Come affronterà la Russia il terrorismo?

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  Redazione
  28 March 2024
  10 minutes, 25 seconds

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Il sanguinoso attentato commesso recentemente in una sala da concerto in prossimità di Mosca ha ricordato brutalmente alcune realtà che negli ultimi tempi avevamo avuto la tendenza a sottovalutare. Ma gli jihadisti islamici attaccano comunque, se non di più di questi tempi, i regimi autoritari rispetto alle democrazie.

La Russia è divenuta per loro un obiettivo ricorrente; e nonostante la sconfitta militare di Daesh in Siria e in Iraq, l’organizzazione si è ritirata stando in attività in altre aree, compresa l’Asia centrale, permanendo un pericolo sociale di primissimo ordine. Che tuttavia il regime russo, desideroso ardentemente di attribuire il massacro all’ Ucraina, è del tutto riluttante a riconoscere.

Le reazioni

In Europa, il massacro perpetrato la sera del 22 marzo in una sala da concerto di Mosca non può che suscitare orrore. Ma può anche sollevare domande di peso notevole e persino sorprendere sotto alcuni aspetti.

Innanzitutto, per il luogo in cui si è svolto il suo evento, Krasnogorsk, a pochi chilometri da Mosca, e per l'entità del suo bilancio di vittime, oltre 130 vittime. Tecnicamente è definibile come un attentato di massa, preparato e perpetrato in un centro oltremodo vigilato e nevralgico - anche sotto il profilo istituzionale - di uno Stato autoritario nel quale il ruolo dei servizi di sicurezza è così cruciale per la sua stessa sopravvivenza.

La rivendicazione

La ripetuta rivendicazione effettuata dall'organizzazione terroristica ISIS-K genera il primo fondamentale interrogativo: perché dovrebbe colpire la Russia quando i suoi obiettivi principali sono sempre stati le democrazie liberali dell'Occidente?

Inoltre, le reazioni dei poteri pubblici russi – e del Cremlino in particolare – possono incredibilmente suscitare un certo quanto labile entusiasmo, anche se la minaccia islamica in Russia, opera e fa vittime da tanti anni in Russia. La stessa coglie da decenni il profondo della società russa ed agisce da un’epoca ben anteriore all’attuale conflitto in Ucraina.

Il secondo quesito

Il terrorismo è sempre stato nemico delle società aperte. Ma perché oggi agisce anche verso i regimi dittatoriali ?

A partire dall'11 settembre 2001, la convinzione generale si è profondamente affermata sull’assunto che i terroristi islamici fossero attivi operativamente nei confronti delle principali democrazie liberali, definite dagli islamisti come corrotte e "decadenti" in quanto accusate di un inaccettabile e “immondo” lassismo morale.

Inoltre, gli islamisti sfruttano a loro vantaggio i margini d'azione gestiti dalle «società aperte», ovvero caratterizzate dalle libertà d'opinione, di fede di movimento, di associazione, ecc. , tipiche delle democrazie, per ritorcerle malevolmente contro gli occidentali stessi.

L’incredulità occidentale

Dalla realtà di questi giorni nasce l'incredulità dell’opinione pubblica, specie degli europei. Com'è concepibile che un attacco del genere possa realizzarsi con successo in uno stato come la Federazione Russa esplicitamente fondato sull'autorità del governo e la ipertrofica potenza dei servizi di sicurezza ?

Ebbene, questa visione dei fatti ha dimostrato tutta la sua vetustà e inadeguatezza e per questo va profondamente rimaneggiata e rivista: gli attentati islamici, suicidi e no che siano, oramai si moltiplicano anche negli Stati autocratici, anche in Africa e nel Medio Oriente.

Oggi è possibile dimostrare de facto che anche nei regimi politici ad impronta dittatoriale, i pur potenti servizi di sicurezza non possono essere né onniscienti né onnipotenti. L'attentato di Krasnogorsk ci invita a rivedere la nostra idea “scientifica” e avventatamente definitiva sull'affronto oramai superato dai tempi tra la democrazia e l’islamismo.

Il terrorismo in generale - e quello degli islamisti in particolare – nel loro mirino pongono sia le democrazie liberali che i regimi autoritari, stavolta a livello globale.

Chi sono i terroristi del teatro Crocus?

La sezione dell'ISIS-K del Khorasan che ha vendicato il massacro in Russia è stata effettivamente impiantata nell'Asia centrale e ha sfidato gli Stati finora ben separati dai membri dell'Unione Europea.

L’ISIS-K costituisce il ramo afgano dello Stato islamico o Khorasan (ISKP), attivo sin dal 2014 e formatosi da membri di gruppi islamici militanti, comprendendo anche quelli del Pakistan e dell'Uzbekistan.

