Il revenge porn - pt.1

Il quadro normativo, psicologico e sociale della 'vendetta pornografica'

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  Redazione
  30 July 2020
  7 minutes, 36 seconds

A cura di Sofia Abourachid

Il Progetto “TrattaMI Bene”, nel dedicarsi a tematiche appartenenti al mondo dei diritti umani, continua con i propri dibattiti tematici, e questa volta lo fa approfondendo il fenomeno del revenge porn. La complessità dell’argomento ha richiesto un ampio lavoro di Team che si vedrà esposto in questa e in una successiva pubblicazione.

Mentre in questa prima parte sarà riportata un’attenta analisi del quadro normativo e degli aspetti psicologici e sociali legati al revenge porn, nella seconda ci si dedicherà maggiormente agli interventi che, secondo gli autori di TrattaMI Bene, sarebbero essenziali per un efficace contrasto del fenomeno.

Il revenge porn è quell’atto che vede la condivisione e la diffusione sul web di immagini e/o video dal contenuto intimo e sessuale raffiguranti persone che, seppur consenzienti nel produrre tale materiale, non hanno fornito il consenso alla pubblicazione. Il termine “revenge”, che indica quindi una “vendetta”, è legato al fatto che i contenuti vengono diffusi con il deliberato scopo di ledere l’altra persona.

Provando ad arrivare ad una comprensione totale del fenomeno iniziamo con un’analisi della giurisprudenza a riguardo.

Come fanno notare Simona Destro e Giorgia Corvasce – entrambe esperte nel campo – il legislatore italiano ha introdotto la fattispecie di reato solo recentemente attraverso la Legge n. 69/2019 che vede l’art. 612 ter, rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, inserito all’interno del Libro II dedicato ai delitti contro la persona, e alla sezione III rivolta ai delitti contro la libertà morale.

Per iniziare si nota come la pena prevista sia la reclusione da 1 a 6 anni, e la multa da euro 5.000,00 a euro 15.000,00, con la previsione di alcune circostanze aggravanti.

Al primo comma di tale norma si prevede la punizione di “chiunque invia, consegna, cede, pubblica o diffonde” immagini dal contenuto sessualmente esplicito, senza il consenso del diretto interessato.

Giorgia Corvasce fa notare come “l’introduzione di questa fattispecie di reato è fondamentale perché finalmente prevede la punibilità di quelle condotte che in precedenza non potevano essere perseguite penalmente” se non applicando fattispecie come la diffamazione o il reato di pornografia minorile, con tutti i limiti del caso.

Il secondo comma richiede, a differenza del primo, una ipotesi di dolo specifico. Simona Destro spiega: “per poter rientrare nella fattispecie criminosa del secondo comma, le condotte devono essere attuate allo specifico fine di recare nocumento alle persone rappresentate”.

Giorgia Corvasce fa notare però un limite della normativa: “avendo il legislatore introdotto il dolo specifico al fine del ricorrere della fattispecie di reato nel caso concreto, ha richiesto un ulteriore elemento e cioè l’intenzione del soggetto terzo, che è venuto a contatto in seconda battuta con il materiale sensibile, di arrecare pregiudizio e nocumento alla persona raffigurata nelle immagini o video diffusi senza consenso”. Pertanto, la norma, così come è stata redatta, potrebbe non essere del tutto efficace nella lotta alla diffusione di immagini prodotte inizialmente come private e potenzialmente trasformabili in materiale diffuso in tutto il mondo.

Nel terzo comma viene prevista un’aggravante di pena nel caso in cui il reato venga commesso dal “coniuge, anche separato o divorziato, della persona offesa o soggetto che è o è stato ad essa legato da relazione affettiva, o ancora se i fatti sono commessi mediante strumenti informatici o telematici”.

Sempre a seguire, Simona Destro spiega il quarto e quinto comma. Con il quarto si è introdotta un’ulteriore aggravante: “se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza”. Tuttavia, come fa notare lei, “manca, in questo caso, la previsione di un’aggravante nel caso in cui il fatto venga commesso a danno di persona minorenne”. Probabilmente, il motivo di tale omissione va ricercato nel raccordo con le fattispecie di reato previste dagli artt. 600 ter e 600 quater c.p. (pornografia minorile e detenzione di materiale pornografico).

Il quinto e ultimo comma spiega, infine, la previsione di una regola procedurale: il delitto è punito a querela della persona offesa. Oltre ad aver previsto un termine maggiore per la proposizione di querela (sei mesi, in luogo dei canonici tre) e l’irrevocabilità della querela se non in sede processuale, sono, poi, previste delle ipotesi in cui, invece, il reato è punito d’ufficio: nei casi di cui al quarto comma, o quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

In conclusione, come Giorgia Corvasce tende a ribadire “pur con tutti i limiti del caso, l’introduzione di questa ipotesi di reato rappresenta comunque un passo avanti rispetto alle lacune legislative precedenti in materia”.

