7 OTTOBRE 2023: IL FALLIMENTO ISRAELIANO

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  04 luglio 2025
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Le falle nei servizi di sicurezza israeliani

L’attacco di Hamas il 7 ottobre del 2023 ha scosso il mondo e l’opinione pubblica internazionale. Tuttavia, ha rappresentato anche uno dei fallimenti più eclatanti nella storia del Mossad, nonché delle autorità israeliane (come mai più avvenuto dalla guerra dello Yom Kippur del 1973). L’Istituto, secondo un comunicato (Haaretz, 2024), è rimasto «[...]per la prima volta sorpreso la mattina della festa di Simchat Torah [...] dalle sirene di allerta codice rosso che hanno squarciato il cielo, dal vasto raid terroristico [...] e dalla brutale serie di omicidi in cui migliaia di civili e soldati sono stati assassinati e feriti».

Il fallimento (The Guardian, 2024) del Mossad si intreccia con quello dell’IDF, dello Shin Bet e dell’Aman. Fin da subito, i principali esperti si sono chiesti com’è stato possibile che un paese come Israele, che ha investito svariati miliardi di dollari nella difesa e nell’intelligence (Council on Foreign Relations, 2024), non si sia accorta dei piani di invasione del gruppo palestinese. Considerando la modalità dell’operazione (complessa, multi-dominio multiforme), essa ha richiesto ovviamente molti mesi, se non anni, di preparazione. Si ritiene, infatti, che le milizie abbiano iniziato ad addestrarsi in varie basi che simulavano alla perfezione le strutture dei kibbutz, delle barriere difensive e degli avamposti militari israeliani, sin dal 2022 e che questo avveniva anche a una manciata di chilometri dai confini con Israele. Quindi, il tutto è stato “nascosto in bella vista”.

Per quanto riguarda il budget militare, Israele è il principale beneficiario degli aiuti esteri statunitensi: dal 1948 ad oggi, sono stati 310 i miliardi di dollari stanziati (Council on Foreign Relations, 2024), di cui 230 per il settore militare. Una cifra destinata a crescere, a seguito di un memorandum d’intesa con il quale gli USA si sono impegnati a fornire ulteriori 38 miliardi, nel decennio 2019-2028. Ai quali vanno aggiunti, a causa della guerra scoppiata il 7 ottobre 2023, almeno altri 12,5 miliardi di dollari. Pertanto, si tratta di un flusso immenso, che va a rafforzare militarmente il più importante alleato di Washington nel Medio Oriente. Di questa enorme cifra, una parte certamente è stata diretta ai servizi di intelligence e alla costruzione di una barriera di sicurezza lungo il confine con la Striscia di Gaza. Viene da chiedersi ancora di più, quindi, come sia stato possibile un massacro del genere.

L’inganno di Hamas

L’attacco è stato possibile anche grazie a un’abile operazione di inganno portata avanti dal gruppo palestinese. Questa tattica, tanto semplice quanto efficace, è riuscita ad ingannare le autorità israeliane. Hamas, infatti, avendo da tempo appreso che Israele ha una delle migliori capacità di sorveglianza SIGINT (ovvero, l'attività di raccolta di informazioni mediante l'intercettazione e analisi di segnali,) al mondo — in particolare con l’Unità 8200 delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), ha evitato totalmente le comunicazioni elettroniche intercettabili. In tal senso, ha abbandonato i cellulari, le radio e internet per prediligere i walkie talkie, i cercapersone e soprattutto gli incontri in luoghi sicuri. Questi ultimi sono avvenuti sempre più spesso nella cosiddetta “metropolitana di Gaza”, una fitta rete di gallerie sotterranee che si articolerebbe per oltre 500 chilometri (ANSA, 2023), arrivando persino in Israele, (anche se è difficile stabilirne l'estensione in modo accurato). Così facendo, i sistemi SIGINT, le torri di avvistamento e i droni israeliani si sono rivelati assolutamente inefficaci. Preme infatti evidenziare come tali sistemi, molto avanzati e sui quali Israele si è fortemente basato, si annullano di fronte a mezzi di comunicazione molto semplici. Anche le attività HUMINT (cioè, le attività di intelligence che coinvolgono la raccolta di informazioni attraverso contatti umani) si sono rivelate pressoché inutili. Israele ha storicamente avuto molte fonti umane a Gaza, ma negli ultimi anni Hamas ha aumentato il controllo interno, identificando e neutralizzando i possibili informatori. Inoltre, ha reso più difficile il reclutamento di nuove fonti (e quelle disponibili non erano vicine ai vertici operativi o erano state tenute all’oscuro del piano).

