Algeri nel mutato scenario globale: Prospettive politiche ed economiche sulla sicurezza regionale

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  23 marzo 2023
  32 minuti, 9 secondi

A cura di Domenico Molino, Senior Researcher G.E.O.,Difesa&Sicurezza

Abstract

Il profilo strategico dell’Algeria si ramifica in una sempre più fitta competizione globale. Da un lato, la sua estensione geografica, l’abbondanza di risorse energetiche e gli indicatori demografici le permettono di ergersi in posizione di forza all’interno di delicati rapporti diplomatici, militari ed economici. Dall’altro, le crisi internazionali e le preesistenti tensioni sociali interne suggeriscono una fragilità endemica, non semplice da sanare, capace di metterne in discussione l’ambita leadership regionale. Da ultimo, vista da Roma, Algeri rappresenta non solo una realtà mediterranea contigua ma anche la porta d’ingresso ad un mercato giovane e in crescita che, grazie alle proprie infrastrutture strategiche, si proietta al cuore dell’Africa.

Il Contesto algerino nell’interconnessione delle dinamiche geopolitiche e geoeconomiche

L’ambiente securitario del Mediterraneo si presenta complesso, frutto della sedimentazione di eventi politici, sociali ed economici dal carattere transnazionale e dalla portata dirompente. Sviluppi regionali al pari delle Primavere Arabe risultano interconnessi alla riemersa competizione strategica di lungo termine (U.S. Department of Defense, 2018) ponendo da un lato l’accento su un ordine globale indebolito e dall’altro dilatando il profilo della minaccia. Inoltre, il perdurare delle operazioni militari in Ucraina e le sanzioni europee alla Federazione Russa, mettono in risalto non solo i limiti di un modello politico strutturato sull’interdipendenza economica ed energetica (European Parliament, 2018), ma anche come lo sfruttamento delle vulnerabilità avvenga attraverso forme multidimensionali di influenza, pressione e coercizione (RAND, 2017). Tra queste l’aspetto energetico svolge un ruolo determinante a causa della maggiore domanda da parte dei singoli Paesi e delle crescenti preoccupazioni per la sicurezza degli approvvigionamenti. Pertanto, gli assets energetici si tramutano in strumento di politica estera garantendo tre principali finalità strategiche: l’ottenimento di benefici economici; il mantenimento e l’accrescimento dell’influenza; la pressione politica.

In sintesi, mentre la nozione stessa di “ordine mondiale” viene messa radicalmente in discussione dalle azioni “revisioniste” di Mosca, l’ampio novero delle ricadute geopolitiche e geoeconomiche incide su tutte le declinazioni della sicurezza italiana (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, 2023) testimoniando, da ultimo, la definitiva alterazione di un ambiente securitario ritenuto, fino al 2011-2014, stabile e relativamente favorevole. Dunque, i rapidi mutamenti nel nostro principale contesto di riferimento spingono verso la centralità analitica di un attore come l’Algeria che, divenuto perno della strategia di affrancamento dalla dipendenza energetica russa, si presenta come un’opportunità nevralgica all’interno dell’ambizione di Roma di accrescere il proprio peso geopolitico.

Tuttavia, l’Algeria contemporanea rimane uno dei paesi meno conosciuti e quindi meno compresi del Nord Africa, del Mediterraneo e del mondo arabo (Willis, 2022) tanto che una maggiore conoscenza delle dinamiche interne e internazionali di questo attore, espanderebbe la comprensione, prima fra tutte, delle attuali dinamiche geopolitiche e degli sviluppi areali. Inoltre, la conoscenza di questo ambiente securitario renderebbe possibile l’introduzione di un efficace approccio whole of governance alla cooperazione di Roma con Algeri.

Questo sarebbe teso, non solo ad aumentare il ruolo economico e diplomatico dell’Italia ma anche a mitigare le ricadute di fenomeni e dinamiche che potrebbero svilupparsi a danno alla nostra stessa sicurezza nazionale. Inoltre, la capacità di rafforzare in modo duraturo il profilo securitario ed economico dell’Algeria attenuerebbe la possibile dilatazione delle vulnerabilità interne, fattore determinante e che, in linea di principio quando considerato all’interno di campagne ‘non lineari’, garantirebbe l’attuazione, da parte di attori statali e parastatali, di manovre ostili e di inserimenti strumentali di vario segno e matrice (Molino, 2022).

Le vulnerabilità di un partner strategico per Roma

Le crisi geopolitiche e geoeconomiche che attualmente impattano sull’Algeria si fondono a preesistenti tensioni sociali acutizzando una fragilità endemica capace di mettere in discussione la ricerca dell’ambita leadership regionale e di comprometterne l’affidabilità nel palcoscenico internazionale. L’opacità del pouvoir, il sistema politico formato dai comandanti dell'esercito, dai vertici dei servizi segreti e dalla classe politica di lungo corso che regge il paese dal 1962 (Serrano, 2019), continua a generare tensioni interne confluite, a partire dal 2019, in proteste ben più estese rispetto a quelle del 2011. Difatti, l’assenza di riforme radicali del sistema politico e di scelte coraggiose da parte dei vertici del Paese impedisce il reale sviluppo di un’economia produttiva capace di risollevare l’Algeria dalla stringente dipendenza dagli idrocarburi e dalle oscillazioni dell'economia mondiale (Oumansour, 2022). Tuttavia, anche alla luce dei recenti sondaggi d’opinione che costantemente rivelano crescenti critiche ed insoddisfazioni dei gruppi sociali, il pouvoir sembra riuscire a mantenere saldamente il controllo del Paese ergendosi, anche nei rapporti con Roma, ad interlocutore affidabile e partner strategico di imprese e governi.

