Una città a misura di bicicletta

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  Redazione
  03 July 2020
  3 minutes, 27 seconds

A cura di Nico Delfine

Renzo Piano afferma che l’architetto è un interprete del cambiamento che una città sta vivendo. Questo vale ancora di più in un’epoca in cui è sempre più sentita l’esigenza di ripensare gli spazi urbani, vista la tendenza che vede gli agglomerati cittadini diventare sempre più grandi. L’obiettivo 11 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite traccia la via attraverso la quale realizzare progetti strategici e lungimiranti al fine di rendere le aree urbane più sostenibili, inclusive, sicure e resilienti. Eppure, se dovessimo fare un bilancio alla fine del 2020, potremmo dire: c’è ancora tanta strada da fare e il raggiungimento di standard più elevati sta avvenendo a macchia di leopardo, con alcune realtà eccellenti ed altre molto vicine al sottosviluppo.

La città di Utrecht, nel centro dei Paesi Bassi, può sicuramente essere annoverata tra quei casi da prendere come modello nel ripensare la viabilità cittadina. Ogni giorno sono 125.000 i ciclisti che si spostano per andare al lavoro, all’università, a scuola, per negozi, al trasporto pubblico. Negli ultimi anni questa tendenza, molto radicata in Olanda, è stata fortemente supportata dalle scelte dei politici locali, i quali hanno potenziato la rete ciclabile e degli altri mezzi di trasporto, per limitare l’utilizzo dell’automobile e quindi l’impatto da CO2. L’ultima opera è stata la realizzazione del più grande parcheggio al mondo dedicato alle biciclette con ben 12.500 posti disponibili. Si trova nei pressi della stazione di Utrecht (Stationsplein) ed è realizzato e gestito congiuntamente dalla Municipalità di Utrecht, dalla società ProRail e dalla NS (Nederlandse Spoorwegen) – ferrovie statali olandesi. Il parcheggio è diviso in cinque aree collegate direttamente alla stazione ed è costruito su tre livelli: il primo e il terzo dedicati alle fermate giornaliere, mentre il secondo agli abbonati. Attorno alla stazione, inoltre, investitori privati stanno realizzando altri parcheggi per le bici di lavoratori e turisti.

L’amore per la bicicletta è diventato uno stile di vita per molti olandesi e i dati di Utrecht del 2019 sembrano confermarlo: 22.000 posti-bici utilizzati, il 60% degli abitanti si dirige in centro città in bicicletta, 33.000 ciclisti al giorno nelle piste ciclabili più affollate, il 49% dei tragitti inferiori a 7,5 km avviene con la bicicletta. L’uso della bicicletta può essere definito un fenomeno "di costume" che caratterizza un popolo piuttosto che altri, ma è pur vero che l’emergenza climatica lo rende una scelta ecologica dai connotati anche politici. La storia della bicicletta in Olanda ha risentito di eventi che hanno cambiato il comportamento della popolazione, soprattutto dalla Seconda Guerra Mondiale ai giorni nostri. Negli anni ’50 e ’60, in tutta Europa, ci fu un forte aumento dei proprietari privati di auto, tanto da creare le prime congestioni stradali. Un effetto di questo cambiamento fu un forte aumento dei decessi per incidenti stradali: in Olanda, nel 1971, le vittime della strada furono circa 3.000, di cui 450 bambini. Di conseguenza, nacquero dei movimenti che chiedevano maggiore sicurezza per i bambini in bicicletta (Stop de Kindermoord). A questo si aggiunse l’impatto economico e psicologico della crisi petrolifera del 1973. Questi due fenomeni spinsero il governo olandese ad investire maggiormente nella viabilità sostenibile con le biciclette, andando controcorrente rispetto alle logiche del resto del mondo occidentale, basate invece sull’utilizzo dell’automobile.

Le scelte fatte allora da un piccolo Stato come i Paesi Bassi paiono molto lungimiranti. Eppure il mondo è ancora oggi diviso su una tematica che dovrebbe mettere tutti d’accordo: il destino del pianeta terra. La lungimiranza pare sia sottovalutata in un’epoca in cui si parla di futuro, ma si vive in un eterno presente cedendo talvolta all'opportunismo o all'egocentrismo. Le stesse istituzioni democratiche, che dovrebbero governare garantendo l’equilibrio dell’ecosistema, sembrano essere fin troppo sensibili alle pressioni di leader guidati egoisticamente dai propri interessi nazionali. In molti paesi, una sorta di "provincialismo culturale" si propaga senza difficoltà. Una possibile soluzione? Prendere spunto da iniziative sostenibili portate fieramente avanti fuori dalle proprie "mura domestiche".

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