La geopolitica della Cina secondo Kissinger

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  Michele Pavan
  01 aprile 2018
  22 minuti, 4 secondi

La lunga esperienza di Henry Kissinger, prima consigliere per la sicurezza nazionale e successivamente Segretario di Stato durante le Presidenze di Richard Nixon e di Gerald Ford, permette di raccontare un punto di vista dettagliato ed articolato dell'ordine mondiale, in particolare sugli aspetti geopolitici della Cina. Quest'ultimo l'ha caratterizzato nel corso della storia essendo l'artefice dell'avvio dei rapporti diplomatici tra gli Stati Uniti e la Cina durante gli anni settanta.

La nostra epoca è alla ricerca insistente di un’idea di ordine ed equilibrio globale. Questo, purtroppo, non è mai esistito. Ciò che ai giorni nostri passa come “ordine” è stato escogitato circa quattro secoli fa, con l’assenza della maggior parte degli attori principali di oggi. L’attenzione si focalizza su un aspetto particolare, quello della radice culturale, religiosa e politica del concetto di ordine. La geopolitica racchiude gli elementi principali secondo i quali i leader mondiali prendono decisioni operative. Avendo a che fare i conti con la presenza di mari, fiumi, catene montuose, deserti, culture, tradizioni e religioni.

L’influenza dell’area geografica è nota agli statisti secondo uno schema che si ripete nel tempo. La tecnologia sino ad ora non ha favorito la concretizzazione di un unico sistema globale come auspicato dall’ordine mondiale. Ciascuna realtà differente in Europa si riteneva un modello rappresentativo dell’umanità, secondo le tradizioni, culture e religioni del mondo. Non potendo, però, interagire tra loro ogni regione considerava unico il proprio ordine. In contrapposizione la Cina, situata all’estremo opposto del continente euroasiatico, riteneva di avere un’autorità morale sul tian xia, ovvero su “tutto ciò che sta sotto il Cielo”. Secondo tale concezione, la Cina, avrebbe agito incutendo un timore reverenziale alle altre società contigue per raggiungere lo scopo desiderato.

Tra l’Europa e la Cina, il concetto diverso è espresso dall’Islam. Con la sua visione di un unico governo sancito dalla divinità e in grado di unificare e pacificare il mondo, nel VII secolo era dilagato, in tre continenti, con un’ondata di esaltazione religiosa. Ha inglobato l’Impero persiano e unificato il mondo arabo. Al di là dell’Atlantico, invece, andava formandosi quello che venne definito da John Winthrop una “città sulla collina” destinata ad ispirare il mondo con la giustezza dei suoi valori e la forza del suo tempo. La situazione è mutata nel tempo, complicando lo scenario globale e modificando gli aspetti della dimensione geopolitica di tutti i continenti. L’Asia, il Medio Oriente, l’Europa, l’Africa e l’America hanno differenti concezioni di potere e articolate visioni geopolitiche e geostrategiche da tutelare.

Nel corso degli ultimi quarant’anni la posizione della Cina riguardo alle nazioni più avanzate del mondo è completamente cambiata. Con esse, negli ultimi decenni, ha firmato trattati in termini paritari. Il suo vantaggio relativo risiedeva nella ricchezza della sua economia, che produceva beni che tutti i vicini desideravano. Finora la Cina non è mai stata una potenza navale che potesse dominare i mari poiché concentrata sulle strategie terrestri. Ci sono voluti 4000 anni, ma adesso i cinesi sono pronti ad assumere un ruolo centrale. Con il suo territorio sterminato, i suoi molteplici confini e le rotte brevi che la univano ai suoi partner commerciali, non aveva nessun bisogno di diventarlo e non ha tentato quasi mai di esportare la propria ideologia. La difficoltà di pattugliare le grandi rotte commerciali dell’Oceano Pacifico, dell’Atlantico e dell’Oceano Indiano non valeva lo sforzo. Era sempre stata una potenza terrestre, grazie alle dimensioni del suo territorio e all’entità della sua popolazione, che conta attualmente circa 1,4 miliardi di persone.