Per Palazzo Chigi, Algeri riveste un ruolo centrale, e al già duraturo partenariato energetico si affianca la volontà di diversificare la cooperazione fino a ricomprendere anche le piccole e medie imprese operanti in settori quali quello agroindustriale, della pesca e dell’acquacultura, farmaceutico, e delle energie rinnovabili (MAECI, 2022). Ciò renderebbe il Nostro Paese ancora più rilevante nelle dinamiche interne algerine in quanto le capacità di proiezione ed investimento del tessuto produttivo italiano se da un lato beneficerebbero della prossimità geografica, del basso costo dell’energia, e della disponibilità di manodopera giovane e istruita, dall’altro potrebbero consentire al sistema economico algerino uno sviluppo industriale che miri a promuovere l'attività produttiva, stabilendo dinamiche territoriali attive attorno ai centri tecnici industriali, a sviluppare consorzi e cluster d’impresa al fine di consentire il rafforzamento delle capacità e la diversificazione dei prodotti e dei consumi (MAECI, 2022).

Proprio per queste finalità espresse, è necessario evidenziare come l’Algeria si presenti oggi colpita da un elevato tasso di disoccupazione (circa il 12%), avvertita soprattutto tra i giovani (circa il 29%), nonché caratterizzata dal dilagare della corruzione nell’apparato pubblico (Rachidi, 2019). Non da ultimo, le proteste degli Hirak -termine arabo che si traduce in movimento- hanno rafforzato l’idea “dello scollamento della politica dai bisogni della comunità ‘reale’ (Gitto, 2021)”. Dunque, ai fini dell’analisi previsionale, occorre osservare con particolare attenzione quei fattori che dimostrano come nel corso di circa trent’anni di difficili dinamiche securitarie il regime sia riuscito a mantenere lo status quo. Giova premettere come ciò non serva a dimostrare l’immunità algerina verso un cambio di regime, e dunque ad avvalorare l’assoluta affidabilità e stabilità nel tempo del Paese, bensì ad evidenziare la natura, l’atteggiamento e le vulnerabilità di un attore definito dallo stesso Ministero degli Affari Esteri Italiano come strategico, la cui cooperazione in campo energetico è divenuta prioritaria.

Dunque, sviluppare scenari previsionali sulle prospettive securitarie, tanto interne quanto regionali, che fanno capo ad Algeri dovrebbe stimolare nel vertice politico-strategico italiano l’introduzione di un approccio whole of governance teso a mitigare non solo fenomeni che direttamente incidono sul nostro interesse nazionale, ma anche lo sviluppo di azioni di influenza, pressione e coercizione che Mosca e Pechino, in forza del peso che rivestono nelle dinamiche del Paese nordafricano, potrebbero condurre. Vi è inoltre da analizzare con profonda cura previsionale come l’aumento del peso specifico di Roma nella regione fungerebbe da contraltare delle politiche securitarie ed energetiche sviluppate da Ankara. In conclusione, se il governo italiano sarà capace di rafforzare in modo credibile, sostenibile e duraturo il proprio partenariato strategico con l’Algeria, allora potrà pensare di contenere le politiche di altri attori statali e da ultimo di proiettare la propria influenza fino al golfo di Guinea, rafforzando il proprio ruolo in un’area vitale per la sicurezza italiana e europea, il Sahel.

Dall’isolamento nel corso del ‘décennie noire’ al relativo successo nel corso delle ‘Primavere Arabe’

L’Algeria osservata nella sua collocazione regionale, sviluppa le proprie decisioni all’interno di un ambiente divenuto sempre più ostile, che al suo interno fonde le pluridecennali dinamiche d’area ai crescenti livelli di competizione e confronto globale. Ciò impone al governo di consolidare il proprio fronte interno e di rafforzare l’unità nazionale per far fronte non solo alle molteplici minacce che si configurano alle sue frontiere, ma anche per evitare che la dilatazione delle vulnerabilità interne possa agevolare manovre ostili ed inserimenti strumentali di vario segno e matrice. Soprattutto alla luce di quanto si sta configurando nei paesi confinanti, Mali e Libia in primis, tale minaccia si rivela come la più plausibile nei confronti della stabilità algerina.

Il contesto storico aiuta ad analizzare l’approccio adattivo che ha segnato l’atteggiamento del pouvoir algerino. Già dalla fine degli anni ‘80 il Paese era stato caratterizzato da forti spinte popolari di riforma (Zoubir, 2007). Nel 1992, al netto di alcune aperture, il regime decise di interrompere il processo elettorale mettendo al bando il Fronte Islamico di Salvezza (FIS), ritenuto probabile vincitore delle consultazioni politiche. Questi avvenimenti, nella loro complessa natura, portarono l’Algeria ad affrontare un ‘décennie noire’ (decennio nero) di guerra civile terminato, de Jure, solo agli inizi degli anni 2000.

