La guerra a Gaza e la strategia di Hezbollah

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  Redazione
  26 October 2023
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A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale Post

Il gruppo Hezbollah potrebbe accontentarsi di alcuni vantaggi politici derivanti dal conflitto a Gaza, ma Washington dovrebbe comunque provare a modificare e condizionare le proprie valutazioni alla luce dei gravi rischi già oggi vigenti di allargamento del conflitto ad altri soggetti, anche statali. Hezbollah o "Partito di Dio" è un'organizzazione paramilitare dell’islamismo radicale sciita. E’ accesa antisionista e manifesta una costituzione che fra i suoi articoli sostiene la cancellazione dello Stato di Israele.

La storia

Hezbollah è nata nel giugno 1982 ed è divenuta successivamente un partito politico. Ha sede in Libano ed il suo segretario generale è Hassan Nasrallah, succeduto ad Abbas Al-Musawi a causa della morte di quest'ultimo nel 1992. Grazie al supporto politico ed economico iraniano, la forza dell'ala paramilitare di Hezbollah è cresciuta notevolmente nel corso degli anni tanto da essere considerata non solo più potente dell'esercito regolare libanese ma, secondo Israele, anche della maggior parte delle forze armate arabe al mondo.

La strategia di Hezbollah

Essa è all’attenzione dei più importanti protagonisti mediorientali e internazionali in maniera continua fin dall'inizio della guerra civile siriana, che ha visto Hezbollah scendere militarmente in campo come alleato fondamentale del governo siriano di Bashar al-Assad. Dall’esordio della guerra di Gaza, Hezbollah ha agito muovendosi su una linea fragile e sottile posta e caratterizzata sia da risposte politiche limitate che al contrario da pieno coinvolgimento in senso operativo. In questi ultimi anni, questo gruppo terroristico sembra spingere ogni giorno i propri limiti di occupazione geografica un po’ più in là, evidenziando la sua ampia ambizione e disponibilità al conflitto diretto senza tuttavia infrangere le tacite regole stabilite formalmente con Israele a seguito della guerra in Libano del 2006.

I rischi di metodo

Alla luce dell’imprevedibilità degli eventi, questo rischioso atto di delicato equilibrio potrebbe crollare in qualsiasi momento, non solo per un errore di calcolo ma anche per una eventuale decisione imprevista di modificare la propria condotta strategica.

Finora Hezbollah è stato coinvolto in diversi scontri lungo il confine israelo-libanese, direttamente o tramite cellule delle Brigate Izz al-Din al-Qassam, una forza di Hamas a cui è stato permesso di operare nel sud del Libano ormai da tempo .

La portata di questi scontri è stata attentamente calibrata per rimanere entro più bassi limiti d’intensità di fuoco, pur mantenendo la minaccia effettiva di un’escalation su più fronti nei confronti di Israele.

In effetti, nell’attuale conflitto di Gaza, Hezbollah non è ancora entrato in guerra dal punto di vista operativo e logistico: le sue unità militari, ad esempio, si sono astenute dal lanciare missili contro le infrastrutture e le strutture civili israeliane, le sue forze speciali non si sono infiltrate in Israele e il suoi obiettivi sono ancora limitati agli obiettivi militari localizzati nel nord.

Allo stesso tempo, tuttavia, il gruppo si è assicurato di mantenere un livello di minaccia concretamente elevato conducendo ogni giorno qualche tipo di operazione significativa, specie dopo l’attacco di Hamas.

L’obiettivo degli Hezbollah

Il fine primo dell’attuale strategia di Hezbollah appare abbastanza chiaro: raccogliere i risultati della guerra tra Hamas e Israele senza perdere la presenza militare che ha costantemente e faticosamente costruito in Libano dal 2006 fino ad oggi.

Sebbene il gruppo ritenga che l’apertura di un secondo fronte potrebbe temporaneamente sopraffare Israele secondo i fanatici pronunciamenti propagandistici del “fronte unito”. Se da un lato si tratta di una sorta di strategia progettata dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell'Iran (IRGC), sembra però rendersi conto che l’approccio suddetto non riuscirebbe realisticamente a sconfiggere Israele neanche in un eventuale conflitto a lungo termine. E’ invece più probabile che finirebbe per consumare e distruggere l'intero arsenale di Hezbollah e indebolire o ridurre sensibilmente le sue forze.

E se perdesse il confronto…!?

Una guerra su vasta scala che finisse senza una chiara vittoria lascerebbe inoltre l’organizzazione con fondi insufficienti per rifornire le sue forze armate oppure diffondere la narrativa della “vittoria” nel suo collegio elettorale principale che sta in Libano; la leadership potrebbe non essere nemmeno in grado di ricostruire materialmente le proprie roccaforti a Beirut e nel sud.

In breve, i costi di un’escalation più ampia potrebbero decisamente prevalere su qualsiasi guadagno militare o sul territorio inteso in senso lato.