L’idea cinese di ordine mondiale differiva notevolmente dall'esperienza europea. L’”ascesa” della Cina al primato nel XXI secolo non è cosa nuova, ma al contrario ristabilisce schemi storici. Peculiare è il fatto che la Cina sia tornata tanto come erede di un’antica civiltà quanto come grande potenza contemporanea. Essa combina i lasciti di “tutto quanto c’è sotto il Cielo”, la modernizzazione tecnocratica e una novecentesca e insolitamente turbolenta ricerca nazionale di una sintesi tra i due poli.

La pianura cinese settentrionale è il centro di gravità politico, culturale, demografico e, soprattutto, agricolo del paese. In questa parte della Cina vivono quasi 1 miliardo di persone, anche se è grande quanto metà degli Stati Uniti, che hanno 322 milioni di abitanti. Poiché la pianura settentrionale si prestava per natura alla colonizzazione e all'attività agricola, le prime dinastie si sentivano minacciate dalle popolazioni di altre etnie delle regioni circostanti, in particolare da quelle della Mongolia con le sue bande nomadi di guerrieri spietati.

La Cina adottò la stessa strategia della Russia: l’attacco preventivo come difesa, per conquistare il potere. Si espanse fino alle barriere naturali che, se gli Han (maggior gruppo etnico cinese, il più grande al mondo per numero di individui) avessero potuto raggiungerle e acquisirne il controllo, li avrebbero protetti. Fu una lotta millenaria, che si concluse solo con l’annessione del Tibet nel 1951. Con l’apertura del commercio e l’arrivo degli europei, le zone costiere prosperarono e le zone interne vennero trascurate. Il crescente benessere della fascia costiera ha intensificato ulteriormente la migrazione di massa verso le grandi città e ha accentuato le differenze tra le regioni.

Nel XVIII secolo la Cina si proiettò su alcune parti della Birmania e dell’Indocina a sud, e conquistò la provincia nord-occidentale di Xinjiang, che divenne la provincia più grande del paese. Lo Xinjiang, con le sue aspre montagne e i suoi deserti, ha una superficie di 1,6 milioni di chilometri quadrati, il doppio del Texas. Ma aumentando la propria estensione territoriale, la Cina aumentò anche i suoi problemi. Lo Xinjiang, una regione popolata per lo più da musulmani, era una fonte perenne di instabilità, o per meglio dire di insurrezioni, al pari di altre regioni; ma per gli Han quella zona cuscinetto valeva il sacrificio, ancora di più dopo le sventure che abbatterono il paese tra Ottocento e Novecento con l’arrivo degli europei.

L’ultima dinastia imperiale crollò nel 1911, e la fondazione di una repubblica cinese a opera di Sun Yat-sen nel 1912 lasciò il paese con un governo centrale debole, dando inizio a un decennio di predominio dei signori della guerra. Un governo centrale più forte vide la luce nel 1928 con l’avvento di Chiang Kai-shek e si propose di mettere la Cina in condizione di trovare un posto nel sistema economico globale.

Il 1° ottobre 1949, il leader vittorioso del Partito comunista Mao Zedong, annunciò la fondazione della Repubblica popolare cinese. L’intero spettro istituzionale fu messo in discussione: la democrazia occidentale, la leadership sovietica del mondo comunista e l’eredità del passato cinese. Arte e monumenti, feste e tradizioni, vocabolario e abbigliamento caddero sotto varie forme di interdizione, accusate di essere all’origine della passività che aveva reso la Cina impreparata di fronte alle intrusioni straniere.

Nello stesso anno, Mao annunciò che l’esercito popolare di liberazione doveva liberare tutti i territori cinesi, inclusi il Tibet, lo Xinjiang, Hainan e Taiwan. Mao trattava gli affari internazionali con la stessa fiducia nella natura unica della Cina. Sebbene il paese fosse oggettivamente debole secondo il criterio con cui il resto del mondo misurava la forza, Mao insisteva sul suo ruolo centrale dovuto alla superiorità psicologica e ideologica, da dimostrare sfidando, piuttosto che blandendo un mondo che dava importanza alla superiore forza fisica.

Nel 1951 la Cina completò l’annessione del Tibet e da allora le cartine geografiche inserite nei libri scolastici cinesi iniziarono a rappresentare una Cina che si estendeva addirittura fino alle repubbliche dell’Asia centrale.

