Quanto ci danneggia la chiusura delle scuole?

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  Redazione
  15 agosto 2020
  5 minuti, 24 secondi

A cura di Valentina De Consoli

Una conseguenza particolarmente sentita legata alla pandemia di SARS-CoV-2 è stata la chiusura delle scuole. Tutti i cittadini si sono trovati a rimanere chiusi fra le mura di casa, ma soprattutto molti si sono ritrovati a dover badare ai figli, dovendo anche lavorare e, specialmente per chi ha bimbi con pochi anni di vita, dovendo molte volte anche assisterli nell’apprendimento. Questa situazione, inaspettata e disagevole, ha avuto importanti ricadute a livello sociale, danneggiando l’apprendimento e la salute mentale dei minori e aumentando la già esistente diseguaglianza di genere.

Osservando le misure prese dagli Stati Membri dell’Unione Europea, si nota come tutti abbiano chiuso le strutture educative per almeno qualche settimana, eccezion fatta per la Svezia che ha deciso di mantenere aperte le scuole dell’infanzia e primarie. Tuttavia, a seconda del numero di contagi all’interno del proprio Paese sono stati presi provvedimenti differenti: per esempio l’Italia, paese che ha registrato 248,419 casi di contagiati totali, ha previsto la chiusura delle scuole fino alla fine dell’anno accademico; un paese come la Danimarca, che ha registrato 14,314 casi totali di contagio, si è deciso di riaprire le strutture educative già a partire dal 15 aprile, rispettando comunque norme di sicurezza molto ferree. [i]

Tra le più importanti conseguenze sociali, dovute a questa improvvisa chiusura, vediamo l’impatto sulla salute mentale e sulla povertà educativa a danno dei bambini.

Un report di Save the Children Italia prende in analisi il Bel Paese e afferma che la didattica a distanza, specialmente nei bambini della scuola dell’infanzia e primaria, non può essere completamente efficace perché vede venir meno l’accoglienza e le relazioni umane che sono fondamentali nella vita del bambino e nel suo approccio scolastico, per non parlare della difficoltà a imparare a scrivere o a fare i calcoli senza avere una persona che ti assista. Conseguentemente ne deriva una povertà di apprendimento legata alle mancate attività educative e motorie che possono provocare demotivazione nello studente rispetto a continuare il percorso di studio, specialmente per quegli individui che si trovano già in una condizione svantaggiata o che ci si troveranno in seguito a questa crisi. Il report parla dell’Italia ma purtroppo la didattica a distanza si è mostrata fallimentare in diversi paesi europei: per esempio in Belgio molti studenti hanno continuato a mandare i compiti via mail ma, a parte per quelli iscritti a istituti privati, difficilmente le lezioni da remoto sono state svolte. Anche in Francia la didattica da remoto è stata difficile: il Ministero dell’Istruzione ha creato una app apposta per facilitare lo svolgimento di lezioni ma solo un quarto degli insegnanti l'hanno utilizzata, la maggior parte ha optato per WhatsApp o Zoom. [ii]

Per quanto riguarda le conseguenze psicologiche, uno studio pubblicato dalla rivista scientifica The Lancet afferma come l’isolamento vada a nuocere la salute mentale dei giovani, intesi come persone tra i 10 e i 24 anni. Lo studio sottolinea infatti come in questo periodo della vita sia cruciale l’interazione con i pari e quanto questa incida sulla propria crescita, non solo emotiva e personale, ma proprio neurologica: abilità cognitive e di riconoscimento di sé stessi all’interno della sfera sociale si sviluppano nell’individuo proprio in età adolescenziale. È per questo motivo che, una condizione di distanziamento sociale obbligato, può incidere fortemente sul suo cervello e sugli sviluppi del comportamento nelle dinamiche sociali.

Non meno importante è l’impatto che la chiusura delle scuole ha avuto sul divario di genere. Il Joint Research Center (JRC) ha pubblicato in aprile un report focalizzato su quanto il Covid-19 abbia aumentato l’esistente divario di genere nei Paesi dell'Unione. Pur non avendo al momento ancora dei dati certi in merito, si possono fare delle ipotesi partendo dalla situazione precedente alla pandemia.

  • Nella maggior parte degli Stati UE, soprattutto in quelli dell’Est e del Sud, restano ancora dominanti i ruoli di genere tali per cui la donna investe maggior tempo prendendosi cura della famiglia e l’uomo si occupa di mantenere economicamente il nucleo familiare;
  • La percentuale di donne che ha un lavoro part-time è decisamente superiore a quella degli uomini: 30,2% contro 8,5%;
  • Una statistica dell’Eurostat afferma che nell’UE in media il divario retributivo di genere è pari al 14,8%; [iii]
  • I primi ad essere maggiormente danneggiati da questa situazione sono i genitori single, specialmente le mamme single, le quali secondo una statistica dell’Eurostat del 2016 risultavano essere l’85% dei genitori single su tutto il suolo europeo.

Tutte queste circostanze legate al Covid-19 non fanno altro che aumentare le diseguaglianze tra uomini e donne che sono ancora presenti in Europa e il rischio è che, a lungo termine, questa crisi le aumenti drasticamente.

Gli Stati hanno dovuto provvedere per venire incontro alle famiglie dando aiuti finanziari. In alcuni casi, sono stati stanziati fondi per i genitori o per la cura dei bambini: il Portogallo ha stanziato 588 milioni per contribuire alla gestione dei bambini inferiori ai 12 anni, la Germania ha stanziato 4,3 miliardi in bonus da 300 euro per bambino. Altri hanno dato fondi a strutture educative: il Belgio ha aiutato i centri diurni a non collassare dando fondi di oltre 42 milioni, o paesi come la Spagna hanno dato fondi per venire incontro direttamente ai bambini più vulnerabili. [iv]

Nessun paese è riuscito a prevedere e a gestire perfettamente questo aspetto dell’emergenza Covid-19 e tutte le problematiche che ne sono derivate. Tuttavia, ora è importante pensare ad una ripartenza all’interno degli Stati Membri che sia degno del nome scelto per il piano di ripresa: “Next Generation EU”.

Fonti consultate per il presente articolo:

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