Non può essere trascurato come l’evoluzione dell’ambiente securitario algerino abbia anticipato aspetti cruciali delle dinamiche geopolitiche e degli odierni scenari d’area. Da un lato, il fallito tentativo di aprire la politica e di liberalizzare il sistema economico doveva far comprendere come il processo di trasformazione in senso democratico del MENA (Middle-East and North Africa) sarebbe stato arduo e lungo. Un avvertimento a cui, circa un quarto di secolo dopo, “pochi di coloro che sgorgavano con entusiasmo per la rapida democratizzazione in Egitto e in Libia si preoccuparono di prestare attenzione (Ghilès, 2014)”. Dall’altro lato, le fazioni coinvolte, gli attori considerati responsabili del loro finanziamento e le modalità violente delle azioni, lasciano presagire come le décennie noir abbia anticipato la guerra globale al terrorismo internazionale, divenuta marcata solo a seguito degli attentati dell’11 settembre 2001. Questa ultima osservazione trova riscontro nella variazione di atteggiamento che in primis gli USA ebbero proprio nei confronti di Algeri. Difatti, nel corso degli anni ’90 il Paese rimase isolato anche a causa di una diplomazia incapace di convincere il mondo della violenza esercitata dai gruppi armati islamisti, segnando un quasi embargo nei confronti del regime (Zoubir, 2007). Tuttavia, con l’acutizzarsi della guerra al terrore, gli Stati Uniti e la Francia si rivelarono subito ben disposti nel vendere armamenti ad Algeri e nel richiedere la partecipazione dell’Armée Nationale Populaire (Esercito Nazional-Popolare) tanto a missioni di mantenimento della pace quanto ad esercitazioni congiunte con francesi, americani e forze NATO (Zoubir, 2007).

In questo contesto, tra la fine del 2010 e gli inizi del 2011, il Paese non fu immune alle proteste generalmente conosciute come ‘Primavere Arabe’. Tuttavia, i movimenti che infiammarono le piazze del Maghreb e del Mashreq furono gestiti da Algeri con una maturità politica e militare diversa rispetto a Stati quali Egitto, Tunisia, Siria e Libia. Difatti, nonostante le proteste in Algeria scoppiarono contemporaneamente a quelle degli altri Stati, esse non si diffusero mai capillarmente, mancando inoltre di conquistarsi il definitivo slancio verso il cambiamento di regime. Questa differenza era essenzialmente dovuta tanto alla capacità del governo di frammentare le opposizioni quanto di essere contornato da un apparato securitario più efficiente e moderno rispetto a quello di Libia, Egitto e Siria. Proprio per questo i manifestanti nel corso delle proteste del 2011 affrontarono un apparato di sicurezza forte e aderente al contesto. Difatti, nel corso dei decenni precedenti, anche a causa della guerra civile, l'Algeria aveva ampliato le proprie forze di sicurezza, passando dai 50.000 agenti di polizia a metà degli anni '90 ai circa 170.000 agenti del 2011 (Achy, 2011). Inoltre, a differenza degli altri apparati securitari gli ufficiali delle Forze Armate e di polizia risultavano essere “ben pagati - guadagnano il 65% in più rispetto alla media dei dipendenti pubblici (470 dollari USA rispetto ai 280 dollari USA al mese) - e con buone prospettive di carriera (Achy, 2011)”, rendendo improbabile che questi ultimi si potessero rivolgere contro il governo. Da ultimo, furono le tattiche di ordine pubblico impiegate che fecero la differenza nel contesto algerino in quanto, scongiurando il ricorso alla violenza armata, le forze di sicurezza riuscirono a dividere i manifestanti in piccoli gruppi attenuando gli effetti delle mobilitazioni di massa.

A questo vi era da aggiungere come, distanza di vent’anni dalla guerra civile, tali eventi rappresentarono, agli occhi del pouvoir e di gran parte della popolazione, solo un pretesto per prolungare la lotta islamista per il controllo dell’Algeria. Difatti, nel corso del decennio a cavallo tra la guerra civile e le Primavere Arabe, lo scontro con le fazioni salafite, nel tempo unitesi al volto dell’estremismo di al-Qāʿida nel Maghreb Islamico (AQIM), non era mai stato del tutto concluso. Proprio per questo, nel corso delle proteste i gruppi islamisti poterono trovare nuova linfa per continuare in maniera clandestina, tanto l’integrazione nel gioco politico dello Stato, quanto il rovesciamento violento del governo. Inoltre, il ricordo della guerra civile fu determinante essendo ancora capace di sconvolgere la società algerina. Questo deve essere annoverato tra i motivi del fallimento delle proteste e di un diverso corso della politica algerina. Pertanto, giova da ultimo sottolineare come nel corso degli anni ’10 del 2000 né la società algerina aveva dimenticato la violenza del decennio nero, né il regime sarebbe stato disposto a condividere il potere (Meneses, 2011).