Nel 1957, parlando a Mosca a una conferenza internazionale di leader dei partiti comunisti, Mao sconvolse gli altri delegati predicendo che, nel caso di una guerra nucleare, la popolazione più numerosa e la cultura più tenace della Cina ne avrebbero fatto la vincitrice finale, e che nemmeno la morte di centinaia di milioni di persone l’avrebbe fatta deviare dalla sua linea rivoluzionaria.

Nel luglio 1971, durante la visita segreta a Pechino di Henry Kissinger, Zhou Enlai (primo ministro) sintetizzò la concezione di Mao dell’ordine mondiale evocando la sfera d’azione degli imperatori cinesi rivendicata dal presidente, con una variazione sardonica: “Tutto quanto c’è sotto il Cielo è nel caos, la situazione è eccellente”. Da un mondo di caos la Repubblica popolare, temprata da anni di lotta, alla fine sarebbe uscita trionfante non solo in Cina ma dovunque “sotto il Cielo”. L’ordine mondiale comunista si sarebbe fuso con la concezione tradizionale della corte imperiale.

Mao cercò di unificare la Cina sforzandosi al contempo di distruggere l’antica cultura che imputava la debolezza e l’umiliazione del paese. Nel 1969 l’Unione Sovietica parve sul punto di attaccare la Cina, tanto da indurre Mao a sparpagliare tutti i ministeri nelle province, lasciando a Pechino soltanto il primo ministro Zhou Enlai. A questa crisi Mao reagì, com'era sua caratteristica, con un’inattesa inversione di marcia e cercò di dare scacco matto all'Unione Sovietica avvicinandosi all'avversario fino a quel momento vilipeso: gli Stati Uniti.

Le rivoluzioni, per quanto radicali, hanno bisogno di essere consolidate e, alla fine, adeguate al passaggio da un momento di esaltazione a qualcosa che possa durare per un certo periodo di tempo. Tale fu il ruolo storico svolto da Deng Xiaoping. Ben presto si impegnò nella riforma dell’economia e nell'apertura della società. Perseguendo quello che definiva “socialismo con caratteristiche cinesi”, liberò le energie latenti del suo popolo. Nell'arco di meno di una generazione, la Cina progredì fino a diventare la seconda economia del mondo.

Se si guardano i confini odierni della Cina, vediamo una grande potenza ormai convinta di essere protetta dalle sue caratteristiche geografiche, che si prestano a una difesa efficace e a un commercio molto attivo. A nord vediamo il confine con la Mongolia, lungo 4677 chilometri. Sui due lati del confine si estende il deserto del Gobi. Oggi un esercito ci metterebbe settimane a radunarsi prima di essere pronto per avanzare, e avrebbe bisogno di linee di approvvigionamento incredibilmente lunghe, in grado di muoversi su un terreno inospitale prima di entrare nella Mongolia interna (parte della Cina) e di avvicinarsi alla Pianura centrale. L’eventuale espansione cinese non avverrà con l’azione militare, ma tramite accordi commerciali, visto che la Cina sta tentando di mettere le mani sulle risorse naturali della Mongolia, principalmente su quelle minerali. Questo processo causerà una forte migrazione degli Han verso la Mongolia.

A est, si trova il confine tra Cina e Russia che si estende fino al Pacifico (Mar del Giappone). Sopra c’è l’Estremo Oriente russo, un territorio montuoso sterminato e inospitale, perciò semi-spopolato. Sotto c’è la Manciuria con una popolazione di 100 milioni di persone e sta crescendo, per contro l’Estremo Oriente russo ha meno di 7 milioni di abitanti. Ci si può aspettare una forte migrazione da sud a nord, che darà a sua volta alla Cina più peso politico nei rapporti con la Russia. Sul piano militare, il punto più favorevole si trova a Vladivostok, ma ci sono poche ragioni per farlo. Tra Russia e Cina sono stati stipulati importanti accordi commerciali che sono favorevoli ai cinesi.