Per di più, si poteva considerare Hamas come un attore razionale interessato principalmente alla gestione del potere a Gaza e al benessere economico, in particolare grazie ai fondi provenienti dal Qatar (che verranno analizzati di seguito). L’intelligence avrebbe, così, scartato l’ipotesi che Hamas potesse lanciare una guerra totale, reputandola non conveniente per gli interessi dell’organizzazione.

Per di più, Hamas avrebbe anche approfittato di una decisione israeliana (The Times of Israel, 2023), presa due anni prima, che avrebbe ridotto le operazioni attive dell’Unità 8200 durante le notti, i week-end e i giorni festivi. L’attacco è avvenuto proprio durante il Simchat Torah, una festività ebraica, quando molti operatori non erano in servizio. Ciò ha riportato alla mente una somiglianza con la guerra dello Yom Kippur, avvenuta proprio 50 anni prima, nel 1973. Anche in quell’occasione il conflitto era scoppiato durante una festività religiosa, colpendo in un momento di vulnerabilità (con l’intelligence israeliana che non riuscì a prevedere e prevenire l’attacco, pur avendo ricevuto alcuni segnali inequivocabili).

Inoltre, Israele aveva costruito una sofisticata barriera tecnologica lungo Gaza, dotata di sensori di movimento, torrette automatiche armate e radar per droni.

Ma Hamas ha saputo neutralizzare questi sistemi in pochi minuti (complice anche l’evidente debolezza delle recinzione, ritenuta invece impenetrabile), lanciando droni kamikaze contro le torrette automatiche, irrompendo con bulldozer, deltaplani e motociclette e attaccando i centri di comando e le torri di osservazione (molte delle quali erano vuote, in quanto gli operatori, come detto, non erano in servizio) prima di attraversare il confine.

Il sistema, progettato per fermare infiltrazioni isolate, non è stato in grado di reagire a un attacco di massa simultaneo su molti punti del confine. E anche i 767 soldati israeliani (The Times of Israel, 2025) di stanza al confine non hanno potuto reggere l’ondata di circa 5000 miliziani. L’IDF ha in seguito ammesso che le forze di stanza al confine erano al livello minimo richiesto per affrontare le minacce quotidiane e che l'attenzione principale all'epoca era rivolta alla minaccia rappresentata dall'Iran e da Hezbollah. Inoltre, due compagnie di soldati erano state spostate appena due giorni prima in Cisgiordania.

Un miliziano di Hamas, registrato da una telecamera di sorveglianza israeliana, con relativa facilità oltrepassa uno dei checkpoint di ingresso sul confine. (Foto di i24 News)