Tuttavia, l’instabilità che cresceva negli altri Stati nord africani e mediorientali divenne il motivo per rafforzare ed accelerare il processo di ammodernamento delle Forze Armate algerine intrapreso già agli inizi degli anni 2000. Nel 2013 l’Algeria entrava nella classifica dei dieci maggiori acquirenti di armi al mondo, ergendosi come più importante acquirente di materiale bellico in Africa, rappresentando il 36% del totale delle importazioni continentali (Ghilès, 2015). Nel settembre dello stesso anno, veniva nominato Ministro degli Affari Esteri Ramtane Lamamra, ex ambasciatore a Washington che sin da subito ebbe cura di rilanciare il ruolo dell’Algeria all’interno di una regione che, a causa del collasso dell’apparato Statale libico, veniva considerata come la culla per il terrorismo. Tuttavia, se sulla scena internazionale il Paese correva verso una nuova affermazione regionale, ben presto le vicende politiche e sociali interne avrebbero destato nuovo allarme nella classe dirigente algerina.

La fragilità del fronte interno e lo slancio per la leadership regionale

Secondo l’interpretazione realista delle relazioni internazionali, la politica estera è dettata dall'interesse nazionale (Sheehan, 2018). Tuttavia, al pari delle altre idee umane, il concetto generale di interesse nazionale, anche paragonato a quello di sicurezza nazionale, è un costrutto sociale la cui definizione viene ininterrottamente trasformata dal dinamismo dei processi cognitivi individuali e di massa. Analogamente anche l’identificazione delle minacce deriva da ciò che una particolare società ritiene come tale (Maddock, 1996) in relazione ad una determinata fase della propria evoluzione storica. Dunque, prima di ridiscutere l’impatto delle recenti proteste sull’apparato algerino, occorre tornare a considerare come le origini, il corso e la natura della lotta contro i francesi assume ancora oggi un ruolo centrale nelle dinamiche interne allo Stato algerino.

Ancora oggi ne consegue uno sfruttamento narrativo ai fini della legittimità da parte degli attori di tutto il panorama politico algerino. È rivelatore che quando si fa riferimento alla ‘rivoluzione’, più attori politici si riferiscono al 1954, anno di inizio della lotta, piuttosto che all’anno in cui essa si concluse, il 1962, indicando così che fu durante il corso della lotta stessa che le cose presero una piega diversa rispetto a quanto auspicato (Willis, 2022). Da ultimo, “la prova dell’importanza duratura della lotta di liberazione è stata evidente negli abbondanti riferimenti fatti sia dai manifestanti che dalle autorità durante le manifestazioni di massa che hanno avuto luogo in tutta l’Algeria dal 2019; ciascuno fondando la legittimità della propria posizione e delle proprie azioni nella rivoluzione originaria (Willis, 2022)”.

Nel corso degli anni, e le ultime proteste lo testimoniano, il pouvoir non solo ha gestito e ristretto lo spazio a disposizione dei partiti - formali e informali - di opposizione ma ha anche impedito loro di mobilitare un gran numero di algerini a sostegno delle piattaforme critiche verso lo Stato, scongiurato, da ultimo, qualsiasi tentativo di produrre un movimento di opposizione caratterizzato da un’ampia base popolare (Willis, 2022).

Tuttavia, nel febbraio 2019, l'annuncio della candidatura di Abdelaziz Bouteflika per un quinto mandato presidenziale aveva provocato una mobilitazione popolare senza precedenti. Questa mobilitazione, nota come Hirak -movimento-, che ha interessato l'intero territorio algerino, ha portato alle dimissioni del presidente Bouteflika il 2 aprile 2019 e all’iniziale sospensione del processo elettorale. Difatti, dalla caduta di Abdelaziz Bouteflika, l'Algeria ha marcatamente ricercato di inseguire il ruolo di potenza regionale tuttavia, lo Stato algerino stenta ad uscire dalle problematiche economiche e dalle sue crisi croniche che, soprattutto agli occhi dei principali rivali, lo rendono uno Stato indebolito ma altamente competivo (Oumansour, 2022). Alla guida della Presidenza della Repubblica è succeduto il 12 dicembre 2019, Abdelmadjid Tebboune, il quale, anche nel tentativo di garantire il successo ha intrapreso una revisione della Costituzione, adottata con referendum il 1° novembre 2020, e sciolto l'Assemblea Nazionale del Popolo il 21 febbraio 2021, portando a nuove elezioni legislative nel giugno 2021. Questi voti sono stati contrassegnati da una massiccia e storica astensione, segno di una grande sfiducia politica (Ferrara-Michel-Kleisbauer, 2022).

Il profilo geostrategico e geoeconomico nelle relazioni diplomatiche algerine

In questo scenario, Algeri, forte del proprio potenziale geostrategico, umano (47 milioni di abitanti con un tasso di crescita annuo di quasi il 2%) ed economico, si rivela attore regionale essenziale. Dagli inizi degli anni 2000 gli Stati dell’Europa Occidentale e gli USA hanno rivalutato l’Algeria nell’ottica di un partneriato fondamentale tanto nella lotta al terrorismo quanto nella stabilità africana (Oumansour, 2022). Questa maggiore vicinanza politica all’Occidente è stata capace di superare l’isolamento che aveva colpito Algeri nel corso degli anni ’90 fino ad aprire, nel 2004, alla partecipazione diretta al forum securitario denominato 5+5 (iniziativa di dialogo che vedeva la partecipazione di Portogallo, Spagna, Malta, Francia e Italia -rappresentanti della sponda settentrionale del Mediterraneo- e di Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia e Libia -rappresentanti di quella meridionale-).

