Cosa ci guadagna l’Iran?

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  Redazione
  06 November 2023
  8 minutes, 20 seconds

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Anche se non esiste alcuna prova diretta del coinvolgimento dell'Iran nei recenti attacchi di Hamas a Gaza, Teheran ha precisi interessi nel volere umiliare Israele. Tuttavia, ha decisamente meno volontà di intraprendere una guerra più ampia.

Non appena Hamas ha condotto il suo spettacolare raid del 7 ottobre contro Israele, gli occhi di tutto il mondo si sono rivolti alla Repubblica islamica dell’Iran, che sostiene e finanzia Hamas sin dalla sua nascita, avvenuta nel 1988. Lo shock militare e sociale causato dall’incursione in territorio israeliano e la portata con la sofisticata precisione chirurgica dell’intera operazione hanno portato molti analisti a nutrire seri dubbi che tale complessa operazione avrebbe potuto essere interamente pianificata e coordinata solamente da Hamas senza un consistente intervento esterno.

Mentre le autorità iraniane hanno applaudito immediatamente agli attacchi sanguinari compiuti dagli incursori palestinesi, alcuni hanno ipotizzato che dietro questa azione terroristica poteva esserci l'Iran. Al di là del grado di coinvolgimento del regime iraniano nell’ “Operazione Al-Aqsa Flood”, sotto il profilo analitico vale anche la pena sollevare alcune domande, tra le quali fino a che punto gli ayatollah iraniani sono interessati a questa esasperata esplosione di violenza nel Vicino Oriente, e quali potrebbero essere le conseguenze a lungo termine di una rinnovata quanto accesa tensione, anche militare, con Israele e i suoi alleati?

Sospetti di coinvolgimento diretto

Il livello di pianificazione e competenza richiesto per gli attacchi aerei, anfibi, terrestri e sotterranei di Hamas ha sollevato la questione se il movimento palestinese abbia agito da solo e se abbia ricevuto assistenza quanto meno logistica dall’Iran.

Mentre le prime immagini dell’operazione “Al-Aqsa” si diffondevano sugli schermi di tutto il mondo, il Wall Street Journal affermava prontamente che gli ufficiali del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), l’esercito ideologico islamico della Repubblica Iraniana, avevano preparato, insieme ad Hamas, le incursioni sul territorio israeliano. Durante il fatidico fine settimana, a margine di un incontro franco-tedesco ad Amburgo, il presidente Emmanuel Macron ha ritenuto “probabile” che Hamas avesse beneficiato di “aiuti esterni”, senza ulteriori specificazioni.

Teheran è stata una delle primissime capitali a elogiare l'operazione lanciata da Hamas , movimento che la Repubblica islamica ha apertamente finanziato sin dalla sua nascita nel 1988. "L'Iran sostiene la legittima difesa della nazione palestinese", ha dichiarato il giorno dopo il presidente Ebrahim Raisi.

L’antefatto

Una settimana prima dell’attacco, la Guida Suprema iraniana e il Presidente della Repubblica hanno esortato congiuntamente tutti i paesi arabi a non stringere un patto con Israele per garantire la loro sicurezza, aggiungendo che farlo equivarrebbe a puntare sulla scelta sbagliata.

Durante una visita in Libano all'inizio di settembre scorso, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha incontrato funzionari di Hezbollah, Hamas e della Jihad islamica palestinese. Il capo della diplomazia iraniana ha poi ribadito a queste forze dell'“asse della resistenza” – un'alleanza politica e militare informale antioccidentale, anti-israeliana, anti-saudita e filo-iraniana – la promessa di un sostegno incrollabile da parte di Teheran.

Ad aprile, l'alto leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, si era già recato a Beirut per incontrare Hassan Nasrallah, alleato di lunga data di Teheran e segretario generale dell'organizzazione sciita Hezbollah, lui stesso armato e finanziato dal 1982 dalle Guardie della Rivoluzione Islamica.

