Fine vita: depositate le motivazioni del Caso Trentini

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  Redazione
  22 September 2020
  8 minutes, 45 seconds

A cura di Marta Stroppa

Nei giorni scorsi sono state depositate le motivazioni della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Massa il 27 luglio, con la quale i giudici avevano assolto Marco Cappato e Willhelmine Schett (nota ai più come Mina Welby, moglie di Piergiorgio Welby) dal reato di istigazione e aiuto al suicidio di Davide Trentini, malato di sclerosi multipla. Grazie all’aiuto dell’Associazione Soccorso Civile Sos Eutanasia e in particolare degli imputati nel processo, l'uomo era infatti riuscito a raggiungere una struttura sanitaria svizzera e ottenere il suicidio medicalmente assistito. La sentenza qui in analisi rappresenta un importantissimo precedente per la tutela dei diritti dei malati che vogliono ricorrere al suicidio assistito, in quanto non solo ripercorre quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella sua storica sentenza n. 242/2019 sul caso di Fabiano Antoniani, ma ne amplia ulteriormente la portata. Vediamo qui di seguito come.

L’antefatto

Davide Trentini ha scoperto di essere affetto da sclerosi multipla, una malattia demielizzante del sistema nervoso centrale a decorso cronico progressivo, nel 1993. Se inizialmente l'uomo conduceva una vita tutto sommato normale, con gli anni la malattia ha avuto un decorso sempre più rapido e aggressivo, portando ad un grave peggioramento delle sue condizioni di salute. Negli ultimi anni della sua vita, in particolare, Davide Trentini non era più autosufficiente e soffriva di dolori fortissimi e continui spasmi. Nessuna terapia del dolore era più sufficiente.

Non riuscendo più a sopportare tale sofferenza, nel 2015 l'uomo aveva espresso la propria volontà di ricorrere al suicidio. Nonostante la sua famiglia e la sua compagna avessero provato più volte a dissuaderlo, il Trentini si era informato online e aveva preso contatto con due strutture in Svizzera che si occupano di assistenza alla morte volontaria. Le tempistiche troppo lunghe e le difficoltà burocratiche lo avevano tuttavia spinto ad abbandonare, almeno momentaneamente, tale progetto.

È stato allora che il Trentini si è rivolto all’Associazione Soccorso Civile Sos Eutanasia, di cui fanno parte Marco Cappato e Mina Welby. Grazie al loro aiuto, il Trentini ha raccolto fondi necessari e ha contattato la struttura sanitaria svizzera Lifecircle, la quale gli ha garantito di effettuare l’operazione in tempi celeri. L'uomo è stato poi accompagnato nel suo viaggio oltralpe dall’imputata Mina Welby, la quale si è anche prestata a tradurre dall’italiano al tedesco (e viceversa) i colloqui tra il Trentini e i medici della struttura sanitaria. Il 13 aprile 2017, Davide Trentini è deceduto tramite suicidio assistito.

Consapevoli del divieto per la legge italiana di aiutare i malati che vogliono ricorrere all’eutanasia, Marco Cappato e Mina Welby si sono poi autodenunciati presso la stazione dei Carabinieri di Massa, con la speranza di sensibilizzare la popolazione sulla questione. Accusati di istigazione al suicidio (art. 530, comma 1, c.p.p.) e di agevolazione al suicidio (art. 530, commi 2 e 3, c.p.p.), i due hanno rischiato di essere condannati a 3 anni e 4 mesi di reclusione – così come richiesto dal PM, il quale ha riconosciuto tutte le attenuanti del caso.

La sentenza della Corte

I giudici della Corte di Assise di Massa hanno però deciso a favore degli imputati, ritenendo che essi dovessero essere assolti dal reato loro ascritto “perché il fatto non sussiste quanto alla condotta di rafforzamento del proposito suicidiario di Trentini Davide e perché il fatto non costituisce reato quanto alla condotta di agevolazione dell’esecuzione del suicidio del Trentini”.