Il ruolo rilevante di Algeri nell’ambiente securitario regionale è continuato a crescere a seguito delle dinamiche geopolitiche e geoeconomiche che hanno contornano la guerra in Ucraina. Questo in considerazione del fatto che l’Unione Europea, principale mercato energetico della Federazione Russa, ha implementato diversi cicli di sanzioni in risposta all'invasione del febbraio 2022 fino a limitare quasi del tutto le importazioni di prodotti energivori russi (EIA, 2023). Dunque, per garantire la propria sicurezza energetica, Bruxelles conta oggi su Algeri, decimo paese al mondo per volume delle riserve stimate di gas naturale (oltre 4.504 milioni di metri cubi di riserve accertate di gas naturale, il che ne fa il secondo paese africano con le maggiori riserve, alle spalle della sola Nigeria). Nel corso del 2022 il Paese ha annunciando la propria predisposizione ad aumentare i volumi di gas da fornire ai partner europei tramite i gasdotti ‘Medgaz’ e ‘Transmed’ che rispettivamente riforniscono la Spagna e l'Italia (Oumansour, 2022).

Dunque, con l'ambizione di diventare nazione leader nell'approvvigionamento energetico, l'Algeria ha annunciato che tra il 2022 e il 2026 destinerà quasi 40 miliardi di euro all'esplorazione, alla produzione e alla raffinazione del gas, gran parte del quale avverrà in nuovi giacimenti nel sud-ovest, molto vicino al delicato confine con il Mali (Instituto de Seguridad y Cultura, 2022). Nell’ottica di Roma, diversificare le forniture di gas, anche innalzando il ruolo dell’Algeria, significa da un lato divenire polo d’attrazione all’ingresso del gas africano in Europa, dall’altro rendere possibile la costituzione di un argine al crescente ruolo della Turchia come hub energetico nel Mediterraneo. Tuttavia, così come sottolineato nella parte introduttiva dell’analisi, l’interdipendenza economica ed energetica porta con sé rischi intrinsechi circa l’utilizzo di tale asset come strumento di influenza, pressione e coercizione. Per tale ragione, all’interno di questa analisi, riconoscendo l’assoluta centralità degli equilibri energetici l’attenzione sarà focalizzata sui rischi securitari e sulle dinamiche relazionali dell’Algeria.

Difatti, l’economia algerina si presenta ancora fortemente dipendente dagli idrocarburi, che rappresentano circa il 93% delle esportazioni, il 60% delle entrate fiscali e il 30% del PIL (MAECI). Il rimbalzo dei prezzi degli idrocarburi potrebbe scoraggiare i decisori politici dal perseguire prospettive di diversificazione dell'economia per svincolarsi dalla dipendenza dall’export di gas e petrolio. Dunque, la fragilità di questo sistema economico unita alle tensioni sociali e all’incapacità di generale benessere si condensa ad una campagna repressiva nei confronti delle legittime rivendicazioni popolari (Rachidi, 2019). Tutto ciò mantiene l’Algeria in una situazione esplosiva.

L’ambizione della leadership regionale

La ricercata leadership regionale ha generato una frattura diplomatica tanto con il Marocco quanto con la contiguità degli interessi nazionali di Parigi e Madrid. Tuttavia, nel corso del 2022 Rabat è riuscita ad avvicinare alla propria posizione Germania, Francia e Spagna (Liga, 2023). A fare da cornice alle crescenti tensioni tra questi paesi vi sono anzitutto le decennali vicissitudini della regione del Sahara Occidentale. Il rilievo di questa porzione d’Africa si deve alla strategicità geografica, politica ed economica che essa riveste nel più ampio contesto del transito di merci provenienti dalla regione africana del Sahel e dirette tanto in Europa, per tramite del Marocco, quanto nel Continente Americano. In generale, a partire dagli inizi del 2000, il ruolo emergente della regione costiera del Sahara, Mauritania in primis, è stato trainato dagli investimenti che USA, Cina, Emirati Arabi, Francia, e Spagna hanno sviluppato nel settore minerario e delle infrastrutture marittime e terresti di collegamento. Giova sottolineare come nel complesso il valore dell’interscambio di Washington con la regione costiera dell’Africa Sahariana valga circa quattro miliardi di dollari all’interno della bilancia commerciale statunitense, giustificando le preoccupazioni USA sulle tendenze della sicurezza regionale legate alla recrudescenza dell’estremismo e all’attivismo di Mosca e Pechino (Devermont, 2021)