Lungo la costa, scendendo dall’Estremo Oriente, ci sono il Mar Giallo, il Mar Cinese Orientale e il Mar Cinese Meridionale che si affacciano sul Pacifico e sull’Oceano Indiano, fino ad arrivare ai confini terrestri con il Vietnam, con il Laos e con il Myanmar. La zona al confine con il Vietnam è facilmente attraversabile da un esercito, ma di fronte alla crescente potenza militare della Cina, il Vietnam sarà meno incline ad affrontare uno scontro armato e cercherà di ingraziarsi ulteriormente gli americani per avere la loro protezione. Il confine con il Laos è una giungla collinare, difficile da attraversare per i mercanti e ancora più complicata per le forze armate. Man mano che si avanza lungo il confine in senso orario, le colline diventano montagne, fino a confondersi con la catena dell’Himalaya. È la zona del Tibet, fondamentale per la Cina.

La catena dell’Himalaya corre per tutta la lunghezza del confine sino-indiano prima di piegare verso sud per diventare la catena del Karakorum che costeggia il Pakistan, l’Afghanistan e il Tagikistan. Separa i due paesi più popolosi del mondo sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista economico. La Cina rivendica la provincia indiana di Arunachal Pradesh, e l’India accusa la Cina di occupare militarmente l’Aksai Chin. Nel corso dei secoli l’interscambio commerciale tra Cina e India è stato molto limitato ed è improbabile che il trend si possa invertire in tempi ragionevolmente brevi. Naturalmente il confine è in realtà quello che separa il Tibet dall’India e la Cina ha sempre voluto avere il controllo poiché considerato il “serbatoio della Cina” dove ci sono le sorgenti del Fiume Giallo, lo Yangtze e il Mekong.

L’indipendenza del Tibet è ostacolata dalla demografia e la geopolitica. I cinesi stanno costruendo infrastrutture in tutto il Tibet. Negli anni Cinquanta, l’Esercito popolare cinese iniziò a costruire strade che portavano in Tibet e ora anche le ferrovie. La linea che conduce alla capitale tibetana, Lhasa, è stata inaugurata nel 2006 dall’allora presidente cinese Hu Jintao. Oggi arrivano quattro treni passeggeri e merci al giorno fin da Shanghai e da Beijing. È contrastante il dato della presenza di indigeni tibetani, secondo il governo cinese nella regione autonoma ufficiale, gli indigeni sono più del 90%, secondo altre fonti, invece, sono ormai una minoranza. Dai dati si rileva che il governo non conta la presenza degli Han. Un tempo la maggior parte della popolazione della Manciuria, della Mongolia interna e dello Xinjiang era etnicamente mancese, mongolica e uigura; adesso in tutte le regioni la maggioranza, o quasi della popolazione è composta da cinesi Han.

Continuando a costeggiare i confini si arriva al Pakistan, Tagikistan e Kirghizistan (tutti montuosi) prima di arrivare al Kazakistan che riporta a nord alla Mongolia. È l’antica via della seta, il ponte commerciale che univa il Regno di Mezzo al resto del mondo. Teoricamente è un punto debole nel sistema difensivo della Cina, un vuoto tra le montagne e il deserto; ma è lontana dal cuore del paese, i kazaki non sono in condizione di minacciare la Cina, e la Russia è a centinaia di chilometri. A sud-est del confine kazako c’è la provincia semi autonoma irrequieta dello Xinjiang, con la popolazione indigena musulmana degli uiguri, che parla una lingua simile al turco. Lo Xinjiang confina con otto paesi: Russia, Mongolia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan e India.

Gli uiguri hanno dichiarato più volte l’indipendenza del “Turkestan orientale”. Lo Xinjiang per la Cina è troppo importante dal punto di vista strategico per lasciar decollare un movimento indipendentista: oltre a confinare con otto paesi, creando così una zona cuscinetto che protegge la Pianura centrale, ha anche il petrolio, e ospita siti attrezzati per i test nucleari.

È decisivo anche per la strategia economica cinese detta “One Belt, One Road”, letteralmente “una cintura di strada”. La “strada” curiosamente è una rotta navale; è la “Nuova via della seta”, una rotta terrestre formata dalla vecchia Via della seta, che attraversa lo Xinjiang per poi collegarsi a sud con il grandissimo porto che la Cina sta costruendo a Gwadar, in Pakistan. La Cina ha firmato un contratto quarantennale di affitto del nuovo scalo marittimo. Lo Xinjiang è al 40% Han, con una stima prudente, e la stessa Urumqui potrebbe ormai essere a maggioranza Han.