A quel punto, in Libano, ogni partito e ogni setta incolperebbe Hezbollah per aver trascinato il Libano in un’altra guerra che tra l’altro non gli appartiene, con gravi ripercussioni sulla strategia politica interna del gruppo, sul flusso finanziario di cassa disponibile e sulle prospettive economiche future. Anche i suoi più stretti alleati si sono dichiarati contrari all’entrata in guerra. Allo stesso modo, il protettore di Hezbollah in Iran ha già ottenuto molto di ciò che apparentemente cercava dall’attacco di Hamas e potrebbe resistere, almeno per ora.

I risvolti di politica internazionale

Il datato processo di normalizzazione israelo-saudita fermamente sostenuto dagli Stati Uniti è temporaneamente congelato: sono state messe in luce le debolezze dell’intelligence e della forza militare di Israele, e uno dei delegati di Teheran ha tenuto fede alla minaccia di lunga data del regime: causare gravi danni all’interno di Israele come ritorsione per sospette operazioni israeliane all’interno dell’ Iran. L'attacco ha anche rinvigorito la narrativa della resistenza del regime in tutta la regione.

Dal punto di vista di Teheran, un maggior numero di vittime palestinesi è un piccolo prezzo da pagare per raggiungere questi risultati e nel contempo incrementare la propria influenza tramite il suo principale rappresentante militare, Hezbollah. Il dilemma, ovviamente, è che giocare questa carta – cioè aprire un fronte Hezbollah su vasta scala – lascerebbe l’Iran senza più carte “alte” da giocare sul tavolo dei rapporti di forza nell’area.

Teheran non condivide le preoccupazioni interne di Hezbollah in Libano e quindi nelle proprie decisioni non si riterrà limitata da questo fattore. E se a Hezbollah verrà ordinato di entrare in guerra, non avverranno defezioni verso l’Iran.

La propaganda di Hezbollah

Attualmente, i media legati ad Hezbollah stanno inviando due messaggi principali: che gli Stati Uniti sono stati indotti con l’inganno a entrare nel conflitto e che gli avvertimenti americani non faranno deragliare Hezbollah dal proprio cammino verso la vittoria sull’islam e su Israele.

Eppure il gruppo non ha richiamato le sue riserve né evacuato la periferia meridionale di Beirut, nonostante abbia chiesto ai residenti nelle città di frontiera di andarsene, segno che per il momento intende mantenere le ostilità limitate al confine di frontiere libanese.

Inoltre, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è stato completamente assente dalla scena dopo l’attacco di Hamas, il che di solito significa che il gruppo non ha ancora deciso quanto profondamente intervenire in una determinata crisi.

Nel 2006, Nasrallah fu il primo ad annunciare la guerra e ne commentò continuamente l’andamento.

Le strategie future

Mentre Hezbollah e l’Iran deliberano sui prossimi passi, è fondamentale mostrare forza sul campo e grande determinazione.

L’unico modo per impedirgli di intensificare le propria attività è quello di spostare i loro pensieri dalla fiducia alla paura, il che richiede di dimostrare l’importanza e la gravità delle minacce militari statunitensi e israeliane.

In primis, Hezbollah deve assumere che molto probabilmente ha valutato male sia la situazione geostrategica locale che le sue risorse militari che non possono essere utilizzate indefinitamente per rafforzare l’influenza e gli interessi iraniani nel Medio Oriente.

Oltre ad intensificare la sua attività alle frontiere, Hezbollah ha avvertito che si unirà ad Hamas se Israele dovesse condurre una grande incursione militare a Gaza. Se tale impegno dovesse materializzarsi, l’apertura di un secondo fronte potrebbe essere solo una questione che riguarda il quando, non il se.

Anche se un’incursione israeliana non innescasse una guerra con Hezbollah, altri fattori potrebbero portare allo stesso risultato, comprese le attuali tattiche rischiose del gruppo, un fatale errore di calcolo o di mira, o un cambiamento nella strategia dell’Iran.

Il conflitto potrebbe anche esplodere a livello mediorientale con altre modalità per ora impreviste, inducendo potenzialmente Hezbollah a credere di non avere altra scelta se non quella di intervenire direttamente.

Alla luce di questi rischi, il dialogo a livello diplomatico risulta attualmente del tutto insufficiente: il gruppo non darebbe credito agli avvertimenti statunitensi e israeliani a meno che non siano accompagnati da passi militari concreti e visibili.

Attualmente, la Marina degli Stati Uniti ha già schierato due task force di portaerei nelle vicinanze del teatro bellico, ma gli alleati dovrebbero considerare di mostrare una presenza ancora più forte vicino ai confini di terra più accesi e alle coste di Libano, Siria e Israele, oltre a condurre sorvoli militari vicino alle alture del Golan e altri potenziali punti caldi della regione.

Allo stesso modo, l’Iran e l’IRGC devono essere accuratamente informati dei rischi per le proprie infrastrutture politiche e militari se Hezbollah intervenisse.

La decisione iniziale e finale è tutta nelle mani di Teheran: prima che il regime prenda una decisione, Washington deve chiarire apertis verbis cosa accadrà se continuerà a utilizzare delegati arabi – chiunque essi siano - per prendere di mira israeliani e americani.

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