Proprio per questa rilevanza, l’area del Sahara Occidentale apre a nuovi stravolgimenti di scenario, distinguendosi per essere da decenni caratterizzata dal conflitto tra Marocco e Fronte Polisario. Ad oggi, questa realtà geografica è inserita nella lista dei territori autonomi stabilita dalla IV Commissione dell’Assemblea Generale dell’ONU. Dal 1978 il perdurare con varia intensità del conflitto fra il Fronte Polisario e il Regno del Marocco ha portato più della metà della popolazione a trovare rifugio in Algeria, dove tuttora vivono, all’interno di cinque campi profughi nei pressi di Tindouf, circa 170,000 persone (Correale, 2020). Ciò ha reso Algeri interlocutore unico delle istanze del Fronte Polisario. L’indubbio punto di svolta si è nuovamente raggiunto a partire dal marzo del 2022 quando gli Stati Uniti hanno ribadito il loro pieno sostegno alla sovranità del Regno del Marocco sul Sahara Occidentale. Già nel 2020 l’Amministrazione Trump aveva ritenuto la creazione di un nuovo Stato sahariano indipendente come un’opzione non realistica nella risoluzione del conflitto tra Rabat ed il Fronte Polisario. Washington aveva pertanto ribadito come l’autentica autonomia sotto la sovranità marocchina fosse l'unica soluzione praticabile, esortando così le parti a “impegnarsi in discussioni senza indugio, utilizzando il piano di autonomia del Marocco come unico quadro per negoziare una soluzione reciprocamente accettabile (U.S. Embassy in Morocco, 2020)”.

Nel dicembre 2020 infatti, “il riconoscimento della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale da parte degli Stati Uniti, in cambio dell’avvio del processo di normalizzazione con Israele, aveva spinto Rabat a pretendere dai propri partner europei un simile orientamento (Liga, 2023). Difatti, il ribaltamento delle decisioni francesi e spagnole nel corso del 2022 ed il loro sostegno al memorandum statunitense si deve all’abilità del primo ministro marocchino Aziz Akhannouch di aver assunto una posizione netta a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Dunque, la necessità di garantire politicamente il compimento del piano di Rabat all’autonomia regionale ha comportato una crescente tensione nei rapporti diplomatici con Algeri, tanto che la storica decisione di Madrid di rompere la propria neutralità sulla vicenda (Fernandez Candial, 2022) ha portato il Presidente Algerino a dichiarare pubblicamente come le relazioni tra i due Paesi siano “congelate ma non cancellate (Sanz, 2023)”. Difatti, le tensioni diplomatiche tra Algeria e Marocco hanno scosso notevolmente la posizione spagnola ed il suo tradizionale ruolo di nazione mediatrice. Il Governo Sánchez si è così trovato stretto all’interno di una doppia morsa, chiuso tra la necessità di alleggerire la pressione migratoria (Fernandez Candial, 2022) ed il fabbisogno energetico. Le scelte di Madrid hanno così dato fondo ad una nuova crisi regionale, provocando ricadute profonde nei rapporti economici e di sicurezza tra Madrid ed Algeri. Di fronte al previsto sostegno europeo per gestire questo blocco dell'Algeria, la Spagna ha scoperto che gli Stati membri dell'Unione hanno dichiarato che si tratta di un problema bilaterale e non comune. Una chiara posizione di “utilizzo strategico” nei confronti dell'Algeria è stata dimostrata sia dall’Italia (in concorrenza con la Spagna per essere la porta energetica dell'Europa dall'Africa), sia da Francia e Germania (che ha inviato in Algeria dal 12 al 15 giugno il proprio Viceministro degli Esteri intensificare il dialogo politico con funzionari algerini) (Instituto de Seguridad y Cultura, 2022).

Parigi, ormai estromessa del tutto dal Mali, osserva con maggiore attenzione all’affermazione dell'Algeria come attore strategico e diplomatico nel Sahel, diversificando i suoi partner e bramando un posto all'interno dei BRICS (Boniface, 2023). Frutto di una storia ovviamente diversa, i rapporti tra Parigi ed Algeri da tempo subiscono il generale arretramento che la Francia sta vivendo nella totalità del continente africano. La fine delle operazioni militari in Mali ed il ruolo svolto dal gruppo Wagner, portano Parigi ad osservare con particolare attenzione i rapporti che Algeri mantiene con Mosca.

La ristrutturazione delle Forze Armate algerine

La ricerca della leadership regionale e le dinamiche sopra citate, portano in evidenza l’imprescindibile processo di ammodernamento, tanto dottrinale quanto qualitativo, che dagli inizi del 2000 sta caratterizzando le Forze Armate algerine. Lo sviluppo militare, condotto attraverso una ridefinizione pragmatica dell’atteggiamento diplomatico, vede la compartecipazione nei settori dell’industria della difesa di attori tra loro eterogeni, dall’Italia agli Stati Uniti, dalla Federazione Russa fino alla Repubblica Popolare Cinese. Ciò, agendo sulle capacità di cooperazione e deterrenza, ha traslato gli assetti militari dal contrasto alla guerriglia interna degli anni ‘90 fino alla proiezione nei delicati contesti che la circondano, Mali e Libia in primis (Francis Ghilès, 2014). Non deve essere trascurato come Algeri, così come dichiarato dal generale francese Philippe Moralès, grazie all’impiego di assetti navali e missilistici di fabbricazione russa e cinese, possiede oggi le capacità per costituire “una vera e propria bolla di negazione d’accesso -in dottrina statunitense definite Anti-Access/Area Denial (A2/AD) - nello Stretto di Gibilterra e fino al sud della Spagna, in una logica di ‘negazione’ del Mediterraneo occidentale (Lagneau, 2022)”.