C’è un Congresso mondiale uiguro che ha sede in Germania, e in Turchia è stato fondato il Movimento per la liberazione del Turkestan orientale. Per restare in buoni rapporti con il maggior numero possibile di vicini di casa ed evitare che qualunque movimento indipendentista organizzato possa avere linee di rifornimento o punti di appoggio, Beijing non esita a dipingere i separatisti come fondamentalisti islamici. Al-Qaeda e altri gruppi, che hanno teste di ponte in paesi come il Tagikistan, stanno cercando in effetti di creare collegamenti con i separatisti uiguri, ma questo movimento è prima nazionalista e poi islamico.

Il punto ora è come si rapporterà alla ricerca contemporanea dell’ordine mondiale, in particolare nelle sue relazioni con gli Stati Uniti. Stati Uniti e Cina sono entrambi pilastri essenziali dell’ordine mondiale. Il rapporto dell’America con la politica è di tipo pragmatico; quello della Cina è concettuale. L’America non ha mai avuto un vicino potente e minaccioso; la Cina non è mai stata senza un avversario potente ai suoi confini. La mentalità dei cinesi plasmata in parte dal comunismo, integra in misura crescente un modo di pensare tradizionale del paese; nessuno dei due è intuitivamente familiare agli americani.

Nel corso della loro storia, Cina e Stati Uniti hanno partecipato appieno a un sistema internazionale di Stati sovrani, solo recentemente. I leader che attualmente governano la Cina rappresentano la quinta generazione postrivoluzionaria. Molte azioni americane, da parte cinese, vengono interpretate come un piano per contrastare l’ascesa della Cina, e la promozione dei diritti umani da parte americana viene vista come un progetto per minare la struttura politica interna cinese. (Politica del pivot degli Stati Uniti).

Un altro problema sempre più pressante per il partito è l’incapacità di dar da mangiare alla popolazione. Oggi stando al ministero dell’Agricoltura, più del 40% delle terre coltivabili è inquinato o si sta assottigliando nello strato superficiale. La Cina è prigioniera di un circolo vizioso: deve portare avanti il processo di industrializzazione perché modernizza la società e innalza il tenore di vita, ma tale processo minaccia la produzione di alimenti. Se non riuscirà a risolvere questo problema, scoppieranno tumulti. Intanto, però, in Cina i costi della manodopera stanno già lievitando a beneficio delle concorrenti Thailandia e Indonesia.

Ma cosa succederebbe se ci fosse un blocco navale che impedisse alle merci di entrare ed uscire dal paese?

Adesso la Cina sta costruendo una marina militare in grado di attraversare gli oceani. La Cina ci metterà ancora molto tempo (le stime indicano trent’anni) a sviluppare una capacità navale che la metta in condizione di competere seriamente con la forza navale più potente che il mondo abbia mai visto: la marina degli Stati Uniti. Una portaerei di fabbricazione cinese (Liaoning) è ormai pronta e all'inizio del 2016 la Cina ha annunciato la decisione di approntarne un'altra entro la fine del 2021. Da parte americana, il timore è che una Cina in crescita insidi sistematicamente la supremazia degli Stati Uniti e quindi la loro sicurezza. Per analogia con l’Unione Sovietica durante la guerra fredda, gruppi significativi vedono la Cina determinata a conseguire il predominio militare oltre che economico in tutte le regioni circostanti e quindi, in definitiva, l’egemonia.

Entrambe le parti sono confermate nei loro sospetti dalle manovre militari e dai programmi di difesa dell’avversario. Un po’ alla volta i cinesi metteranno nei loro mari, e nel Pacifico, sempre più navi. Gli americani sanno che i cinesi stanno costruendo una rete di missili terrestri anti-navi per raddoppiare le ragioni che un giorno dovrebbero sconsigliare agli americani o ai loro alleati di avventurarsi nel Mar Cinese Meridionale o in qualunque altro mare.

Tra la Cina e il Pacifico si trova l’arcipelago che Pechino chiama “la prima catena di isole”. Troviamo anche la Linea Dei Nove Punti o Nine Dash Line, successivamente soprannominata dei Dieci Punti, per potervi includere anche Taiwan da sempre rivendicata. Questa contesa sulla proprietà di oltre 200 tra isolette e scogli sta avvelenando i rapporti tra il colosso asiatico e i suoi vicini. L’orgoglio nazionalistico spinge la Cina a voler assumere il controllo dei corridoi di transito all'interno della catena; la geopolitica glielo impone, in quanto essi danno accesso alle principali rotte di navigazione verso il Mar Cinese Meridionale.

