IL RUOLO DI FACEBOOK NELLA STRAGE IN MYANMAR

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  Laura Rodriguez
  10 September 2023
  5 minutes, 40 seconds

Grazie al rapporto fornito da Amnesty International a sei anni di distanza dalla spietata operazione delle forze militari in Myanmar che hanno decimato la popolazione dei Rohingya è stato possibile risalire al ruolo giocato dalla piattaforma di Meta nell'alimentare il massacro del gruppo. In particolare, Amnesty ha rivelato che gli algoritmi di Facebook, alimentati dalla continua ricerca di guadagno da parte di uno dei colossi delle Big Tech, hanno svolto una funzione fondamentale nell'alimentare l'odio contro i Rohingya, contribuendo in questo modo a rendere ancora più spietate le condotte che hanno portato alla pulizia etnica della popolazione. Uccisioni, stupri, violenze di ogni tipo sono state così fomentate dalla piattaforma social di Mark Zuckenberg che, grazie a pericolosi sistemi informatici, è stata in grado di alimentare le fiamme dell'odio e a stimolare il coinvolgimento in un massacro che può essere considerato come una delle più grandi crisi dei diritti umani del nuovo millennio.

Un passo indietro

Il popolo dei Rohingya può essere considerato come uno dei gruppi più perseguitati sulla Terra. Originariamente stanziati in Birmania (ufficialmente Repubblica del Myanmar, Stato al confine con il Bangladesh) sono una popolazione di religione musulmana che, dopo alcuni scontri sorti nel 2012, ha vissuto un'escalation di violenza che ha portato alla più brutale operazione di pulizia etnica (ormai riconosciuta come vero e proprio genocidio) iniziata nel 2017.

La vita del gruppo etnico in Birmania non è mai stata semplice. A differenza degli altri gruppi con cui condividono il territorio, infatti, i Rohingya sono sempre stati soggetti a discriminazioni diffuse, che vanno dall'obbligo di ottenere un permesso speciale per potersi sposare e viaggiare (ma anche per svolgere azioni "normali" come cercare lavoro o andare dal medico, per esempio) all'imposizione di tassazioni discriminanti, lavori forzati e negazione del diritto all'istruzione.

Dopo le prime violenze che si sono consumate in quadro che già allora presentava delle caratteristiche disumane e aveva catturato l'attenzione internazionale, dal 2017 la situazione è precipitata. Sono stati più di 730.000 i civili costretti a fuggire nei Paesi limitrofi, dove hanno cercato di sopravvivere insediandosi in campi profughi costruiti alla frontiera. Stabilizzatisi prevalentemente in Bangladesh, sono poi iniziati i primi tentativi di rimpatrio a seguito di un accordo bilaterale tra i Paesi, che hanno però subito ritardi e opposizioni a causa delle proteste sollevate da diversi gruppi per la difesa dei diritti umani.

La responsabilità di Meta

“Sono passati sei anni da quando Meta contribuì alle terribili atrocità perpetrate contro i Rohingya. Nonostante sia stato uno dei più clamorosi casi di coinvolgimento di una piattaforma social in una crisi dei diritti umani, i Rohingya stanno ancora attendendo riparazioni da Meta”. Queste sono le parole di Pat de Brún, direttore del programma Big Tech Accountability di Amnesty International.

Di fronte a dati inequivocabili, l'associazione ha sollevato la questione affinché venga fatta giustizia. Meta dovrà riconoscere le proprie responsabilità nell'aver preso parte, seppur solo indirettamente, alla pulizia etnica che ha costretto un'intera popolazione all'espatrio e l'ha vista vittima di violenze e uccisioni di massa. La politica imprenditoriale del colosso creato da Zuckenberg deve necessariamente essere modificata, in modo tale da scongiurare il ripetersi di una simile catastrofe.