Negazione e cautela

Tuttavia, al momento attuale, non esiste alcuna prova tangibile del coinvolgimento diretto dell'Iran nella conduzione dell'operazione Al-Aqsa Flood.

Gli ufficiali militari americani e israeliani sono giunti rapidamente alla stessa conclusione.

Nonostante le dichiarazioni di sostegno ad Hamas, le autorità iraniane hanno formalmente negato di aver avuto un ruolo attivo nell'offensiva del 7 ottobre. "L'Iran non interviene nel processo decisionale di altre nazioni, inclusa la Palestina", ha detto il portavoce diplomatico iraniano, Nasser Kanani.

In una dichiarazione separata, la missione del regime islamico presso le Nazioni Unite ha definito l’attacco “ferocemente autonomo e risolutamente in linea con gli interessi legittimi del popolo palestinese”.

“Negli ultimi due o tre giorni i sostenitori del regime sionista hanno fatto circolare voci secondo cui dietro questa azione c’è l’Iran islamico. Sono false”, ha dichiarato la Guida Suprema in un discorso all’accademia militare, durante il quale ha riaffermato il sostegno iraniano “alla Palestina”.

L’Iran come “Grande Fratello”

Pur respingendo le accuse di essere direttamente responsabile dell'invasione di Al-Aqsa, l'Iran non nasconde la sua totale solidarietà ad Hamas. Un appoggio esplicitamente illustrato all'indomani dei fatti di Gaza da due giganteschi striscioni esposti nel centro di Teheran: “La grande liberazione è iniziata”, proclamava uno di loro.

Al di là dei simboli e delle parole, i legami dell’Iran con Hamas sono documentati concretamente da tempo. I servizi segreti occidentali stimano che l'Iran contribuisca con non meno di 100 milioni di dollari al bilancio annuale di 500 milioni di dollari di Hamas.

Un rapporto del 2021 del Dipartimento di Stato americano ha stabilito che il gruppo ha ricevuto finanziamenti, armi e una sostanziale formazione tecnica dall’Iran e dalle sue varie organizzazioni come l’IRGC e la Forza Quds.

La strategia dell’Iran

Molti esperti ritengono che l’Iran abbia stretto una solida partnership strategica con Hamas, anche se quest’ultimo è un movimento sunnita derivante dall’organizzazione transnazionale dei Fratelli Musulmani.

Secondo gli esperti mediorientali, l’alto grado di coordinamento dimostrato tra le attività belliche di Hamas a Gaza e quelle di Hezbollah in Galilea mostra chiaramente la stretta complicità operativa che lega queste organizzazioni con l’IRGC e la leadership di al-Quds.

Si può verosimilmente concludere che, anche se non ci sono prove materiali di una partecipazione diretta da parte di questi ultimi, gli eventi di Gaza costituiscono una sorta di “11 settembre di Israele”.

Sebbene i dettagli della cooperazione iraniano-palestinese rimangano oscuri, Washington mantiene pochi dubbi sulla responsabilità della Repubblica islamica nell’attacco terroristico del 7 ottobre contro Israele.

Ciò di cui si può essere abbastanza certi è che l'Iran è stato verosimilmente complice di questi attacchi attraverso il suo sostegno decennale a Hamas.

I servizi di intelligence occidentali e israeliani continuano a indagare sull'esatto ruolo dell'Iran negli eventi di Gaza.

Le motivazioni geopolitiche di Teheran

Al di là dell’alleanza di segno ideologico e teocratico tra Iran e Hamas, resta la questione dell’interesse strategico che l’Iran potrebbe avere nell’improvvisa esplosione di violenza del 7 ottobre in un teatro già rovente come quello del Medio Oriente.

Le autorità statunitensi ritengono che l’incoraggiamento iraniano, diretto o indiretto, sia motivato dal desiderio di interrompere il processo di riavvicinamento diplomatico tra Israele, Arabia Saudita e le monarchie del Golfo Persico.