Tuttavia, per quanto questa nuova norma sia un importante passo in avanti, da sola, non basta. C’è bisogno di molto altro per far sì che un fenomeno complesso come questo venga sconfitto. Volendo partire proprio dalla radice del problema è bene esaminarne l’aspetto psicologico e le componenti più profonde.

La psicologa Sara Bergamini, esplorando l’attuale letteratura a riguardo, pone l’attenzione su una ricerca dell’Università di Kent in Inghilterra (2017).

I ricercatori hanno indagato sulla possibile esistenza di un profilo psicologico del soggetto più propenso a commettere il reato di revenge porn. Sara Bergamini riporta: “i risultati dello studio hanno evidenziato che effettivamente l’inclinazione a questo reato è collegata alla presenza di una triade di tratti di personalità (conosciuta come “triade oscura”) che include: psicopatia (comportamenti antisociali, assenza di rimorso per le proprie azioni, insensibilità); machiavellismo (propensione all’inganno e allo sfruttamento/manipolazione degli altri a favore dei propri interessi, disprezzo per la moralità); narcisismo (tendenza all’egoismo, mancanza di empatia, grandiosità)”.

Ad aggiungersi a questi vi sono veri e propri meccanismi psicologici di disimpegno morale, che, come spiega la Dott.ssa, possono essere utilizzati da chiunque.

I processi di disimpegno morale si attivano per evitare che il soggetto sperimenti sensi di colpa che possono risultare lesivi per l’autostima e l’immagine di sé”, e dal lavoro dello psicologo Albert Bandura, ne emergono svariati. Tra quelli evidenziati da Sara Bergamini ne riportiamo alcuni: diffusione della responsabilità (“tanto lo fanno tutti”); distorsione delle conseguenze (“ma io non avevo capito bene, non pensavo fosse una cosa così grave”); attribuzione di colpa alla vittima (“sono stato costretto a darle una lezione perché se lo meritava, se l’è cercata”).

Nella ricerca di ulteriori spiegazioni ci viene in aiuto la stessa psicologa. Vi può essere “l’ipotesi del mondo giusto”, secondo la quale “il mondo è un luogo dove le persone buone vengono ricompensate e le persone cattive punite, perciò gli individui effettivamente meritano ciò che realmente ottengono”.

Tale credenza porta a pensare che nel mondo esista una sorta di giustizia "immanente" che premia o punisce; pertanto si è convinti che le persone vittime di sventure, debbano aver fatto qualcosa per averle attirate, ma, come conclude infine l’esperta, “è paradossale che proprio la convinzione che esista una giustizia immanente nel mondo possa portare a comportamenti che finiscono per perpetuare l’ingiustizia invece di contrastarla”.

Per quel che concerne gli aspetti sociologici del fenomeno, Marwa Fichera, afferma che vi sono teorie sociologiche sulla condotta di genere che sostengono: “quando la donna si presenta in maniera esplicitamente sessuale può attrarre l’uomo, ma contemporaneamente esce fuori dai parametri di femminilità dettati dalla nostra struttura patriarcale”.

Secondo questa struttura, “la donna dovrebbe essere seducente per ricevere l’attenzione dell’uomo, ma non troppo per non rischiare di essere giudicata negativamente o addirittura essere umiliata dalla società”. È bene però smantellare questo sistema affinché la società possa vivere davvero nell’uguaglianza, nella libertà e nel rispetto.

A proposito di rispetto, Fabio Di Gioia riflette sul fatto che “i fattori alla base del fenomeno possono essere molteplici, ma hanno in comune un'errata concezione del valore del rispetto, in questo caso dell'altro come persona e delle sue cose come della proprietà, dell'immagine e della sfera privata. Indubbiamente una mancanza di educazione che va analizzata in sinergia con il contesto sociale, culturale e generazionale”.

L’analisi della psiche, del quadro normativo e degli aspetti umani e sociali del fenomeno ci portano a comprendere meglio il reato di revenge porn a riguardo del quale c’è molto ancora da dire.

Il personale pensiero di Sofia Perinetti è che: “questi fenomeni sono causati dalla mancanza di rispetto per le donne perché non c’è educazione e capacità di andare oltre gli stereotipi di genere che vedono la donna sottomessa all'uomo”, motivo per cui bisogna agire con l’educazione, oltre che con la rieducazione.

Questo pensiero si sposa con quello di Marwa Fichera, e di tutto il Team di TrattaMI Bene, che sostiene: “dando alle donne il diritto e il potere di scelta sulle loro vite e sul loro corpo e insegnando i valori dell'uguaglianza, si andrà a smantellare il sistema attuale, creandone uno migliore di cui beneficeranno la collettività e le generazioni future”.

È bene, pertanto, riconoscere importanza all’insegnamento e all’educazione sessuale per eliminare i casi di abusi fisici e psichici sia nella vita quotidiana che nel mondo virtuale.

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