C'è un solo modo per decarbonizzare? L'esempio della Francia

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  Leonardo Di Girolamo
  10 July 2023
  4 minutes, 38 seconds

Combattere il cambiamento climatico è una delle principali battaglie dell’Unione Europea. Difatti, a questo scopo è stato deciso di stabilire un obiettivo principale in materia di energia rinnovabile per il 2030 di almeno il 32%. La legislazione europea ha quindi richiesto che ogni paese membro pianificasse su base decennale come raggiungere tali obiettivi a livello nazionale, i cui progressi sono valutati periodicamente dalla Commissione Europea. La prima revisione riguardante gli obiettivi parziali è avvenuta durante la fine del 2022, con risultati alquanto sorprendenti per un paese in particolare: la Francia.

Situazione di partenza

Il National Energy and Climate Plan 2021-2030 presentato dalla Francia descriveva un consumo di energia rinnovabile pari al 16.3% nel 2017, che doveva raggiungere quota 23% nel 2020 e mirare ad un obiettivo “finale” del 33% per il 2030. È importante sottolineare come, al momento in cui il NECP è stato redatto, la Francia era il secondo paese in Unione Europea con la più bassa intensità di carbonio (grammi di CO2 equivalenti per kilowatt ora), pari a 67g; per fare un confronto, nello stesso anno, l’intensità di carbonio dell’Italia era pari a 259g, mentre quella della Germania era pari a 419g. Nonostante la bassa percentuale di rinnovabili, ciò che permetteva alla Francia di avere numeri tanto virtuosi era la quantità di energia consumata da fonte nucleare (oltre il 70%), mentre la quantità consumata da fonti più inquinanti come biomassa, carbone, gas e petrolio erano inferiori al 10%. Una situazione di partenza più che positiva.

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Come è stato anticipato, la prima revisione degli obiettivi previsti dai paesi dell’Unione è avvenuta durante la fine del 2022. Su 27 paesi membri, tutti sono riusciti a rispettare gli obiettivi prefissati; tutti tranne uno. La Francia, che mirava a raggiungere un 23% di energia consumata da fonti rinnovabili, si è dovuta accontentare di un 19,1%. Ciononostante, è rimasto il secondo paese membro con la più bassa intensità di carbonio, diminuita dal 2017 fino a raggiungere 56gCO2eq/kWh. I progressi non sono stati abbastanza dunque, ma la grossa fetta di energia prodotta dal nucleare (65%), unita ad una riduzione della percentuale di energia prodotta da fonti altamente inquinanti (-3% fra il 2017 e il 2020), hanno comunque permesso al paese di rimanere uno dei più virtuosi in termini di energia pulita, giusto?


Due pesi, due misure

La Commissione Europea la pensa diversamente: infatti, la Francia è stato l’unico paese chiamato a pagare 500 milioni di euro per non aver raggiunto gli obiettivi annunciati. Tale giudizio pare alquanto paradossale, soprattutto se si mettono a confronto i dati della Francia con paesi vicini come la Germania. L’obiettivo al 2020 del NECP tedesco è stato rispettato, con quasi un quarto dell’energia dall’eolico, e un totale di energia rinnovabile pari al 35%. Il problema, tuttavia, si trova nella restante parte: oltre la metà dell’energia tedesca proveniva infatti da fonti altamente inquinanti, con il carbone che ne ha prodotto quasi il 23% ed è stato responsabile del 71% delle emissioni tedesche. E stiamo parlando dell’anno più “green” della Germania: dopo la decisione di abbandonare gradualmente il nucleare come fonte di energia, quei 388g di intensità di carbonio nel 2020 (un dato già quasi sette volte superiore a quello francese) sono diventati 439g nel 2021 e 473g nel 2022; nel dicembre 2022, si registravano addirittura 543gCO2eq/kWh. Energia tutt’altro che green, nonostante gli investimenti in solare ed eolico.

Il 30 marzo 2023, un accordo provvisorio raggiunto fra Parlamento e Consiglio europeo ha incrementato l’obiettivo vincolante dell’Unione Europea sul consumo di energie rinnovabili, dal 32% approvato precedentemente al 42,5%. La Francia, preoccupata di una possibile ripetizione degli stessi avvenimenti che hanno portato il paese a dover pagare 500 milioni di euro, ha deciso di ritirare il supporto all’accordo, chiedendo l’inclusione dell’energia prodotta da fonti nucleari negli obiettivi richiesti dall’Unione Europea, con altri sei paesi pro-nucleare che hanno seguito l’iniziativa francese. Questo comportamento è stato criticato dai rappresentanti di paesi contrari all’energia nucleare (Germania e Austria principalmente), nonostante la Germania avesse fatto lo stesso per assicurarsi esenzioni per l’industria automobilistica tedesca da un divieto di motori a combustione entro il 2035, altra parte fondamentale delle leggi climatiche europee.


Conclusione

Kadri Simson, la Commissaria Europea per l’energia, ha espresso la neutralità di Bruxelles riguardo alle scelte dei paesi membri in materia di mix energetico. Questa dichiarazione va tuttavia in netto contrasto con la punizione inflitta alla Francia, che ha raggiunto un obiettivo molto più virtuoso della quasi totalità dei paesi dell’Unione Europea, con l’unica “colpa” di aver scelto una strategia differente. È inoltre importante sottolineare come l’intensità di carbonio del nucleare sia di 5g secondo l’UNECE 2022, risultando più bassa delle rinnovabili: 11g per l’idroelettrico, 13g per l’eolico, 30g per l’idroelettrico e 38g per il geotermico.

Ripetiamolo: combattere il cambiamento climatico è una delle principali battaglie dell’Unione Europea. Perché, invece di mettere dei paletti a chi ci riesce meglio, non incominciamo a dialogare in maniera costruttiva su come raggiungere tutti insieme lo stesso obiettivo? Magari, paesi come l’Italia (326gCO2eq/kWh mentre scrivo questo articolo) e la Germania (502gCO2eq/kWh) avrebbero la possibilità di innovare il proprio approccio al problema, apprendendo da chi ha deciso di includere il nucleare fra le proprie fonti energetiche (Francia 48gCO2eq/kWh, Svezia 17gCO2eq/kWh).

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