I retroscena politici

Molto probabilmente la falla è dovuta anche alla politica da anni seguita da Netanyahu, ovvero quella di rafforzare Hamas e di indebolire di conseguenza il Presidente palestinese Mahmoud Abbas. Lo stesso Ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, descrisse nel 2015 (The National, 2024) l’organizzazione come una “risorsa”, mentre Abbas come un “peso”. L’obiettivo di questa strategia era evitare la creazione di uno stato palestinese, che avrebbe portato alla famosa soluzione dei due stati (come sostenuto anche dall’ex Primo Ministro israeliano, Ehud Barak, in un’intervista del 2024). Ciò sarebbe stato possibile solo rendendo Hamas talmente potente nella Striscia di Gaza, da poter contrastare la ben più moderata Autorità Nazionale Palestinese rappresentata proprio dal Presidente Abbas. Considerando il carattere militare e “reazionario” (agli occhi dello stato ebraico, nonostante anche il carattere politico) dell’organizzazione, un suo forte potenziamento avrebbe infatti impedito la pace e di conseguenza qualsiasi soluzione negoziale. Fu così che Israele, negli anni precedenti gli eventi del 7 ottobre 2023, acconsentì ad un accordo tra Qatar e Hamas, consistente nel trasferimento di un’enorme quantità di denaro da Doha a Gaza, passando proprio per il territorio israeliano. L’organizzazione palestinese ottenne così svariati milioni di dollari (CNN, 2023), il tutto con l’appoggio di Netanyahu, il quale ha presentato il trasferimento di denaro come modo per stabilizzare la Striscia di Gaza ed evitare così una guerra.

A conferma di ciò ci sono diversi documenti (soprattutto tre lettere, di cui una inviata a giugno del 2023) che mostrano la forte vicinanza tra il governo di Tel Aviv e quello di Doha (The Times of Israel, 2024). Tra queste, un carteggio avvenuto tra l’allora ramsad (termine che indica il direttore del Mossad),Yossi Cohen e l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani nel quale il primo affermava che «questo aiuto ha indubbiamente svolto un ruolo fondamentale nel conseguire un continuo miglioramento della situazione umanitaria nella Striscia di Gaza e nel garantire stabilità e sicurezza nella regione».

Una lettera del 2020 che l'allora capo del Mossad, Yossi Cohen, inviò all'emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, ringraziandolo per il supporto umanitario di Doha a Gaza. (fonte: The Times of Israel)

Non mancarono voci di dissenso provenienti sia dal suo stesso governo, ma anche dall’ex Primo Ministro Ehud Barak e da due ex Direttori dello Shin Bet, Ami Ayalon e Yuval Diskin (CBC, 2023). Ma non ci fu niente da fare. Come affermato anche da un funzionario qatariota, dal 2018, mensilmente 30 milioni di dollari confluivano a Gaza, portando Hamas ad accumulare in cinque anni più di un miliardo e mezzo di dollari (Der Spiegel, 2023). Questi sarebbero dovuti servire, altresì, per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici, acquistare il carburante per la centrale elettrica, fornire aiuti umanitari diretti alle famiglie povere e costruire infrastrutture sotto la supervisione dell’ONU.

Le diverse cause del fallimento israeliano

Compreso come Tel Aviv abbia indirettamente rafforzato Hamas, occorre capire gli altri fattori che hanno portato al fallimento:

1) il cosiddetto “pensiero di gruppo” (The Jerusalem Post, 2024), a causa del quale l’establishment israeliano ha minimizzato il pericolo proveniente da Hamas, le cui posizioni sono state ritenute ammorbidite grazie alle ingenti risorse (nonché i permessi per i lavoratori palestinesi di lavorare in Israele). Ciò avrebbero portato a migliori condizioni di vita nella Striscia di Gaza, con l’organizzazione palestinese che avrebbe svolto attività politica. Tuttavia, come visto, quell’aiuto protrattosi nel tempo, ha sortito un effetto opposto. Questo elemento, instillato in primis da Netanyahu, ha influenzato anche i punti sottostanti; 2) L’incredibile incapacità del Mossad di notare le esercitazioni delle milizie (durate diversi anni e che ha richiesto la progettazione di un campo di addestramento che ricostruisse i kibbutz israeliani) e l’insolito dispiegamento dei bulldozer nei pressi delle recinzioni difensive. Preme però evidenziare che negli anni precedenti, Israele aveva visto molte esercitazioni simili che non erano mai sfociate in un attacco reale. Questo ha creato una situazione di falsa sicurezza, per cui l’ennesima esercitazione veniva vista come bluff. L’Istituto, inoltre, sembra aver sottovalutato le capacità militari di Hamas, ritenuto indebolito dalle perdite degli anni precedenti;

3) L’estrema fiducia di Israele riposta nel sistema difensivo e nelle proprie capacità militari e di intelligence, costati a Israele più di 800 milioni di dollari.

