Nuova direttiva UE sui green claims

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  Alessia Pagano
  19 May 2023
  5 minutes, 36 seconds


Si parla di greenwashing quando un’azienda, un’organizzazione o un’istituzione fa credere di essere più “verde” di quello che è. Ma cosa vuol dire veramente essere più “verde”? Almeno in teoria dovrebbe essere un sinonimo di “sostenibile”, o “buono per l’ambiente”, ma spesso questi termini, come del resto aggettivi come “bio” “etico” vengono usati a sproposito dalle aziende per motivi di marketing.

Non sono poche infatti le imprese che cercano di cavalcare l’onda della crescente consapevolezza ambientale dei consumatori e della loro maggiore propensione ad acquistare prodotti che dichiarano di avere un impatto ambientale basso o nullo.

Ma in quanti di questi casi ciò che viene dichiarato ha effettivamente un riscontro nella realtà? I dati a nostra disposizione ci mostrano che quello del greenwashing è un problema dilagante in Europa: uno studio della Commissione Europea del 2020 ha rilevato che delle asserzioni ambientali esaminate il 53,3% erano vaghe, fuorvianti o infondate e che il 40% era del tutto infondato.

Purtroppo, al momento, la mancanza di norme comuni a cui attenersi facilita la diffusione di standard creati ad hoc dalle aziende per la propria merce, e rende complicato per i consumatori distinguere tra chi implementa iniziative che sono effettivamente ecologiche e chi mette in atto un ambientalismo di facciata.

Per far fronte a questo problema, lo scorso 22 marzo la Commissione Europea ha adottato la proposta di una nuova direttiva sui green claims, che nella direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori (pubblicata a marzo 2022) vengono definiti come <<qualsiasi messaggio o rappresentazione, non obbligatorio ai sensi del diritto dell'Unione o del diritto nazionale, (...) che afferma o implica che un prodotto o un operatore commerciale ha un impatto positivo o nullo sull'ambiente o è meno dannoso per l'ambiente rispetto ad altri prodotti o commercianti, rispettivamente, o ha migliorato il loro impatto nel tempo>>.


In cosa consiste la direttiva


Come si intuisce dalla definizione di green claims, quindi, l’oggetto di interesse della nuova direttiva sono le dichiarazioni volontarie, e non quelle obbligatorie stabilite dalla legislazione europea. Nel primo caso, infatti, le aziende possono sfruttare la vaghezza delle loro affermazioni per costruire una buona immagine pur non apportando nessun cambiamento concreto, mentre nel secondo l’affidabilità è garantita dall’attenersi a uno standard oggettivo prestabilito.

Ecco perché mediante la nuova direttiva, qualora essa diventasse legge, sarà proibito esibire dichiarazioni ambientali generiche e utilizzare termini come "rispettoso dell'ambiente", "ecologico" o "verde" se non previa dimostrazione di prestazioni ambientali compatibili con i criteri di base imposti dall’UE. Sarà inoltre vietato rilasciare una dichiarazione ambientale sull'intero prodotto quando invece è vera solamente per un suo un aspetto, così come l’utilizzo di un punteggio aggregato dell'impatto ambientale complessivo del prodotto, a meno che non si utilizzino indicatori approvati dall’UE, poiché, come sottolineato nel testo diffuso da Bruxelles, <<I confronti tra prodotti o organizzazioni dovrebbero essere fondati su informazioni e dati equivalenti>>.

Sarà inoltre affrontata la questione della proliferazione dei marchi ambientali. Attualmente, si stima l’esistenza di almeno 230 marchi diversi, il che crea confusione e indebolisce le garanzie di qualità, dato che almeno fino ad oggi chi sperimenta un nuovo sistema di etichettatura non è obbligato a fissare obiettivi più ambiziosi rispetto ai marchi già esistenti, un vincolo che la direttiva mira ad aggiungere. I nuovi marchi dovranno inoltre ottenere un’autorizzazione per acquisire validità, e

al fine di assicurare maggiore trasparenza dovranno essere verificati in modo indipendente e consentire periodici controlli.

Saranno gli Stati a verificare che le aziende si attengano al nuovo regolamento e, in caso di infrazione, a stabilire delle sanzioni proporzionate.


L’impatto della proposta


Il comunicato stampa pubblicato giorno 22 marzo sul sito della Commissione Europea sottolinea come dalle norme più stringenti imposte dalla direttiva non trarranno beneficio solo I consumatori, ma anche le imprese, poiché si eliminerà molta competizione sleale e sarà maggiore il riconoscimento per le aziende che veramente miglioreranno il loro impatto ambientale.

Limitare il greenwashing, inoltre, non servirebbe solo a ridurre la disinformazione, ma darebbe una vera e propria spinta alla transizione verde: si stima, infatti, che implementando questa direttiva, si eliminerebbero circa 7 milioni di tonnellate di CO2 nell’arco di quindici anni, e si compirebbero passi importanti per il raggiungimento della neutralità climatica, che l’UE prevede entro il 2050.

Non mancano però le critiche alla proposta, che inizialmente avrebbe dovuto includere il Product Environmental Footprint (PEF), un indicatore per la stima della sostenibilità dei prodotti. Il PEF è però stato eliminato prima dell’approvazione del testo, rendendo così la direttiva meno chiara riguardo quali saranno effettivamente gli standard da rispettare, che verranno piuttosto definiti in un testo integrativo da rilasciare in futuro.

Un altro elemento di dibattito è il trattamento delle dichiarazioni riguardo la rimozione di carbonio.

Nonostante la proposta evidenzi che una particolare attenzione sarà dedicata a questa categoria di dichiarazioni per via della loro natura facilmente ambigua, sarà solo il grado di trasparenza ad essere preso in considerazione, e non la loro legittimità.

Ci sono infatti varie organizzazioni, tra cui l’European Environmental Bureau (EEB), che affermano che tali dichiarazioni non andrebbero controllate ma vietate, poiché inducono i consumatori a pensare che il prodotto non abbia alcun impatto sul clima, il che non è scientificamente possibile. Per ottenere concreti miglioramenti, infatti, le aziende dovrebbero effettivamente ridurre le proprie emissioni, anziché lasciarle invariate ma fare affidamento su progetti che le bilancino, molti dei quali sono spesso inefficaci o svantaggiosi per via dell’elevato rischio di ricaduta negativa.

Ad ogni modo la proposta della direttiva, per diventare legge a livello europeo, deve ancora essere approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, un processo la cui durata potrebbe estendersi per circa 18 mesi, durante i quali è probabile che la direttiva venga emendata nuovamente, quindi è importante ricordare che ancora molto potrebbe cambiare prima che quanto previsto debba essere implementato a livello nazionale.


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Fonti consultate per il presente articolo:


https://unsplash.com/it/foto/0NRkVddA2fw

https://www.whitecase.com/insight-alert/eu-proposes-green-claims-directive-combat-greenwashing#:~:text=The%20new%20directive%20would%20complement,'New%20Deal%20for%20Consumers'.

https://environment.ec.europa.eu/topics/circular-economy/green-claims_en

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https://economiacircolare.com/greenwashing-direttiva-green-claim/

https://greenreport.it/news/economia-ecologica/commissione-ue-una-direttiva-per-mettere-fine-al-greenwashing/

https://eeb.org/eu-commission-prepares-to-crack-down-on-greenwashing-with-new-green-claims-law/

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https://www.foodpackagingforum.org/news/european-commission-proposes-green-claims-directive

https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_23_1692


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Alessia Pagano

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Ambiente e Sviluppo

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Green greenwashing