Sulla base della testimonianza dei familiari e della compagna del Trentini, i giudici hanno infatti convenuto che “risulta provato che il Trentini si era autonomamente e liberamente determinato al suicidio e che, sulla formazione e sul rafforzamento della sua volontà suicidiaria, non avevano in alcun modo influito gli imputati” (§11). Non solo il Trentini aveva espresso la propria intenzione di suicidarsi, ma egli aveva anche dato concreta attuazione al proprio proposito prendendo contatto con delle strutture svizzere che avrebbero provveduto ad eseguire l’eutanasia. Secondo quanto riportato sia dai familiari che dalla compagna del malato, il Trentini si era rivolto a Marco Cappato e Mina Welby solo perché sperava lo avrebbero aiutato a raggiungere la Svizzera; pertanto, gli imputati non avevano in nessun modo rafforzato il proposito suicidiario del Trentini.

Inoltre, secondo i giudici, gli imputati non possono essere incriminati per agevolazione al suicidio, in quanto sussiste la scriminante introdotta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 242/2019, la quale prevede che l’agevolazione all’esecuzione del suicidio non sia punibile per legge se sussistono i seguenti requisiti:

  1. Deve essere stato accertato da un medico che la patologia del malato era irreversibile;
  2. Deve essere stato verificato da un medico che il malato pativa una grave sofferenza fisica o psicologica;
  3. Deve essere stato oggetto di verifica in ambito medico che il paziente dipendeva da trattamenti di sostegno vitale;
  4. Un medico deve avere accertato che il malato era capace di prendere decisioni libere e consapevoli;
  5. La volontà dell’interessato deve essere stata manifestata in modo chiaro e univoco, compatibilmente con quanto è consentito dalle sue condizioni;
  6. Il paziente deve essere stato adeguatamente informato sia in ordine alle sue condizioni, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all’accesso alle cure palliative.

Nel caso di specie, secondo i giudici “sussistono tutti i predetti requisiti o, quantomeno, vi è un dubbio in merito alla loro sussistenza” (§12). Risulta infatti provato che il Trentini soffriva di una malattia irreversibile che gli causava una grave sofferenza fisica: i numerosi esami medici e le dichiarazioni dei dottori, dei familiari e della compagna di Trentini ne sono una testimonianza (§§13-14). Risulta altresì evidente che l'uomo non solo era perfettamente consapevole della sua condizione, ma era anche in grado di compiere scelte motivate e razionali (§16), nonché di manifestare in modo “chiaro e univoco” la propria volontà (§17). Anche il requisito dell’essere stato informato in merito alle proprie condizioni di salute e alle possibili soluzioni alternative al suicidio sussiste: secondo quanto dichiarato dai medici e dai familiari del Trentini, il malato era “cosciente della propria condizione clinica, della natura e prognosi della patologia” nonché delle possibili alternative terapeutiche (§18).

Gli unici dubbi riguardano il terzo requisito: quello che richiede la dipendenza del malato da ‘trattamenti di sostegno vitale’. Sebbene Trentini non fosse più autosufficiente e soffrisse terribilmente, egli non era collegato a nessun tipo di macchinario. I giudici si sono allora chiesti se il termine ‘trattamenti di sostegno vitale’ facesse riferimento unicamente alla ‘dipendenza da una macchina’ – come nel caso della predetta sentenza n. 242/2019 riguardante il caso di Fabiano Antoniani, tetraplegico ed affetto da cecità permanente, tenuto in vita grazie al collegamento a delle macchine che gli permettevano di respirare e nutrirsi artificialmente – o se si riferisse anche alla dipendenza da altri tipi di trattamenti sanitari. Facendo ricorso ad un’interpretazione analogica in bonam partem, i giudici della Corte di Assise hanno concluso che il requisito della dipendenza da ‘trattamenti di sostegno vitale’ dovesse far riferimento non solo alla dipendenza da macchinari, ma anche alla dipendenza da un qualsiasi trattamento sanitario senza il quale si verificherebbe la morte del paziente. I giudici hanno infatti osservato che la Corte Costituzionale, nella predetta sentenza, era pervenuta ad enunclare i sopracitati requisiti prendendo come principale punto di riferimento la legge 219/17, la quale riconosce ad ogni persona capace di agire il diritto di rifiutare o interrompere “qualsiasi trattamento sanitario, ancorché necessario alla propria sopravvivenza” – pertanto, anche in questo caso il termine ‘trattamenti di sostegno vitale’ è da intendersi come qualsiasi trattamento sanitario necessario alla mantenimento in vita del paziente. Ne consegue che, poiché il Trentini “necessitava di assistenza continua”, anche il terzo requisito può essere ritenuto soddisfatto (§15b).

