L’Ungheria di Orbán contro la comunità LGBT+ sotto i riflettori degli Europei

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  Chiara Calabria
  25 June 2021
  3 minutes, 29 seconds

Martedì 15 giugno 2021 il Parlamento ungherese ha approvato una legge che ha fatto molto discutere a livello internazionale. La proposta di legge è arrivata dal partito ultraconservatore Fidesz del premier Viktor Orbán. Il primo ministro, al potere dal 2010, non è nuovo a prese di posizione discriminatorie e omofobe.

La legge

La legge ungherese prevede un divieto alla condivisione ai minori di 18 anni di informazioni che il governo ritiene “promuovano” l’omosessualità o il cambio di sesso. La ratio – se così possiamo chiamarla – è quella di difendere i bambini da contenuti che possono fraintendere o che potrebbero avere un effetto dannoso per il loro sviluppo, e che potrebbero portarli a confondere e perdere di vista i valori morali. L’aggiunta di emendamenti al disegno di legge contro gli abusi sui minori sembra rappresentare un tentativo da parte del governo di legare pedofilia e comunità LGBT+. Concretamente, è vietato trattare questi temi nei programmi scolastici e soltanto individui e organizzazioni iscritti a un registro ufficiale potranno svolgere corsi di educazione sessuale. La censura riguarda svariati settori, vietando anche ad aziende e grandi organizzazioni di trasmettere pubblicità o annunci con coppie gay o che comunichino messaggi di solidarietà alla comunità LGBT+.

Il testo è stato approvato con una maggioranza a dir poco schiacciante: 157 voti favorevoli su 199 dell’assemblea nazionale. Il boicottaggio del voto di gran parte dell’opposizione non è bastato a mettere in discussione la proposta, sostenuta fortemente anche dal partito di estrema destra Jobbik.

La proposta del partito Fidesz ricorda molto la legge russa approvata dalla Duma nel 2013 contro la cosiddetta “propaganda gay”, con 434 voti favorevoli e zero contrari, vietando così la diffusione ai minori di informazioni sulla comunità LGBT+ e multe per l’eventuale organizzazione di manifestazioni sul tema.

La punta dell'iceberg

Nel 2019 il partito di Orbán, particolarmente suscettibile al tema delle discriminazioni, aveva chiamato al boicottaggio di Coca-Cola poiché una campagna pubblicitaria del brand “sponsorizzava” l’omosessualità. Con la legge appena approvata, Fidesz si è proposto di applicare una censura regolamentata anche a libri, film e serie tv che trattano, seppur lontanamente, di omosessualità. I programmi televisivi che accennano ai temi LGBT+ sarebbero consentiti soltanto dopo il termine della fascia protetta in seconda serata.

Una società libera non permette discriminazioni. L’intolleranza e l’omofobia istituzionalizzata (e non) portano a conseguenze psicologiche drammatiche nelle persone queer, che a oggi devono ancora difendersi da aggressioni fisiche e verbali. La mancanza di rappresentazione sociale e le limitazioni all’educazione e informazione non faranno naturalmente sì che nascano solo persone etero cisgender – come apparentemente gli ultraconservatori di Fidesz credono –, ma metteranno sempre più a rischio la vita di chi si identifica in un altro genere e/o orientamento sessuale.

I colori dello stadio

Le istituzioni cittadine di Monaco di Baviera, in Germania, hanno chiesto di poter illuminare lo stadio dell’Allianz Arena coi colori dell’arcobaleno in occasione della partita tra Germania e Ungheria di Euro2020. Uefa ha declinato l’offerta, nonostante il gesto avrebbe senz’altro rappresentato un segnale importante (a Orbán, come all’Ungheria e a tutti gli spettatori degli Europei) per promuovere l’inclusione; la società ha risposto presentandosi come un’organizzazione neutrale che non vuole interferire in un contesto politico critico.

A una settimana di distanza dall’approvazione della legge ungherese e dopo aver discusso sull’illuminazione dello stadio, 17 Paesi membri dell’Unione Europea (tra cui anche l’Italia, che in prima battuta non aveva aderito aspettando “chiarimenti” dal governo ungherese), hanno firmato un comunicato congiunto condannando le disposizioni ungheresi in quanto discriminatorie. Dall’UE ci si aspettava forse un segno più immediato e forte di contrasto alle misure ungheresi, chiaramente incompatibili coi valori che accomunano gli Stati membri dell’organizzazione. Orbán è al potere da una decina di anni e questi non sono i primi segni di una propensione allo smantellamento di libertà e dei diritti umani; per essere un paese membro dell’UE, la risposta europea è stata forse too little too late.

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Chiara Calabria

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