Il libero accesso al Pacifico è ostacolato innanzitutto dal Giappone. Le navi cinesi che arrivano dal Mar Giallo e aggirano la penisola coreana dovrebbero attraversare il Mar del Giappone e lo stretto di La Pérouse sopra Hokkaido per poi entrare nel Pacifico. Qualora, le navi riuscissero a passare, dovrebbero ancora costeggiare le isole Curili che si trovano a nord-est di Hokkaido, e sono controllate dalla Russia ma rivendicate dal Giappone. Il Giappone contende alla Cina anche l’arcipelago disabitato che chiama Senkaku e che i cinesi chiamano Diaoyu, a nord est di Taiwan.

Le navi cinesi che partono dal Mar Cinese Orientale o lo attraversano, procedendo in linea retta da Shanghai verso il Pacifico, devono passare davanti all’arcipelago Ryukyu, di cui fa parte Okinawa, sulla quale si trovano non solo una gigantesca base militare americana, ma anche tutti i missili terra-mare che i giapponesi possono schierare estremità dell’isola. Sotto Okinawa c’è Taiwan, che si trova al largo della costa cinese e separa il Mar Cinese Orientale dal Mar Cinese Meridionale. Per la Cina, Taiwan è la sua ventitreesima provincia, ma in realtà è alleata dell’America e dispone di una marina e di un’aviazione armate fino ai denti da Washington.

Gli americani si sono impegnati a difendere l’isola da un’eventuale invasione cinese con il Taiwan Relations Act del 1979. Ma se Taiwan dovesse dichiarare la piena indipendenza dalla Cina, ponendo in essere quello che Beijing considererebbe un atto di guerra, gli Stati Uniti non sarebbero tenuti a intervenire in suo aiuto perché si tratterebbe di una provocazione. I cinesi vorrebbero annettere Taiwan, ma ad oggi non sono assolutamente in grado di farlo con l’uso della forza.

Per andare a ovest verso i paesi petroliferi del Golfo, quali Iran, Iraq etc., le unità cinesi devono costeggiare il Vietnam che, come abbiamo visto, ha recentemente posto in essere offerte di amicizia agli americani. Devono avvicinarsi così alle Filippine, prima di attraversare lo stretto di Malacca su cui si affacciano Malesia, Singapore e Indonesia, tutti paesi legati diplomaticamente e militarmente agli Stati Uniti. Lo stretto è lungo circa 800 chilometri e nel punto più angusto misura meno di 3 chilometri.

La Cina rivendica quasi per intero il Mar Cinese Meridionale, con i giacimenti petroliferi che dovrebbe custodire nei suoi fondali. Ma anche la Malesia, Taiwan, il Vietnam, le Filippine e il Brunei hanno rivendicazioni territoriali nei confronti della Cina e tra di loro. Per perseguire i suoi scopi, la Cina sta usando metodi di dragaggio e bonifica dei terreni in modo da trasformare una serie di reef e di atolli contestati in isole vere e proprie. La Cina ha poi annunciato di aver modificato la sua strategia da difensiva ad offensiva e difensiva. Essa deve proteggere le rotte che attraversano il Mar Cinese Meridionale, sia per fare arrivare i suoi prodotti sul mercato, sia per garantire l’afflusso delle materie prime con cui fabbricarli – in primis petrolio, gas naturale e metalli preziosi. Non può subire un blocco navale. La diplomazia è un’altra soluzione ma le garanzie migliori sono offerte dagli oleodotti e dai gasdotti, dalle strade e dai porti.

Sul piano diplomatico, la Cina tenterà di sottrarre i paesi del sud-est asiatico all’abbraccio degli Stati Uniti. Per l’esperto di geopolitica e relazioni internazionali Robert Kaplan, il Mar Cinese Meridionale sarebbe per i cinesi nel XXI secolo quello che i Caraibi erano per gli Stati Uniti all'inizio del Novecento. Come gli Stati Uniti, anche la Cina ambisce a diventare una potenza affacciata su due oceani. A questo scopo sta investendo in porti d’alto mare in Myanmar, Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka.