Negli ultimi anni ha preso sanguinosamente di mira sia i talebani afghani che il regime iraniano sciita.

Tutto il problema che il terrorismo jihadista pone oggi nasce dall’acuto e diffuso nei suoi ranghi sentimento di frustrazione secondario al fallimento militare e politico delle proprie azioni conseguite nel Medio Oriente, in Europa e negli Stati Uniti.

Tale insuccesso attualmente continua ad essere perseguito localizzando i propri gruppi in territori geografici come il Sahel subsahariano, l'Africa centrale, l’Africa orientale o ancora l'Asia centrale, dove gli Stati sono quasi tutti autoritari, ma anche molto deboli politicamente e fragili militarmente e sotto il profilo della sicurezza istituzionale.

Gli arrestati e la geopolitica

I sospettati dell’attentato sono stati repentinamente arrestati dalle forze di polizia russe per cui è ancora prematuro trarre tutte le conclusioni, ancora oggi ad alto rischio di inquinamento propagandistico.

Alcuni degli arrestati sono identificati come provenienti sicuramente dal Tagikistan, un paese accusato dimostratamente di essere terreno di reclutamento per gli adepti del radicalismo islamico.

D'un punto di vista geopolitico, il massacro di Krasnogorsk apre una prospettiva certamente preoccupante in quanto le reti terroristiche stanno ricostituendo le loro forze in queste aree 'grigie' del mondo per poi riferirsi ed applicare nel concreto i loro intenti terroristici in teatri più centrali e ricche, per lo più in Europa.

Il profondo antagonismo attualmente vigente tra la Federazione Russa e l'Unione Europea non deve mascherare la realtà: dal punto di vista degli islamici dell'ISIS-K, i regimi politici rispettivi delle due entità sono validi e sono obiettivi da colpire del tutto equivalenti.

Allora perché prendere di mira la Russia?

In effetti, il rischio terrorista è divenuto molto elevato in Russia già dopo la prima guerra della Cecoslovacchia (1994-1996) e dopo l'ascesa di Vladimir Putin alla presidenza della Federazione russa, nel 2000.

La prima minaccia terroristica contro la Russia è emersa in data ben precedente e riconosce una genesi interna al territorio della Federazione Russa. Essa è rappresentata da una frangia radicalizzata della forte e discriminata (limitatamente alla Russia bianca e ortodossa) minoranza musulmana storica (circa il 10%) dell’intero paese. E per finire non di origine immigrata.

La stessa componente islamica sfrutta il forte risentimento sociale per la povertà economica vigente nelle periferie regionali (Daghestan, Cecenia) nei confronti del potere centrale russo, visto prima come conquistatore nei secoli passati – dai tempi di Pietro I e di Caterina II la Grande - e successivamente come Stato colonizzatore.

Diverse forze di questa molteplice e complessa provenienza hanno avuto un profondo impatto sulle presidenze di Putin. Alcuni esempi lo dimostrano: la presa di ostaggi al teatro Dubrovka nel 2002 (130 morti, probabilmente la maggior parte dei quali a causa dell'intervento dei servizi di sicurezza); la presa di ostaggi in una scuola di Beslan, Ossezia del Nord, 2004 (334 morti, 186 bambini); le esplosioni nella metropolitana di Mosca nel 2010 (40 morti) e quelle nella metropolitana di San Pietroburgo nel 2017 (14 morti). E così via per altri episodi violenti di minore spessore.

Le esplicite rivendicazioni

Tutte queste azioni violente di massa sono sempre state rivendicate da reti terroristiche islamiche impiantate nella stessa Federazione Russa.

L'importanza del rischio terroristico islamico interno è così grande che ha in parte giustificato la ricostituzione dei servizi di sicurezza interni più potenti (FSB) e ha indotto Mosca a consentire che il violento Ramzan Kadyrov gestisca la "sua" Cecenia senza rispetto delle regole e a proprio quanto esclusivo piacimento.

La rinascita del jihadismo

Verso l’esterno, la lotta contro l'Islamismo armato rappresenta per la Russia una priorità politica antica: nel 2001, la Russia e la Cina hanno istituito l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai a Tashkent per combattere il radicalismo islamico e ha fornito agli stati dell'Asia centrale formale addestramento, informazioni d’intelligence e attrezzature adeguate.

Ancora verso l’estero

Nell'agosto 2015, la Russia ha risposto alle richieste della presidenza siriana lanciando la sua prima e consistente operazione militare all’estero, lontano dai propri confini nazionali, proprio per combattere il terrorismo islamico.

Questo obiettivo in nome della lotta contro l'Islam è stato perseguito a livello non ufficiale, intervenendo con esperti militari e ancora di più con l’utilizzo di milizie mercenarie, fondamentalmente costituite da cittadini russi, disposte militarmente in diversi territori, quasi sempre localizzati nell’Africa del Nord ( Libia ), in Africa occidentale ( Mali , Burkina Faso) ) e in Africa centrale (République centrafricana ).