Potrebbe non essere un caso che, nel giorno della pubblicazione del rapporto da parte di Amnesty, anche l'Unione Europea ha in qualche modo cercato di fare un passo avanti su questo fronte. Il 25 agosto è così entrato in vigore il Digital Service Act, una normativa che ha l'obiettivo di rendere le Big Tech maggiormente sensibili in materia di diritti umani. In altre parole, le disposizioni prevedono che le piattaforme social debbano rendere conto dell'impatto che le loro attività hanno sulla sfera dei diritti umani. Pur essendo una misura che riguarda solamente gli Stati del blocco europeo, la portata altamente innovativa delle nuove disposizioni potrebbe plausibilmente avere risonanza anche al di fuori del contesto Ue.

Nel 2021 Amnesty aveva pubblicato uno studio sul ruolo giocato da Facebook nelle violenze commesse nel 2017 dalle forze militari del Myanmar nei confronti del popolo Rohingya e, già in quella situazione, era emerso il fatto che Meta fosse al corrente del potenziale effetto amplificatore dei suoi algoritmi nel contesto della pulizia etnica. In maniera preoccupante, una ricerca della piattaforma stessa risalente al 2016 aveva espressamente affermato che “il nostro sistema di raccomandazioni [ossia, di contenuti suggeriti] accresce il problema” dell’estremismo.

Una responsabilità che si configura per questo ancora più importante e di fronte alla quale il gruppo Rohingya richiede con forza un risarcimento ai sensi del diritto internazionale. Secondo gli standard di quest'ultimo, infatti, su tutte le aziende incombe il dovere di rispettare i diritti umani nella gestione delle proprie attività, a prescindere dal luogo in cui operano. A questo proposito, i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani, così come le Linee guida dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico per le imprese multinazionali, richiedono un certo livello di tutela e salvaguardia dei principi alla base dell'esistenza umana, quali il diritto alla vita e alla salute.

Cosa sta succedendo oggi in Myanmar?

Dopo che nel dicembre 2019 Aung San Suu kyi, dal 2016 Consigliera di Stato e alla guida del Ministero degli Esteri, è stata portata di fronte alla Corte di Giustizia dell'Aja per rispondere alle accuse di genocidio rivolte al governo birmano, la Corte ha definito il gruppo dei Rohingya come “gruppo protetto dalla Convenzione” ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio.

A conferma dell'instabilità che caratterizza il Paese ormai da anni, nel febbraio 2021 il Myanmar è stato teatro di un violento colpo di stato che ha portato alla presa al potere da parte delle forze militari. Nell'insieme di violenze e arresti, è ovviamente aumentata l'apprensione nei confronti della minoranza Rohingya che, in maniera più esplicita rispetto al resto della società civile birmana, rischia di essere nuovamente presa di mira dalle forze al comando.

Il 12 luglio 2021 il Consiglio per i diritti umani dell'ONU ha adottato una Risoluzione che condanna le violazioni dei diritti umani da parte delle truppe militari nei confronti del gruppo etnico e di altre minoranze nel Paese. In questo modo, le Nazioni Unite hanno richiesto la cessazione degli attacchi alla popolazione non armata, così come la fine della trasgressione delle leggi umanitarie.

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Le fonti utilizzate per la stesura dell'articolo sono le seguenti:

https://it.gariwo.net/educazione/approfondimenti/genocidio-rohingya-22891.html#:~:text=Entit%C3%A0%20dello%20sterminio&text=Migliaia%20di%20loro%20morirono%20durante,senza%20accesso%20ai%20bisogni%20primari.

https://www.amnesty.it/myanmar-meta-deve-risarcire-i-rohingya-per-aver-contribuito-alla-pulizia-etnica/

https://www.amnesty.org/en/documents/ASA16/5933/2022/en/

https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/policies/digital-services-act-package

https://www.politico.com/news/2022/03/21/us-recognizes-rohingya-genocide-myanmar-00018858

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L'Autore

Laura Rodriguez

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Diritti Umani

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pulizia etnica #genocide Rohingya ONU Facebook