I porti dell’Oceano Indiano e del Golfo del Bengala fanno parte di un piano ancora più ambizioso per garantire il futuro della Cina. L’affitto del nuovo mega-scalo di Gwadar, in Pakistan, sarà decisivo (se la regione pakistana del Belucistan resterà abbastanza stabile) per la creazione di una rotta alternativa terrestre verso la Cina. Partendo dalla zona costiera occidentale dell’ex Birmania, la Cina ha costruito gasdotti e oleodotti che collegano il Golfo del Bengala con la Cina sud-occidentale: è l’unico mezzo che ha a disposizione il colosso asiatico per ridurre la sua angosciosa dipendenza dallo stretto di Malacca, attraverso il quale passa quasi l’80% delle sue forniture energetiche.

Gli Stati Uniti potrebbero riuscire a ribaltare la situazione attuale favorevole alla Cina se il governo dell’ex Birmania si convincerà di avere l’appoggio di Washington. I cinesi stanno costruendo anche porti in Kenya, linee ferroviarie in Angola, un bacino idroelettrico in Etiopia, una base militare a Gibuti, oltre a cercare minerali e materiali preziosi in tutta l’Africa. Una questione più recente ed immediata riguarda la Corea del Nord.La presenza all'interno dell’arsenale nordcoreano di armi nucleari ha un effetto geopolitico rilevante, che va al di là della semplice utilità militare. Esse sono un incentivo per il Giappone e la Corea del Sud a dotarsi loro volta di un arsenale nucleare.

Per la Cina, la Corea del Nord incarna eredità complesse. Agli occhi di molti cinesi la guerra di Corea appare come un simbolo della determinazione del loro paese a porre fine al suo secolo di umiliazione e ad alzarsi in piedi sulla scena mondiale, ma anche come un monito a non farsi coinvolgere in guerre le cui origini la Cina non controlla e le cui ripercussioni possono avere gravi e non previste conseguenze a lungo termine. Questa è la ragione per cui Cina e Stati Uniti anno assunto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU posizioni analoghe. I leader della Cina e degli Stati Uniti hanno riconosciuto pubblicamente il comune interesse dei due paesi a pianificare un esito costruttivo. Una partnership strategica nella regione del Pacifico volta a mantenere un equilibrio, mentre si riduce la minaccia militare intrinseca.

Molti cinesi forse vedono gli Stati Uniti come una superpotenza già oltre il suo apogeo. Tuttavia, da parte dei dirigenti cinesi c’è anche un esplicito riconoscimento del fatto che gli Stati Uniti manterranno un’importante capacità di leadership nel prevedibile futuro. Il punto essenziale è che nessun paese, né la Cina né gli Stati Uniti, è in condizione di ricoprire da solo un ruolo di leadership mondiale paragonabile a quello avuto dagli Stati Uniti dopo la guerra fredda. Nell’Asia orientale, gli Stati Uniti non sono tanto un elemento equilibratore quanto una parte integrante dell’equilibrio. Essi sono parte di un equilibrio tra Cina, Corea e Giappone con la Russia e il Vietnam come partecipanti periferici. Accade così che gli Stati Uniti sono un alleato del Giappone e un partner dichiarato della Cina.

La Cina fa ormai stabilmente parte dell’economia globale. Se i paesi terzi non acquistassero, la Cina non produrrebbe, e se non producesse, ci sarebbe una disoccupazione di massa mai vista prima, con inevitabili disordini che si riverserebbero su tutti i paesi vicini, ma anche i più lontani.

Fonti principali:
- Marshall Tim, (2017), Le 10 mappe che spiegano il mondo, Garzanti. Traduzione a cura di Roberto Merlini.
- Kissinger Henry, (2017), Ordine Mondiale, Mondadori. Traduzione a cura di Tullio Cannillo.
- Kissinger Henry, (2012), On China, The Penguin Press.
- Kissinger Henry, (1994), Diplomacy, Simon&Schuster Paperbacks, Rockefeller Center.