Infine, specie con particolare riguardo per gli europei, il sostegno di Mosca all'Unione Europea è stato, prima del 2015 e soprattutto nel 2022, un argomento a favore delle loro intera attività antiterroristica. Quanto basta per attribuire alla Russia il meritato ruolo di pioniere nella difesa dell'Occidente.

Nella narrativa globale russa, prima dell'invasione dell'Ucraina, gli avvenimenti dimostrano de facto che la battaglia contro il terrorismo islamico è stata uno dei principali titoli di successo rivendicati dal Cremlino.

Attualmente, perché prendere di mira la Russia?

Prendere di mira la Russia ha senso e presenta anche la sua logica in riferimento alla chiara strategia del terrorismo e alle più volte denunciate intenzioni dell'ISIS : le forze russe hanno effettivamente contribuito alla cocente e sanguinosa sconfitta militare dell'ISIS in Siria e al conseguente mantenimento al potere del regime di Bachar Al-Assad).

Anche se la Federazione russa non è definibile esattamente come una democrazia liberale, essa è considerata dall’estremismo islamico semplicemente come un’area più privilegiata rispetto alla minoranza islamica della zona centroasiatica.

Quest’ultimo massacro del teatro “Crocus”, secondo l’ottica di questi gruppi estremisti non è altro che un semplice episodio da aggiungersi alla lunga lista di attentati terroristici perpetrati in Russia fino ad oggi. Esso evidenzia l’ennesima rinascita della minaccia islamica in quelle zone fragili della Russia, che stanno nell’Asia centrale, specie nella regione del Caucaso. A marzo, i servizi di sicurezza hanno annunciato di aver smantellato una cellula jihadista in Inguscezia.

Verso nuove frontiere?

Una volta raccontata la lunga storia della minaccia terroristica in Russia, le allusioni pronunciate apertis verbis dai rappresentanti delle autorità russe sulla totale implicazione ucraina nell’attentato sa più tra un ingenuo opportunismo e un’ardua fantasia complottista.

Il momento dell'atto terroristico rappresenta sicuramente una sfida verso la Russia e ancora di più nei confronti del prestigio e autorità del suo leader Vladimir Putin, rieletto trionfalmente pochi giorni prima con maggioranza “bulgara” , in assenza della minima opposizione. Questo sembra tutto piuttosto evidente.

Il possibile indebolimento del suo potere che potrebbe derivare dal massacro serve indirettamente l'Ucraina; ma solo se i russi accuseranno il Cremlino di essere stato incompetente a prevenire un attacco di tale gravità e portata. L'invasione dell'Ucraina è stata una decisione militare, politica ed esterna contro un'antica Repubblica socialista sovietica. La lotta contro il terrorismo islamico è invece una sfida interna ed esterna che si intreccia con le azioni politiche della Russia sui suoi fianchi meridionali ed islamici. Il manifesto narrativo opportunista messo in atto nel prosieguo dell’attentato dal Cremlino e avallato ad unisono dai suoi sostenitori e portavoce in propaganda, potrebbe in ogni caso giustificare azioni belliche supplementari a danno dell’Ucraina.

Ma ciò che merita maggiormente di essere preso in considerazione è il cambiamento che le politiche russe, sia interne che estere, molto probabilmente assumeranno nel breve e medio termine.

I provvedimenti futuri

Prima di tutto, è possibile che, fissando il fronte ucraino e impegnandosi nel processo di integrazione dei quattro distretti ucraini, la Russia voglia ora confrontarsi su altri fronti: in Europa del Nord per «testare» la resistenza dei due nuovi membri della NATO (Svezia e Finlandia); in Asia centrale, per rilanciare la cooperazione con la Cina, e cimentarsi in una ripresa cospicua della lotta – non solo armata - contro il terrorismo; di fronte all'Occidente, in toni “soft” per evidenziare l'assenza di solidarietà e infine in Medio Oriente rilanciando il proprio ruolo internazionale con concrete azioni antiterrorismo in unione con i suoi alleati a livello locale (Iran, Turchia, Siria).

Sul fronte interno, inoltre, l'attacco del 22 marzo è stato indubbiamente interpretato da tutti come un ineludibile oltraggio alla « verticalità del potere » in Russia.

Poiché il rapporto della Russia con il terrorismo è (in parte) diverso da quello operativo verso l’Europa: per i poteri pubblici russi, gli attentati non sono solo rivolti ai civili e/o costituire un semplice problema di ordine pubblico, ma sono un’enorme e inaccettabile sfida verso lo Stato ed il suo leader.

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