L’asse Pechino-Ankara: la fine del pan-islamismo turco?

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  Davide Shahhosseini
  22 April 2021
  5 minutes, 22 seconds

I crescenti interessi, sul piano economico e geostrategico, da parte di Pechino nella penisola anatolica, dove il Bosforo si colloca tra i punti nevralgici del progetto cinese di integrazione economica della Belt and Road Initiative (BRI), negli ultimi anni hanno indotto Ankara a rivedere alcune sue posizioni. Nello specifico quella rispetto alla questione degli uiguri – minoranza turcofona di fede musulmana residente nella regione autonoma dello Xinjiang - ridimensionando quel ruolo di “guida” dell’Islam sunnita, che fin dall'ascesa al potere di Erdoğan ha delineato il suo mantra politico.

Mettendo a confronto le parole del presidente turco risalenti al 2009 – allora Primo ministro – quando lo stesso definì “genocidio[1] le azioni repressive intraprese da Pechino nei confronti degli uiguri, con le dichiarazioni rilasciate 10 anni dopo [2] a seguito del suo primo viaggio di stato in Cina, appare evidente come in questi anni le relazioni sino-turche siano arrivate a coinvolgere una quantità di interessi tali da indurre Ankara a prediligere un atteggiamento meno intransigente sulla questione.

La nuova linea “flessibile” di Erdoğan, oltre a ridare enfasi all’opposizione interna [3], è stata interpretata dai circa 50 mila rifugiati politici uiguri residenti oggi in Turchia come un tradimento dei legami millenari che accomunano la comunità uigura al popolo turco, sia sotto l’aspetto etnico che culturale. In quest'ottica, il trattato di estradizione sino-turco del 2017, ritenuto dall’ “Uyghurs World Congress” [4] come il percorso legale in mano cinese per “riportare a casa” i dissidenti uiguri, si può leggere come il punto di svolta della politica turca rispetto al caso uiguro. Un’inclinazione questa in contraddizione con quella direttrice ideologica del repubblicanesimo pan-islamista, attraverso la quale Ankara, a partire dall’ascesa di Erdoğan, continua a perseguire l’obiettivo di porsi come attore guida politica dell’Islam di radice sunnita.

L’incontro [5] del 25 marzo scorso tra Erdoğan e il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ha fornito un'ulteriore conferma circa il cambio di rotta turco rispetto al caso uiguro. Nonostante la condanna unanime dell’Occidente nei confronti delle controverse misure di Pechino, Il leader turco non solo ha evitato l’argomento, ma ha anche sottolineato il sostegno di Ankara alle politiche adottate dal PCC in materia di contrasto al terrorismo interno, alludendo alla questione del separatismo uiguro. Lo stesso Wang Yi ha affermato l’importanza del principio di non interferenza negli affari interni come fondamento per la salvaguardia delle relazioni tra i due Paesi.

L’avvicinamento turco alla Repubblica Popolare è anche in parte il risultato del progressivo deterioramento dei rapporti tra Turchia e Occidente, con un chiaro riferimento alle controverse azioni intraprese da Ankara negli ultimi anni: dalle ingerenze nel quadro libico e siriano, fino alle dispute con Grecia e Cipro riguardo alle attività esplorative turche nel Mediterraneo orientale.

Proprio l’isolamento politico e la crisi della lira turca del 2018 - crisi inasprita dalle sanzioni dell’UE e dai dazi americani sulle importazioni di acciaio e alluminio [6] - hanno inevitabilmente dato un’accelerazione al processo di congiungimento sino-turco, concedendo alla Cina la possibilità di inserirsi nel vuoto creatosi dalla frattura tra la Turchia e i suoi stessi alleati NATO.

Con la firma del Memorandum of Understanding [7] del 2016, Ankara è stata inglobata nel progetto cinese della BRI, con tutti i vantaggi che ne derivano: in primis economici. Nel luglio del 2018 la Banca per l’Industria e Commercio cinese, di proprietà statale, è venuta incontro alle difficoltà delle casse turche stanziando un prestito di $3.6 miliardi [8]; nel 2019 è stata la Banca per lo Sviluppo a concedere un finanziamento di $200 milioni[9] alla Banca per l’Industria e lo Sviluppo turca.