Nell’attuale dottrina militare statunitense, “tale strategia si riferisce all’approccio che i potenziali avversari intendono attuare per negare o, almeno limitare, l'influenza degli Stati Uniti e la sua capacità di proiezione della potenza militare. Il dibattito sulla antiaccess warfare è stato dominato dall'acronimo A2/AD, che sta per Anti-Access/Area-Denial. Tuttavia, sin dalla sua origine, il termine è stato usato più come aggettivo per descrivere i tipi di sistemi d'arma e retidifensive usati in una campagna antiaccess, piuttosto che per riferirsi alla strategia sottostante.La creazione del termine A2/AD va ricercata nel documento “Meeting the Anti-Access and Area-Denial Challenge”, redatto dal think tank Center for Strategic and Budgetary Assessments (CSBA) nel 2003 (Lesti, 2021)”.

Tale possibilità, unita al peso che il Paese riveste nelle ormai essenziali dinamiche energetiche continentali, rende Algeri dotata di un vasto potenziale in termini di influenza, pressione e coercizione, cosa dimostrata dall’atteggiamento sempre più determinato con cui lo Stato algerino ha congelato, a causa di alterne vicende, le proprie relazioni diplomatiche con Madrid e Parigi e con cui innalza la tensione con il Marocco. Di fatti, dal 2006 l’Algeria promuove una politica di modernizzazione del suo esercito, come dimostrato dalla consistente quota del PIL che oggi destina allo sforzo di difesa, fino al 6,5%, ovvero più di 10 miliardi di euro (Ferrara et Michel-Kleisbauer, 2022). Ciò segna ancora di più il netto distacco con il passato se osservato con lo stato in cui si presentavano le Forze Armate agli inizi degli anni ’90. Difatti, all’insorgere delle prime avvisaglie della guerra civile, l’esercito fu chiamato a condurre una guerriglia per la quale era mal preparato e mal equipaggiato. Inoltre, il quasi-embargo imposto dagli Stati europei e dagli USA, uniti alla quasi bancarotta finanze del paese, costrinsero l’ANP (Armée Nationale Populaire – Esercito Nazional Popolare) a condurre le ostilità con assetti militari di fabbricazione sovietica, molti dei quali fuori dai cicli logistici e prodotti in gran parte tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80 (Zoubir, 2007).

Sempre nel 2006, grazie anche alle nuove aperture diplomatiche, l’Algeria riusciva a rinegoziare il proprio debito di 7,5 mila milioni di dollari con la Russia. All’interno di questa azione vi era la cancellazione del debito attraverso l’acquisto di armi russe per un totale di 4,7 miliardi di dollari, un’azione che portò Algeri a dotarsi di “40 aerei Mig-29 e 25 Soukhoi, 16 velivoli da addestramento Yak-130, 40 carri armati e 8 sistemi missilistici S-300 (Zoubir, 2007)”.

A sottolineare il nuovo corso della difesa algerina fu il definitivo collasso statuario della Libia. Difatti, così come affermato nei paragrafi precedenti, la relativa stabilità che caratterizzava l’Algeria, fu osservata da molti analisti ed esperti militari come utile ai fini della stabilizzazione della regione. Nel 2014, il generale italiano Carlo Jean, ex consigliere militare del Quirinale, aveva suggerito che al fine di intervenire in Libia dovesse essere necessario costituire una forza capace di includere le forze terrestri egiziane e algerine. Questo al fine di stabilizzare rispettivamente l’est e l’ovest di un paese caduto vittima della frammentazione tribale (Ghilès, 2014). Tuttavia, come osservato da molti analisti, seppur questa declinazione strategica si basasse sul livello qualitativo che caratterizzava le Forze Armate algerine, non finì mai per entusiasmare o affascinare i vertici politici e militari di Algeri.

Il paese ha quindi continuato per tutto il decennio passato una politica di riarmo. I maggiori traguardi si sono ottenuti in campo navale, ove lo sviluppo delle capacità e della deterrenza è particolarmente significativo. Nel 2014 l’Algeria aveva commissionato ai Fincantieri il Kalaat Beni-Abbes, una porta elicotteri classe San Giorgio. Nel 2022, il rapporto di informazione depositato all’Assemblea Nazionale Francese dai deputati Ferrara e Michel-Kleisbauer ha reso noto quanto dichiarato nell’autunno dello stesso anno dall’Ammiraglio Pierre Vandier, Capo di Stato Maggiore della Marina. Il militare ha dichiarato che “l’Algeria sta costruendo due portaelicotteri d'assalto. Presto possiederà dieci fregate e quindici corvette. Inoltre, ha appena acquistato dalla Russia altri quattro sottomarini, in grado di lanciare missili navalizzati da crociera”.

L'ammodernamento delle capacità ha permesso in particolare di istituire:

– capacità offensive offshore, in particolare con le forze navali concentrate a Mars El Kébir;

– capacità di deep strike, anche in Europa, con i suoi sei sottomarini Kilo equipaggiati con missili SS-N30 di tipo Kalibr e i suoi caccia Su30MKA e Mig 25 PDA;

– capacità di tiro attacco balistico, con lo Short-Range Balistic Missile (SRBM) SS26 Iskander;

– sviluppare capacità di A2/AD nel Mediterraneo occidentale, attraverso un sistema di Integrated Air Defence System (IADS) da S-300 e presto S-400 e sistemi radar avanzati (in particolare di tipo Rezonans), jamming e guerra elettronica.