4) La “compartimentazione” del sistema di intelligence israeliano. In pratica, le diverse agenzie (che non hanno una direzione unificata, ma ognuna ha gerarchia e obiettivi autonomi) raccolgono, analizzano e gestiscono informazioni in modo separato, con scarsa o limitata condivisione operativa tra loro. Ne risulta che le informazioni sono condivise solo parzialmente e spesso solo su richiesta esplicita, per motivi di sicurezza o rivalità interne (il che certamente può portare a duplicazioni, lacune o ritardi decisionali). Difatti, non essendo un coordinamento, il gabinetto di sicurezza ricevette solo frammenti, senza comprendere la portata della minaccia. La debacle, quindi, sembrerebbe avvenuta sia a livello politico, che di intelligence esterna, interna e militare (CSIS, 2023).

Il massacro annunciato

Questa analisi risulterebbe incompleta e tenderebbe ad addossare la maggior parte delle colpe all'apparato di intelligence e dell’esercito, se non si esaminasse il caso “Jericho Wall”. Infatti, a dispetto di Netanyahu e del suo establishment che hanno bollato il massacro come “fallimento dell’intelligence”, addossando quindi tutta la responsabilità ai vertici del Mossad (nonché dello Shin Bet e dell’Aman), la verità è più complessa. È emerso, invero, come l’Istituto avesse informato Tel Aviv delle volontà di Hamas, con un documento di 40 pagine proveniente direttamente dall’organizzazione palestinese. Nel testo venivano specificate, in modo assolutamente dettagliato, i modi in cui l’attacco sarebbe avvenuto (e che poi si sono dimostrate puntuali e affidabili). Erano definite le modalità per sopraffare l'apparato di sicurezza israeliano e per attaccare città e basi militari, attraverso l'uso di droni e razzi per eliminare i sistemi di difesa. Inoltre, veniva affermato che le milizie avrebbero attraversato il confine israeliano a piedi, in auto e soprattutto in deltaplano Quindi, il Mossad era consapevole di una possibile guerra. Il documento (nome in codice “Jericho Wall”) venne trasmesso all’ufficio di Netanyahu e agli alti gradi dell’esercito israeliano. I vertici politici e dell’IDF erano dunque a conoscenza dei possibili scenari, ma evidentemente hanno deciso di ignorare la comunicazione e scartare l’ipotesi di un attacco per i motivi precedentemente elencati . Non solo. Israele sarebbe stato avvertito (The Guardian, 2023) anche dall’intelligence egiziana. L’Egitto, che in molte occasioni fungeva da intermediario tra lo stato ebraico e Hamas, ha affermato che Tel Aviv avrebbe ignorato i ripetuti avvertimenti secondo cui il gruppo terroristico palestinese stava pianificando "qualcosa di grosso”. Un funzionario egiziano ha affermato che Netanyahu avrebbe scartato tale possibilità, sempre a causa del bias cognitivo e di una costante routine di false allerte. Il Primo Ministro israeliano ha subito negato ogni informazione da parte del Cairo (che invece sarebbe pervenuta circa 10 giorni prima l’attacco, da parte del capo dell’intelligence egiziana, Abbas Kamel), bollando tale vicenda come “fake news”. Tuttavia, la versione egiziana era stata riconosciuta, qualche giorno dopo l’attacco, anche da Michael McCaul (Deputato repubblicano che presiedeva la Commissione Esteri alla Camera statunitense). Pertanto, i motivi del fallimento che hanno portato al disastro del 7 ottobre sono molteplici e complessi. Quel che è certo è che l’attacco sarebbe potuto essere sventato, se solo ci fosse stata maggiore unità d’analisi e d’intenti tra la politica, l’esercito e i servizi d’intelligence; se l’attività del Mossad fosse stata più attenta; se si fosse prestata maggiore attenzione alle allerte e soprattutto se fosse stato evitato il pensiero di gruppo.

