Il patriarcato, il sessismo e la violenza sulle donne in Italia

Quando la violenza è un fatto culturale

  Articoli (Articles)
  Chiara Giovannoni
  28 November 2023
  4 minutes, 46 seconds

2 e 3 giugno 1946. In due giorni oltre 12 milioni di donne si recano alle urne per contribuire alla scelta tra Monarchia e Repubblica. Da quel giorno, quelle stesse donne, e le generazioni a seguire, hanno preso in mano la propria libertà, lottando per i propri diritti. A 77 anni di distanza da quell’evento le donne si trovano ancora a doversi battere non solo per il loro lavoro e i loro diritti, ma per la loro stessa vita. Nonostante decenni di battaglie femministe, l’abolizione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore nel 1981 e il riconoscimento dello stupro come reato contro la persona e non contro la morale nel 1996, la visione del corpo femminile come oggetto da possedere e da sottomettere echeggia ancora nella cultura del nostro paese.

Alla base di questa visione esiste un fenomeno che descrive al meglio la cultura italiana: patriarcato. La parola patriarcato, dal greco antico patriarkes, ossia dominio/supremazia del padre, viene definito come la distribuzione ineguale del potere tra uomini e donne in certi aspetti della società, o come un’organizzazione sociale primitiva in cui l’autorità è esercitata da un capofamiglia maschio, con la possibilità di estensione di questo potere anche a parenti lontani. Nella storia culturale italiana la leadership economica e legale della famiglia è sempre stata esercitata dal padre e questa quota di potere ha permesso agli uomini di istaurare un forte rapporto diseguale con il sesso femminile. In conseguenza, l’ideologia patriarcale si è attaccata ad altre istituzioni sociali basate sulla disuguaglianza, che siano esse l’istruzione, la ricchezza o l’assistenza sanitaria, grazie a meccanismi sociopolitici che riproducono ed esercitano il dominio maschile sulle donne. La donna quindi, considerata come inferiore e manipolabile, in questa organizzazione della società è esclusa sistematicamente dalle istituzioni che si ritiene abbiano maggiore potere economico, politico, culturale e religioso.

Nella cultura patriarcale la forza è sempre stata percepita come unica strada possibile per raggiungere i propri desideri, l’unico strumento utile che permette di raggiungere una vittoria. Da un potere psicologico sulla compagna si è passati poi al possesso fisico fino ad arrivare alla violenza e al femminicidio, due fenomeni ancora oggi molto presenti nella nostra società. Dall’inizio dell’anno 103 donne sono state uccise dai propri mariti e compagni. Uomini che, a causa del sessismo insito nella giustizia italiana, hanno ricevuto e ricevono attenuanti e sconti di pena nonostante gli atti compiuti. L’Italia è stata più volte condannata dal Comitato CEDAW (Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne) dell’Onu e dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo per il sessismo all’interno delle aule di magistratura. Nelle motivazioni scritte dai giudici che hanno negato pene ed ergastoli a stupratori e killer si è letto spesso che la vittima era “disinibita”, che la cosiddetta “palpata breve” non era reato e molto altro che ha portato, inevitabilmente, a fenomeni come la vittimizzazione secondaria, la minimizzazione, la banalizzazione e la normalizzazione della violenza maschile sulle donne.

Alcuni di questi fenomeni sono radicati nella nostra società e cultura a tal punto che la donna stessa, nata e cresciuta in determinate dinamiche, inconsapevolmente viva e attui una serie di comportamenti che si avvicinano al modello patriarcale, andando a trasmettere alle nuove generazioni comportamenti tipici di questa cultura. Questo fa si che campanelli d’allarme quali il possesso, la gelosia e il dover chiedere il permesso ad un uomo, non vengano riconosciuti immediatamente come segni di una relazione non paritaria. L’escalation della violenza in una relazione si è velocizzata rispetto al passato: secondo Elisa Ercoli, presidentessa dell’associazione per la prevenzione e il superamento della violenza di genere, Differenza Donna, oggi avviene in un periodo massimo di tre anni contro i dieci del passato. La sottovalutazione della violenza, sia essa psicologica o fisica, è tutt’oggi frequente e questo dovrebbe portare a una maggiore sensibilizzazione e educazione di tutto lo staff che si confronta con una vittima di stupro e violenza, a partire dagli operatori sanitari, alle forze dell’ordine e ai giudici.

In seguito all’omicidio della ventiduenne Giulia Cecchettin, lo scorso 11 novembre, per mano del suo ex fidanzato, si è riacceso con forza il dibattito nell’opinione pubblica su un patriarcato che ha ancora ben salde le proprie radici. Nonostante le accuse da parte degli uomini verso le donne di voler generalizzare il “mostro”, è grande il Mea Culpa messo in atto da una buona parte della comunità maschile che, riconoscendo il sistema privilegiato in cui è cresciuta, denuncia la disuguaglianza e la violenza di genere.

E senza scudi per proteggermi né armi per difendermi
Né caschi per nascondermi o santi a cui rivolgermi
Con solo questa lingua in bocca
E se mi tagli pure questa
Io non mi fermo, scusa
Canto pure a bocca chiusa

Queste parole, estratte dalla canzone di Daniele Silvestri “A bocca chiusa”, sono state scelte per la scena finale del nuovo film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani”. Dal 1946, e forse da molto prima, ad oggi le donne di strada ne hanno fatta, anche a “bocca chiusa”. Il 25 novembre, in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, 500 mila persone si sono radunate a Roma, 30 mila a Milano e numerose altre migliaia in decine di città italiane, per esprimere la rabbia verso una società che fatica a cambiare. Il 25 novembre 2023, così come nel 1946 le donne, e con loro l’Italia, hanno fatto rumore.

Mondo Internazionale APS – Riproduzione Riservata ® 2023

Immagine: https://unsplash.com/it/foto/l...

Share the post

L'Autore

Chiara Giovannoni

Chiara Giovannoni, classe 2000, è laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università di Bologna. Attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Strategie Culturali per la Cooperazione e lo sviluppo presso l’Università Roma3.

Interessata alle relazioni internazionali, in particolare alla dimensione dei diritti umani e alla cooperazione.

E’ volontaria presso un’organizzazione no profit che si occupa dei diritti dei minori in varie aree del mondo.

In Mondo Internazionale ricopre la carica di autrice per l’area tematica Diritti Umani.

Categories

Diritti Umani

Tag

violenza di genere Patriarcato sessismo CEDAW