I leader iraniani non hanno nascosto la loro ferma opposizione al processo avviato dagli Accordi di Abramo.

Autorevoli personaggi governativi iraniani stanno avvertendo recentemente i paesi che sperano di risolvere i loro problemi normalizzando le relazioni con i “sionisti” che stanno mettendo seriamente in pericolo la loro sicurezza e quella della regione.

Gli analisti concordano anche sul fatto che Hamas e il regime iraniano hanno un interesse comune a silurare l’estensione degli Accordi di Abramo all’Arabia Saudita.

Per il movimento palestinese di Ismail Haniyeh, qualsiasi progresso compiuto in questa direzione dalla diplomazia americana potrebbe – in caso di successo – portare all'instaurazione di una coesistenza pacifica tra Israele e le monarchie del Golfo Persico, che sarebbe un sinonimo di concreto abbandono e conseguente emarginazione della causa palestinese.

Per la Repubblica islamica, un riavvicinamento israelo-saudita potrebbe infine portare all’emergere di un blocco regionale anti-iraniano più robusto.

Riaccendendo il conflitto israelo-palestinese, l’Iran e Hamas sembrano essere già parzialmente riusciti a far deragliare l’estensione degli Accordi di Abramo. La crisi di Gaza sta sconvolgendo il panorama politico del Medio Oriente. I massicci bombardamenti dell’aviazione israeliana sulla Striscia di Gaza, con le sue vittime civili e la devastazione urbana, hanno costretto le capitali arabe a prendere le distanze dal governo Netanyahu. La stragrande maggioranza delle cancellerie arabe ha formalmente accusato l'occupazione israeliana dei territori palestinesi di essere la fonte dell'attuale crisi.

Le autorità di Riyadh si sono affrettate a sospendere i negoziati con Israele. Anche Egitto e Giordania , sotto la pressione delle proprie opinioni pubbliche, stanno rivedendo i legami emergenti con lo Stato ebraico.

Nel lungo termine, il raffreddamento del processo di riavvicinamento arabo-israeliano rischia di mettere in discussione la strategia di isolamento dell’Iran avviata da Washington. A meno che, ovviamente, tutto ciò non si traduca in una diffusa conflagrazione militare.

Si stanno addensando nubi di guerra?

Molti osservatori ora si chiedono se l’attuale crisi abbia il potenziale per portare a un conflitto aperto. A prima vista, alcuni elementi non incoraggiano l’ottimismo. Come il teatro dei Balcani all’inizio del XX secolo, il Medio Oriente è una vera e propria polveriera e, come nel 1914, il gioco delle alleanze potrebbe portare a un conflitto regionale o addirittura globale.

L’intensificazione degli attacchi di Hezbollah in Galilea potrebbe portare a ritorsioni israeliane su vasta scala, che potrebbero, a loro volta, generare un’escalation delle tensioni, capace di sfociare in una conflagrazione più ampia. Inoltre, la caratteristica di questo tipo di rivalità nella “zona grigia” è la mancanza di chiarezza e di comunicazione, lasciando spazio a un’escalation mal calcolata.

Tuttavia, altri elementi suggeriscono che una conflagrazione regionale non è del tutto inevitabile.

Innanzitutto, tutti i protagonisti sono perfettamente consapevoli dei pericoli inerenti ad un conflitto capace di spiralizzarsi e delle conseguenze catastrofiche che uno scontro militare diretto potrebbe avere sul campo di battaglia convenzionale. Questo è il motivo per cui finora i maggiori protagonisti si sono astenuti dal confrontarsi direttamente, affidandosi invece a delegati e/o approcci indiretti. A totale beneficio della propria propaganda anti israeliana, l’Iran ha minacciato di intervenire nel conflitto qualora Israele lanciasse un’operazione di terra nella Striscia di Gaza.

In definitiva, nei fatti sono tutti decisamente riluttanti a imbarcarsi in un conflitto dall’esito così imprevedibile e negativo sotto il profilo delle relazioni internazionali.

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