L’asse sino-turco dell’ultimo decennio ruota attorno al progetto di espansione commerciale lanciato da Pechino, dove lo stesso presenta una funzione ambivalente. Se da un lato agli occhi della Cina la Turchia rappresenta una pedina geostrategica fondamentale nello scacchiere delle vie commerciali della nuova Silk Road, dall’altro gli ingenti capitali cinesi – volti al finanziamento delle numerose opere infrastrutturali - hanno permesso ad Ankara sia di risollevarsi dalla crisi monetaria, sia di intraprendere progetti paralleli alla stessa BRI, riacquistando quell’influenza regionale che era in parte scemata durante la crisi economica. In quest'ottica, il completamento della ferrovia Baku-Tbilisi-Kars (BTK), componente infrastrutturale del progetto turco del Middle Corridor [10] - sostenuto dalla Cina - potrebbe, nel lungo periodo, fare di Ankara il principale snodo commerciale sino-europeo, arrivando a competere con entrambi i corridoi della BTK. In questi ultimi ad ora transita la maggior parte dell’interscambio commerciale terrestre tra Cina ed Europa: quello nordico (linea Transiberiana) e quello meridionale che attraversa l’Iran. La BTK, che ad oggi garantisce la mobilità di più di un milione di passeggeri e il trasporto di 6.5 milioni di tonnellate di merci l’anno [11], ha infatti una doppia valenza: da un lato geostrategica, andando a bypassare le sanzioni statunitensi nei confronti di Teheran e dall’altro logistica, in quanto ridurrebbe a soli 12 giorni i tempi di percorrenza tra Pechino e Istanbul [12], rispetto ai 30 impiegati percorrendo il corridoio nordico.

In definitiva, la pandemia da Covid-19 ha contribuito a dare ad Ankara una forma sempre più ancillare nel quadro dei rapporti con la Repubblica Popolare. La Turchia, infatti, figura tra quei Paesi che hanno beneficiato di quella che è stata definita come la diplomazia della Health Silk Road’’[13], ovvero la rete di supporto allestita in tempi record da Pechino - invio di equipe mediche, dispositivi sanitari e, non ultimo, il vaccino Sinovac – per venire incontro alle necessità di quei Paesi che rientrano nei suoi piani strategici ed economici.

A cura di Davide Shahhosseini

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[1] [2] https://edition.cnn.com/2019/07/05/asia/turkey-china-uyghur-erdogan-intl-hnk/index.html

[3] https://www.voanews.com/europe/turkish-opposition-challenge-erdogan-over-uighur-silence

[4] https://www.uyghurcongress.org/en/uyghurs-in-turkey-face-an-uncertain-future-as-ankara-considers-the-fate-of-its-extradition-agreement-with-beijing/

[5] https://www.fmprc.gov.cn/mfa_eng/zxxx_662805/t1864534.shtml

[6] https://www.nytimes.com/2018/08/10/us/politics/trump-turkey-tariffs-currency.html

[7] https://www.mfa.gov.tr/turkey_s-commercial-and-economic-relations-with-china.en.mfa

[8] https://asia.nikkei.com/Politics/International-relations/China-money-flows-into-Turkey-as-crisis-creates-opening

[9] https://www.tskb.com.tr/web/307-4340-1-1/tskb-site-en/en-hakkimizda/tskbden-haberler-en/china-development-bank-extends-usd-200-million-loan-to-tskb

[10] https://middlecorridor.com/en

[11] Secondo" class="redactor-autoparser-object">http://news.bbc.co.uk/2/hi/814... le stime del Middle East Institute, la BTK, nei prossimi anni, incrementerà la capienza annua portando a 3 milioni il numero dei passeggeri e 17 milioni le tonnellate di merci, https://www.mei.edu/publications/chinas-belt-and-road-initiative-and-turkeys-middle-corridor-question-compatibility#_ftn4

[12] https://www.dailysabah.com/business/2019/11/06/first-train-from-china-to-europe-makes-silk-railway-dream-come-true-in-turkey

[13] https://www.kas.de/documents/282499/282548/MDS_China+Health+Silk+Road+Diplomacy.pdf/

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Davide Shahhosseini

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Eastern Asia

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Pechino Ankara