza di fiducia negli apparati statali da parte della società civile, è frutto sia del razzismo che del maggior peso degli interessi economici rispetto alle vite umane.

Sebbene, quindi, nella narrazione occidentale il Sud e Centro America sia spesso presentato come un territorio in cui è diffusa una cultura di violenza brutale e ingiustificata e in cui corruzione e disprezzo dei diritti umani rappresentano un linguaggio comune, è sempre utile ricordare che la situazione presente è frutto degli eventi passati. La storia della regione è stata caratterizzata per secoli da guerre di conquista, pulizie etniche, razzismo, sfruttamento e laboratori di tortura per guerre politiche di altri Paesi. Non c’è quindi da stupirsi se i sudamericani fanno ancora oggi i conti con un presente di violenze che poco hanno a che fare con la cultura, quanto più con la storia, l’economia e la politica.


Fonti consultate per il presente articolo:

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Donna mujeres violenza di genere razzismo manifestazioni derechos