Tra privazioni e proteste: analisi della condizione dei diritti umani in Ungheria

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  Redazione
  26 November 2020
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A cura di Sofia Perinetti

Negli ultimi mesi i media hanno riportato spesso notizie relative all’Ungheria, alle numerose e talvolta violente proteste di piazza contro il governo e, più recentemente, alla presa di posizione del Paese contro alcune scelte europee.

L’Ungheria è una Repubblica ma è stata spesso al centro di critiche relative al reale grado di democrazia che vige nel territorio, in seguito a dubbie decisioni prese dal primo ministro Viktor Orbán, in carica con il partito Fidesz - Unione Civica Ungherese, dal 2010.

Le violazioni dei diritti fondamentali della persona che avvengono quotidianamente in Ungheria appaiono effettive e numerose. Tra le più importanti ricordiamo, a luglio dell’anno corrente, quella dell’opposizione del governo che occupò le principali piazze per contrastare la quasi totale privazione di uno dei diritti, che per primo viene a mancare nei Paesi in cui la democrazia sfocia in regime, la libertà di stampa.

In Ungheria infatti, il 90% dei media sarebbe controllato dal governo, e dichiaratamente pro-Orban, nel Paese, numerose testate giornalistiche sono state comprate da uomini vicini al presidente, come per esempio nel caso di Index, giornale indipendente online, Miklos Vaszily, imprenditore vicino a Orban, ha acquisito il 50% delle quote di una società che controlla la pubblicità e le entrate della testata in oggetto.

Veronika Munk la vicedirettrice del giornale Index, in una intervista per La Repubblica ha dichiarato: "Negli ultimi dieci anni (da quando Orbán è al potere) è davvero peggiorata. Molte aziende editoriali hanno cambiato proprietà e oggi hanno forti legami col governo. Molte fondazioni filogovernative controllano i maggiori giornali, le principali tv, molte stazioni radio. Index era il principale giornale online, era letto da tutti, offriva notizie 24 ore su 24, video, live. Una piattaforma multimediale di successo. Nelle ultime settimane, dopo il licenziamento del direttore, in diverse riunioni ho percepito influenze esterne sulla fattura delle notizie. Inaccettabile. L'indipendenza dell'informazione nel nostro modo di vedere è indispensabile”.

Questa condizione ha portato alle dimissioni di 80 lavoratori del giornale su 90, come segno di protesta contro il forzato controllo imposto, dopo il licenziamento del direttore che funzionava da baluardo di indipendenza. Questi sempre maggiori controlli hanno scatenato delle reazioni a catena di protesta contro il governo e hanno causato, oltre alle dimissioni di un elevato numero di giornalisti, anche l’indignazione di persone al di fuori dalla testata giornalistica, che si sono unite alle proteste.

Contemporaneamente, nei dieci anni di presidenza di Orbán, l’Ungheria è passata dal 23esimo all’89esimo posto su 180 paesi nell’indice sulla libertà di stampa stilato da "Reporter senza frontiere".

L’Ungheria non è nuova alle limitazioni di diritti, a discriminazioni e repressioni. Numerose categorie nel Paese sono discriminate. Durante il 2019 sono stati pronunciati in più occasioni discorsi d’odio razzisti contro rom, migranti, rifugiati, richiedenti asilo e altre minoranze, anche da parte di figure pubbliche di spicco. Tra le altre anche il portavoce del parlamento si è spesso scagliato contro le persone che si riconoscono nel movimento Lgbt+, rilasciando commenti omofobici e discriminatori.

Inoltre, come riporta Amnesty International, a seguito della visita compiuta nel Paese a febbraio 2019, la Commissaria sui diritti umani del Consiglio d’Europa ha concluso che l’Ungheria stava arretrando sull’uguaglianza di genere e sui diritti delle donne, introducendo politiche che relegano la donna a un ruolo esclusivamente domestico.

Ma quello che più fa temere per il futuro dell’Ungheria è ciò che è avvenuto a febbraio, durante il culmine della pandemia da coronavirus. Nel parlamento ungherese, il Országház, è stata votata, con 137 voti a favore e 53 contrari, la "Legge di autorizzazione" per assicurare al primo ministro Viktor Orbán pieni poteri per contrastare il coronavirus. Con questa legge il premier ungherese può governare per decreto senza l’approvazione del Parlamento, bloccare le elezioni e sospendere leggi già in vigore.

L’Europa è più volte intervenuta, in particolare in questa allarmante occasione, in forza della violazione dell’articolo 2 del Trattato sull'Unione europea che recita:

“L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.”

Nonostante il 16 giugno il parlamento ungherese abbia approvato un disegno di legge atto a porre fine allo stato d’emergenza, varie organizzazioni umanitarie evidenziano che non si tratta di un reale passo indietro di Orbán, in quanto permane per il governo la possibilità di assumere nuovamente i pieni poteri, sempre a tempo illimitato, in caso di una nuova emergenza.

Secondo il rapporto dello scorso maggio, stilato dall’organizzazione non governativa Freedom House, l’Ungheria viene categorizzata come un Paese che, dopo dieci anni di governo di Viktor Orbán, non può più essere considerato uno Stato democratico bensì una via di mezzo tra democrazia e autocrazia. Con un punteggio di 70 su 100 è stata definita nel report di Freedom House parzialmente libera. L’Ungheria sta pertanto peggiorando non essendo più uno stato completamente democratico, e per questo non bisogna perdere d’occhio gli sviluppi che ci saranno in futuro.

Fonti consultate per il presente articolo:

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