Una volta provata la sussistenza di tutti i requisiti della discriminante configurata dalla sentenza costituzionale n. 242/2019, la Corte di Assise ha assolto gli imputati “ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 530 c.p.p. del reato di agevolazione dell’esecuzione del suicidio con la formula perché il fatto non costituisce reato”.

L’importanza della sentenza

Con questa decisione, la Corte di Assise di Massa crea un importantissimo primo precedente di interpretazione alla predetta sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale. Dalle motivazioni della sentenza emesse dalla Corte di Assise di Massa, infatti, si evince che il verdetto non è solo conforme alla sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, ma che esso è anche portatore di un’interpretazione più ampia dei requisiti necessari all’identificazione di nuova causa di giustificazione in presenza della quale l’agevolazione del suicidio non è punibile. Nel caso qui in analisi, infatti, la Corte di Assise ha chiarito che il requisito dei ‘trattamenti di sostegno vitale’ indicato dai giudici della Corte Costituzionale nella sentenza n. 242/2019 non significa necessariamente ed esclusivamente la dipendenza da una macchina, ma bensì da “qualsiasi trattamento sanitario interrompendo il quale si verificherebbe la morte del malato anche in maniera non rapida”. In altre parole, il riferimento è da intendersi fatto a qualsiasi tipo di trattamento sanitario, “sia esso realizzato con terapie farmaceutiche o con l’assistenza di personale medico o paramedico o con l’ausilio di macchinari medici”, senza i quali si viene ad innescare nel malato “un processo di indebolimento delle funzioni organiche il cui esito – non necessariamente rapido – è la morte” (§15.2). Tale interpretazione pone quindi sullo stesso livello tutti i malati affetti da una malattia irreversibile che siano soggetti ad un trattamento medico senza il quale non potrebbero vivere (inclusi la nutrizione, l’idratazione o la respirazione artificiale, ma non solo).

La sentenza arriva, tra l’altro, in corrispondenza del settimo anniversario del deposito in Parlamento della proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia. Tuttavia, nonostante siano passati sette anni e nonostante la Corte Costituzionale stessa abbia già chiesto al Parlamento italiano di intervenire con una legge specifica, ad oggi non è ancora stata adottata una normativa ad hoc sul fine vita. In attesa di un intervento del legislatore che confermi l’orientamento giurisprudenziale adottato dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Assise di Massa, quindi, non ci resta che affidarci ai nostri giudici per vedere garantiti i diritti fondamentali dei malati.

Fonti consultate per il presente articolo:

Sentenza della Corte di Assise di Massa sul caso Trentini: https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2020/09/Sentenza-Massa.pdf;

Sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale sul caso di Fabiano Antoniani: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2019&numero=242;

Rocco Berardo, La storia di Davide Trentini e il processo a Mina Welby e Marco Cappato, 4 febbraio 2020: https://www.associazionelucacoscioni.it/notizie/blog/la-storia-davide-trentini-processo-mina-welby-marco-cappato/.

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