Dando fondo a quanto riportato dal documento francese, la portata di questo riarmo, in particolare per quanto riguarda i vincoli economici che l’Algeria sta vivendo, solleva interrogativi sugli obiettivi perseguiti dalle autorità algerine. Tuttavia, “secondo diversi intervistati, l’Algeria non ha alcun desiderio di proiettare il potere in questa fase. Questo massiccio riarmo obbedirebbe quindi a scopi principalmente dissuasivi: segnale strategico nei confronti del rivale marocchino; protezione del territorio, in un contesto di forti preoccupazioni per la sicurezza ai suoi confini (Mali e Libia); conservazione del prestigio dell'esercito e illustrazione della sua influenza sul potere politico (Ferrara et Michel-Kleisbauer, 2022)”.

Come segnalato dal rapporto informativo francese, “il partenariato dell’Algeria con la Russia è motivo di preoccupazione, soprattutto nel contesto della costituzione del gruppo Wagner nel Sahel (Ferrara et Michel-Kleisbauer, 2022)”. La Russia è quindi di gran lunga il principale fornitore dell'Algeria: fornendo il 67% del fabbisogno di attrezzature militari dell'Algeria le preoccupazioni che circondano queste relazioni sono da ravvisarsi nell’atteggiamento con cui Mosca continua a garantirsi la penetrazione in Africa. Inoltre, a seguito dell’Invasione dell’Ucraina e delle difficoltà militari che il Cremlino sta vivendo, Algeri potrebbe essere usata per aumentare la pressione sull’Europa. Difatti, nel recente passato, i due Stati hanno avuto modo di intensificare la cooperazione operativa, con un primo addestramento congiunto delle forze di terra russe e algerine, avvenuto nell'ottobre 2021 (Ferrara et Michel-Kleisbauer, 2022).

Il Piano Mattei e il ruolo dell’Algeria

Sviluppare scenari previsionali sulle prospettive securitarie, tanto interne quanto regionali, che fanno capo ad Algeri dovrebbe stimolare nel vertice politico-strategico italiano l’introduzione di quell'approccio whole of governance richiamato nel corso dell'analisi. Questo deve essere teso a mitigare non solo fenomeni che direttamente incidono sul nostro interesse nazionale, ma anche lo sviluppo di azioni di influenza, pressione e coercizione che Mosca e Pechino, in forza del peso che rivestono nelle dinamiche del Paese nordafricano, potrebbero condurre.

In tale ottica, l’audizione nel febbraio del 2023 del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, amm. sq. Enrico Credendino sulle linee programmatiche della Marina Militare come cluster fondamentale del settore marittimo e sul ruolo della nostra Marina nel sistema Paese, delinea anzitutto la situazione militare nel Mediterraneo sottolineando l’importanza crescente delle Zone Economiche Esclusive. A questo se ne connette la continua necessità di accrescere le capacità degli assetti navali. Lo strumento marittimo e quindi l’importanza di potenziare il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo diventano abilitanti per garantire la deterrenza, salvaguardare la sicurezza marittima e proiettare capacità. Dunque, l'intervento del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare evidenzia l'importanza che il Mediterraneo e le sue dinamiche geopolitiche rivestono per la nostra politica di sicurezza nazionale.

Proprio per questo, è in tale ottica che il nostro Paese, già dagli inizi del 2022, cerca instancabilmente di riscrivere la propria politica energetica ed il ruolo nel Mediterraneo. Il percorso già avviato da Mario Draghi, ed oggi ribattezzato dal Governo Meloni come ‘Piano Mattei’, dovrebbe stimolare la collaborazione dell’Italia con tutti gli Stati del Mediterraneo, dall’Algeria all’Egitto, da Cipro ad Israele. L’aumento del peso specifico di Roma nella regione fungerebbe da contraltare delle politiche securitarie ed energetiche sviluppate da Ankara. Sempre in tale ottica, l’audizione citata in precedenza del Capo di Stato Maggiore della Marina, riprende più volte l'espansione in termini quantitativi e qualitativi che la Marina Militare e più in generale le Forze Armate turche stanno vivendo. Se è vero che Ankara, a livello simbolico, è il primo competitor di Roma, è pur vero che lo sforzo analitico porta a chiedersi quanto questa crescita possa essere economicamente sostenibile.

Dunque, devono essere tre i punti essenziali all’interno della politica estera italiana, ed in questo l’Algeria può costituire la base di rapporti stabili e duraturi con l’intera regione. Essi sono il dinamismo della politica energetica, il contenimento di politiche di contro-influenza e da ultimo la sostituzione ad attori regionali da tempo in aperta competizione con Roma. In conclusione, con particolare riguardo al quadrante appena analizzato, se il governo italiano sarà capace di rafforzare in modo credibile, sostenibile e duraturo il proprio partenariato strategico con l’Algeria, allora potrà pensare di contenere le politiche di altri attori statali e da ultimo di proiettare la propria influenza fino al golfo di Guinea, rafforzando il proprio ruolo in un’area vitale per la sicurezza italiana ed europea, il Sahel.

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