Le fragole di Huelva che stanno distruggendo un intero ecosistema

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  Marco Del Pioluogo
  26 April 2023
  4 minutes, 31 seconds

Huelva è una città dell’Andalusia, nella Spagna meridionale. È una località in cui viene praticata l’agricoltura intensiva, più specificatamente per la produzione di fragole, lamponi, mirtilli e riso.

In particolare, ospita 6600 ettari di superficie coltivata a fragole e ne produce oltre 300 000 tonnellate con un valore d’affari che genera oltre 400 milioni di euro l’anno.

La regione rappresenta il 97% della produzione spagnola di fragole e oltre il 25% della produzione dell'Unione Europea.

Il Parco di Doñana

Tuttavia, oltre 7 900 ettari di coltivazioni di bacche (di cui il 40% è rappresentato da fragole) si trovano a nord del Parco Nazionale di Doñana, uno dei più grandi complessi di zone umide dell'Europa occidentale e un sito Ramsar e Patrimonio UNESCO, le cui paludi, foreste e dune si estendono per quasi 130.000 ettari nelle province di Huelva, Siviglia e Cadice.

Per Felipe Fuentelsaz del WWF Spagna: "Doñana è un luogo unico che si trova tra il sud dell'Europa e il nord Africa ed è la principale rotta migratoria per tutti gli uccelli d'Europa”.

Sempre Fuentelsaz aggiunge che: “Ogni anno vi transitano più di 6 milioni di uccelli e 200 o 300 specie diverse.

Grazie alla sua posizione strategica, infatti, gli stormi di uccelli utilizzano Doñana per riprodursi, svernare e riposare durante il loro percorso migratorio da e verso l'Africa.

Il problema

Il problema sorge perché in quest'area la fragola viene coltivata utilizzando le acque sotterranee dell'acquifero 27 "Almonte-Marismas", lo stesso che alimenta anche diverse zone umide di Doñana.

L’approvvigionamento idrico è calato drasticamente negli ultimi 30 anni a causa dei cambiamenti climatici, dell'agricoltura, dell'inquinamento minerario e del drenaggio delle paludi e ciò ha influenzato in maniera negativa l’ecosistema del Parco.

I coltivatori della regione hanno trivellato innumerevoli pozzi per attingere le grandi quantità di acqua necessarie alla produzione. Molte delle perforazioni però sono state fatte senza l’autorità e i permessi legali necessari, grazie a una storica permissività dell’amministrazione pubblica.

Secondo i dati del WWF, si stima che per la sola produzione di fragole siano stati perforati illegalmente 1000 pozzi e adibiti a coltura senza permesso 3000 ettari di territorio. In seguito a questi interventi l’afflusso di acqua alla zona umida si è ridotto di circa l’80 per cento.

Nel 2020 l’acquifero è stato ufficialmente dichiarato sovra sfruttato ma ad oggi solo un quarto dei pozzi illegali è stato chiuso.

La vita senz’acqua

Le trivellazioni e la ridotta quantità di precipitazioni hanno causato un abbassamento delle falde acquifere e la conseguente scomparsa di centinaia di stagni dal cui livello dipendevano fortemente.

Senza acqua, le specie acquatiche come uccelli, anfibi, insetti, rettili e piante faticano a sopravvivere e non possono completare i loro cicli di riproduzione e germinazione.

Per esempio, nell’inverno 2021 il numero di uccelli registrati nel parco è stato di 87 500, ovvero meno di un quinto rispetto ai 470 000 dell’anno precedente.

I prodotti agrochimici

Secondo uno studio dell’Università di Huelva pubblicato sulla rivista “Water Research” esiste una connessione tra gli invasi di decantazione di fosfogesso, un rifiuto tossico, e l’estuario del Rio Tinto (una delle fonti d’acqua di cui si servono i coltivatori), il che contribuisce ad una contaminazione di questo fiume. Sempre secondo lo studio, gli invasi di fosfogesso all’interno delle paludi dell’estuario non hanno alcuna barriera impermeabile per impedire il deflusso nell’ambiente circostante delle sostanze inquinanti che trasportano derivate dalla produzione di fertilizzanti.

Per stare al passo con la velocità richiesta dal mercato è probabile che le colture vengano svolte senza rotazione, il che comporta un rischio da non sottovalutare perché nell’ambiente circostante possono depositarsi metalli pesanti come cadmio e arsenico, che sono scarti di produzione dei fertilizzanti.

Come precisa Roberto Pinton di Assobio: “la mancanza di rotazione, inoltre, favorisce il processo di proliferazione di parassiti che fa aumentare la necessità di impiego di diserbanti creando così un circolo vizioso”.

L’utilizzo intensivo e spesso non corretto di prodotti agrochimici nei dintorni di Doñana ha contaminato con i nutrienti dei fertilizzanti i corsi d’acqua della palude. Da qui il processo di eutrofizzazione in cui l’acqua si arricchisce eccessivamente di sostanze nutritive. L’espansione di questo fenomeno secondo gli scienziati ha già raggiunto in molti casi livelli incompatibili con la conservazione della biodiversità.

Mancanza di diritti

Al problema ambientale si aggiunge quello della mancanza dei diritti per i lavoratori di queste colture. Il settore in questione è altamente femminilizzato e la componente razziale forte.

Chi assume preferisce persone senza documenti, da alloggiare in baracche e pagare la metà dei lavoratori a giornata locali. I datori di lavoro inoltre cercano lavoratrici-madri in modo tale che siano incentivate a tornare dai figli nel loro paese alla fine della stagione lavorativa.

Per concludere

Come dimostrano gli studi sui cambiamenti climatici, la penisola iberica risulta essere un territorio estremamente vulnerabile. I rischi di scarsità d’acqua e desertificazione sono alti.

Viene da chiedersi perché una delle regioni più aride e vulnerabili al clima del continente, stia alimentando la crescente domanda europea di frutti rossi, frutti che richiedono una quantità d’acqua per la loro coltura certamente non trascurabile.

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Marco Del Pioluogo

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Ambiente e Sviluppo

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