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L'Autore

Michele Pavan

ITA

Michele Pavan è fondatore e CEO di MInter Group S.r.l., fondatore e Presidente di Mondo Internazionale APS ETS e Membro del Comitato Tecnico e Scientifico del CESMA - Centro di Studi Militari Aeronautici "Giulio Douhet" con focus sulle Military Policy, in particolare con l'utilizzo di tecnologie satellitari e droni. Inoltre, si occupa di analisi geostrategiche e di intelligence per Istituzioni ed Organizzazioni Internazionali, in Italia e all’estero, in qualità di Intelligence & Security Advisor. Attualmente è Docente e Coordinatore Scientifico presso la LUM School of Management di Milano per alcuni master sulla diplomazia, sulle carriere europee e sulla geopolitica.

Si laurea in Relazioni Internazionali – Diplomazia ed Organizzazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Milano, specializzandosi nella prevenzione delle crisi e analisi di politica estera, in particolare dell'Africa Sub-Sahariana e dell'area MENA - Medio Oriente e Nord Africa. Si è soffermato sullo studio sperimentale dei fattori di prevenzione, distinti in statici e dinamici, che indicano l'evoluzione di un contesto di crisi, determinandone il rischio e le diverse variabili. Successivamente, consegue il diploma di master executive presso la SIOI – Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale in Sicurezza Economica, Geopolitica e di Intelligence.

Ha studiato per sei mesi presso l'Associazione Europea di Studi Internazionali - AESI di Roma dove, successivamente, ha ricoperto il ruolo di Direttore per le Relazioni Internazionali e le Attività Nazionali. Ha organizzato e partecipato a diversi incontri in merito alla prevenzione delle crisi presso le sedi delle Nazioni Unite a New York e Ginevra, al Pentagono, al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, alla Rappresentanza Permanente d'Italia presso le Nazioni Unite e l'Unione Europea, all'Ambasciata degli Stati Uniti d'America in Italia, all'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede, all'Ambasciata d'Italia presso gli Stati Uniti d'America, al Consolato italiano a St. Pietroburgo, alla Nunziatura Apostolica negli Stati Uniti, presso l'Unione Europea, al CASD, all'Istituto Diplomatico Villa Madama, alla Santa Sede, a Palazzo San Macuto, alla Commissione Europea, al Parlamento Europeo, al Comando JFC della NATO, all'Università MGIMO, alla Saint Petersburg State University of Economics, all'American University e alla George Washington University.

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Michele Pavan is founder and CEO of MInter Group S.r.l., founder and President of Mondo Internazionale APS ETS and Member of the Technical and Scientific Committee of CESMA - Centro di Studi Militari Aeronautici "Giulio Douhet" with focus on Military Policy, with the use of satellite technologies and drones. He also is an Intelligence & Security Advisor and works on geostrategic and intelligence analysis for National and International Institutions. He is currently Lecturer and Scientific Coordinator at the LUM School of Management in Milan for several masters on diplomacy, European careers and geopolitics.

He graduated in International Relations - Diplomacy and International Organisations at the University of Milan, specialising in crisis prevention and foreign policy analysis, particularly of Sub-Saharan Africa and the MENA area - Middle East and North Africa. He focused on the experimental study of prevention factors, distinguished in static and dynamic, which indicate the evolution of a crisis context, determining its risk and the different variables. Subsequently, he obtained an executive master's degree from SIOI - Italian Society for International Organisation in Economic, Geopolitical and Intelligence Security.

He studied for six months at the European Association of International Studies - AESI in Rome where he subsequently held the position of Director for International Relations and National Activities. She has organised and participated in a number of meetings on crisis prevention at the United Nations headquarters in New York and Geneva, the Pentagon, the United States Department of State, the Permanent Representation of Italy to the United Nations and the European Union, the Embassy of the United States of America in Italy, the Embassy of Italy to the Holy See, the Embassy of Italy to the United States of America, the Italian Consulate in St. Petersburg, the Nunciature in St. Petersburg, the Italian Ministry of Foreign Affairs, the Ministry of Foreign Affairs, the Ministry of the Interior, the Ministry of Foreign Affairs and the Ministry of Foreign Affairs. Petersburg, at the Apostolic Nunciature in the United States, at the European Union, at the CASD, at the Diplomatic Institute Villa Madama, at the Holy See, at Palazzo San Macuto, at the European Commission, at the European Parliament, at the NATO JFC Command, at MGIMO University, at Saint Petersburg State University of Economics, at the American University and at George Washington University.

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Asia Orientale

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Politica Cina Kissinger