Il cimitero dei feti

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  Redazione
  19 July 2021
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A cura di Sofia Perinetti

Sulle principali testate giornalistiche italiane, negli scorsi mesi, è apparsa la notizia sconcertante relativa ad un caso che è stato soprannominato il “Cimitero dei feti” e che racchiude nel nome stesso tutta la tragicità della vicenda.

In alcuni cimiteri del Lazio, ed in particolare in quello di Flaminio in via Flaminia a Roma, è nato il caso del "Cimitero dei feti" in seguito a diverse segnalazioni provenienti da donne malcapitate che hanno dovuto vivere una delle esperienze peggiori che la vita potesse riservare loro: la morte di un figlio.

Nel cimitero Flaminio sono state notate in un campo numerose piccole croci bianche nelle quali sono incisi dei nomi di donne, donne non morte. Sepolti sotto tali croci vi sono i figli mai nati delle malcapitate donne, feti morti in seguito ad aborti spontanei o terapeutici ed ormai troppo cresciuti per essere smaltiti come rifiuti speciali ospedalieri.

Il reale sesso del feto non viene considerato, il nome prescelto nemmeno. Vengono soltanto associati ai nomi delle donne che li hanno portati in grembo e che hanno firmato, per lo più in modo inconsapevole, un documento che demanda all’ospedale, in questo particolare caso il San Camillo di Roma, lo “smaltimento” del feto secondo le leggi vigenti in Italia. La legge a cui si fa riferimento in questo specifico caso è addirittura datata 1939 (Regio Decreto del 9 luglio 1939, n. 1238), secondo la quale i feti abortiti tra il quinto e il settimo mese di gravidanza devono essere tumulati come persone a tutti gli effetti, nate e successivamente morte. La legge, però, prevede che per la sepoltura del feto tramite “l’unità sanitaria locale” i “genitori” debbano presentare una domanda di tumulazione nelle successive 24 ore dall’avvenuto aborto. Tuttavia, nella realtà, ciò avviene in modo automatico senza che venga informata la donna che ha tenuto in grembo il feto, come atto volontario da parte dell’ospedale.

Oltre alla profonda tragicità dell’evento, questa vicenda evidenzia un grave problema di privacy nei confronti delle donne, i cui nomi e generalità non dovrebbero comparire sulle croci ed essere divulgate, ma che l’ospedale in questione fa pervenire all’Ama, azienda deputata allo smaltimento di rifiuti solidi a Roma, e così riportato sulle piccole croci bianche. Inoltre, alcune delle donne vittime di tale situazione lamentano di non essere state informate dell’avvenuta sepoltura del feto da parte dell’ospedale, anche dopo numerose sollecitazioni.

L’ospedale in questione, il San Camillo di Roma, ha rigettato le accuse che hanno portato all’apertura di un’istruttoria da parte di alcune ricorrenti, accusando piuttosto l’azienda addetta alla gestione dei rifiuti.

Nel procedimento si ipotizzavano i reati di violazione delle leggi sull’aborto e sulla diffusione dei dati personali.

Il risultato delle indagini svolte ha però portato, nell’aprile del 2021, allo stallo della vicenda: il pm preposto per indagare sul caso ha chiesto al GIP l’archiviazione del procedimento in quanto non vi sarebbero comportamenti dolosi, quindi, «le indagini svolte hanno documentato come le violazioni riscontrate non siano da imputarsi a condotte dolose e volte a danneggiare la riservatezza delle donne o ad un vantaggio personale, finanche di natura morale, ma unicamente da colpa nell’errata interpretazione dei regolamenti comunali» e, quindi, «si ritiene che non vi siano i presupposti per utile esercizio dell’azione penale».

In seguito alla richiesta numerose associazioni a tutela dei diritti delle donne, tra le quali Differenza Donna ONG, hanno promesso di continuare a battersi per ridare dignità alle donne della vicenda.

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