La mancanza di una commissione d’inchiesta ufficiale

Quindi, nonostante le accuse di Netanyahu all’apparato di intelligence, che ha comportato l’ammissione della sorpresa da parte del Mossad, né il Primo Ministro, né i vertici militari hanno ancora istituito una commissione d’inchiesta per fare luce sulle falle nel sistema. Ci sono state poche indagini (Le Monde, 2025), perlopiù separate e parallele tra i diversi organi. Una è stata quella del revisore dei conti, che ispeziona e verifica le politiche e le operazioni del governo. Tuttavia, essendo la carica ricoperta da Matanyahu Englman, un forte sostenitore di Netanyahu, l’indagine si è fermata quasi subito. Un’altra indagine, circoscritta all’attacco al kibbutz di Beeri, è stata quella dell’IDF, che ha affermato che la risposta era stata mal organizzata e troppo lenta.

Non solo. È notizia del 5 maggio 2025 il rifiuto (The Times of Israel, 2025) del governo di Tel Aviv di istituire una Commissione d’Inchiesta statale, proposta dalla Procuratrice Generale Gali Baharav-Miara. Quest’ultima ritiene che tale organismo, dotato di ampi poteri, sarebbe il più adatto ad affrontare le indagini (le quali devono, secondo il suo parere, cominciare il prima possibile per evitare ulteriori danni d’immagine). Netanyahu, in un video in cui risponde alle domande poste dal suo ufficio stampa, ha affermato che la Commissione sarà istituita, ma solo dopo la massiccia operazione militare nella Striscia di Gaza. Questo nonostante circa mille persone, tutte in qualche modo colpite dall’attacco di Hamas (o perché familiari di ostaggi, di sopravvissuti, di uccisi, o perché membri dell’IDF), abbiano firmato un documento per chiedere proprio l’istituzione di tale organo.

Ma qual è la grande differenza tra la Commissione d’Inchiesta statale e quella Speciale, proposta da Netanyahu e dalla sua cerchia? In sostanza, la prima prevede dei membri nominati dal presidente della Corte Suprema, dotati di ampi poteri e soprattutto indipendenti dal potere politico; la seconda, invece, vedrebbe dei componenti nominati direttamente dalla Knesset. Quindi, è evidente come anche la costituzione di una Commissione d’Inchiesta si giochi sul piano politico. Secondo Yair Lapid (The Times of Israel, 2025), membro dell’opposizione, «la catastrofe del 7 ottobre si ripeterà ancora e ancora [...] se non indaghiamo sulle cause del disastro, non saremo in grado di imparare la lezione e di garantire che non accada di nuovo».

In tutta la vicenda, preme evidenziare, in pochissimi si sono assunti la responsabilità (ma, come visto, non Netanyahu né il suo establishment). Tra questi, Aharon Haliva (RSI, 2024), Generale e capo dell’AMAN, l’intelligence militare, che per primo ha rassegnato le dimissioni, il 22 aprile 2024; il 21 gennaio 2025 è stata la volta di Herzi Halevi, Capo di Stato Maggiore. Anche lo Shin Bet si è mosso in questa direzione, affermando che se avesse agito diversamente negli anni e nei giorni precedenti l’attacco, il massacro sarebbe stato impedito. Analizzando, quindi, gli avvenimenti precedenti e gli sviluppi successivi al massacro, si nota quanto l’avvenimento sia stato avvolto intenzionalmente da un’aura di mistero, in cui è la politica a tenere le redini (a discapito di un buon funzionamento dell’intelligence e dell’esercito).



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