Climate finance: di cosa si tratta e perché se ne parla

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  Irene Boggio
  01 October 2021
  5 minutes, 37 seconds

Nel suo discorso sullo stato dell'Unione, pronunciato il 15 settembre dinanzi al Parlamento Europeo, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen non ha mancato di trattare il tema della crisi climatica, cogliendo l'occasione per ricordare alcune delle iniziative sinora messe in campo dall'Unione allo scopo di contrastare i cambiamenti climatici e di mitigarne gli effetti e, al contempo, per annunciare alcune misure di cui la Commissione Europea proporrà l'adozione nel prossimo futuro. Ad aver fatto notizia, tra di esse, è stata in particolare la proposta di un finanziamento supplementare di 4 miliardi di euro fino al 2027 in favore dei Paesi meno sviluppati – che meno hanno contribuito a determinare l'attuale condizione di profonda alterazione, antropogenica, del clima, ma che più ne subiscono gli effetti –, a fini di mitigazione dei cambiamenti climatici e di adattamento alle loro conseguenze ormai inevitabili (perché se anche fossimo in grado di azzerare oggi stesso le emissioni di gas serra, il mutamento climatico non si arresterebbe d'improvviso e alcune delle sue peggiori conseguenze si manifesterebbero ugualmente). La Presidente von der Leyen ha poi sollecitato gli Stati Uniti a intensificare anch'essi i propri sforzi, a sostegno degli Stati meno sviluppati e più esposti e vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici, nella speranza che il climate finance gap possa così essere colmato.

La risposta degli Stati Uniti non si è fatta attendere: al richiamo della Presidente von der Leyen – che non è certo passato inosservato – il Presidente Biden ha risposto attraverso il proprio intervento all'Assemblea Generale dell'ONU del 21 settembre. In quell'occasione, infatti, Biden ha dichiarato: “ad aprile ho annunciato che avremmo duplicato i nostri finanziamenti pubblici volti a sostenere le nazioni in via di sviluppo nell'affrontare la crisi climatica. Oggi sono fiero di annunciare che lavoreremo con il Congresso per duplicare quella cifra un'altra volta. Questo farà degli Stati Uniti un leader della climate finance. E con il nostro contributo, insieme ai capitali privati provenienti da altri donatori, saremo in grado di conseguire l'obiettivo di mobilitare 100mld di dollari per sostenere l'azione climatica nei Paesi in via di sviluppo”1.

Ma cosa s'intende per climate finance? E che cos'è il climate finance gap, di cui si è preso a discutere proprio per effetto delle dichiarazioni dei vertici della Commissione Europea e dell'amministrazione statunitense?

La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) – entrata in vigore nel 1994 e ratificata da 197 Stati (le “Parti”2) – prevede che gli Stati dalle economie più sviluppate supportino finanziariamente i Paesi in via di sviluppo (attraverso la cosiddetta climate finance) nel perseguimento degli obiettivi enunciati dalla Convenzione stessa. Questo proprio a partire dal riconoscimento del fatto che le Parti differiscono tra loro non soltanto quanto a capacità di fare fronte al mutamento climatico e alle sue conseguenze, ma anche sul piano della responsabilità: non tutti, infatti, hanno contribuito ugualmente al determinarsi del problema (anzi). Il “principio della responsabilità comune ma differenziata e delle differenti capacità”, in base a cui i Paesi industrializzati sono chiamati a sostenere le economie meno sviluppate nel fare fronte ai cambiamenti climatici, tanto sul piano della mitigazione quanto dell'adattamento, è stato poi ribadito dal Protocollo di Kyoto (1997) e dal Trattato di Parigi (2015). A quantificare l'ammontare delle risorse finanziarie da destinarsi ai Paesi in via di sviluppo, invece, sono stati l'Accordo di Copenhagen del 2009 (siglato alla COP15 di Copenhagen, appunto) e gli Accordi di Cancun del 2010 (COP16), che hanno vincolato i Paesi più sviluppati a mobilitare congiuntamente, entro il 2020, 100 mld di dollari all'anno in favore dei Paesi meno sviluppati. L'obiettivo dei 100 miliardi annui è stato poi confermato dal Trattato di Parigi, di cui rappresenta un elemento fondamentale. La proposta della Presidente von der Leyen di aumentare di 4 miliardi (da erogare tra il 2021 e il 2027) i finanziamenti europei a beneficio degli Stati che meno hanno contribuito all'emissione di gas serra e più si trovano esposti agli effetti del mutamento climatico – finanziamenti che già ammontano a circa 25 miliardi di euro all'anno, considerando i contributi di ciascuno dei 27 Stati membri – si deve al mancato conseguimento di quell'obiettivo.

Secondo un rapporto pubblicato dall'OCSE il 17 settembre, nel 2019 i Paesi sviluppati hanno raccolto complessivamente 79,6 mld di dollari, un incremento del 2% rispetto al 2018, quando sono stati mobilitati 78,3 miliardi. Negli anni precedenti si erano registrati incrementi più significativi, pari al 22% tra il 2016 e il 2017 e all'11% tra 2017 e 2018. Nel 2019, quindi, l'obiettivo dei 100 miliardi di dollari annui è stato mancato di circa 20 miliardi – il climate finance gap cui si è riferito il Presidente Biden nel suo intervento all'Assemblea Generale ONU – e pare che nel 2020 non sia andata meglio (anche per via degli effetti economici della pandemia di COVID-19), sebbene i dati relativi al 2020 saranno disponibili solo nei primi mesi del 2022. Come dichiarato dal Segretario Generale dell'OCSE Mathias Cormann, “il progresso limitato nel volume di finanziamenti tra 2018 e 2019 è deludente, specialmente alla vigilia della COP26. […] Bisogna fare di più”.

A preoccupare è il cattivo segnale che il mancato rispetto dell'impegno siglato nel 2009 rappresenta per i Paesi meno sviluppati. Ma preoccupano anche le conseguenze che ciò potrebbe determinare sulle negoziazioni che avranno luogo nel corso della 26esima Conferenza delle Parti, che si terrà a Glasgow a partire dal 31 ottobre: il fatto che in questi anni gli Stati più sviluppati, e più responsabili per l'attuale stato delle cose, non abbiano fatto la propria parte – quanto meno in termini di climate finance – può significativamente compromettere la determinazione dei Paesi meno sviluppati ad accettare obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni e di contrasto ai cambiamenti climatici.

1Precisamente, ad aprile il Presidente Biden ha annunciato che gli USA avrebbero erogato $5,7 mld all'anno. Secondo le sue recenti dichiarazioni, invece, gli Stati Uniti raggiungeranno gli $11,4 mld annui entro il 2024 (https://www.climatechangenews.com/2021/09/21/us-double-climate-finance-gap-remains-100bn/).

2Per questo prende il nome di Conferenza delle Parti (COP) l'organo decisionale in cui sono rappresentati gli Stati firmatari della Convenzione quadro (UNFCCC), che si riunisce ogni anno dal 1995. Quest'anno la Conferenza delle Parti (la ventiseiesima, per questo denominata sinteticamente COP26) si terrà a Glasgow, nel Regno Unito, dal 31 ottobre al 12 novembre 2021.

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Irene Boggio

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Unione Europea von der Leyen Biden #bruxelles Cop26 #climatechange