Are they queer enough? Contesti di accoglienza nell’asilo LGBTQ+

  Focus - Allegati
  02 ottobre 2022
  22 minuti, 17 secondi

A cura di Claudia Di Gangi, Junior Policy Analyst

Are they queer enough?
Contesti di accoglienza nell'asilo LGBTQ+

In questo paper parleremo dell’accoglienza e della procedura di asilo dei migranti queer in Europa. L’argomento riveste una particolare importanza perché si trova all’intersezione tra due tematiche fondamentali: il fenomeno migratorio diretto verso l’Europa e i diritti delle persone queer.

Nella prima sezione analizzeremo il framework legale che disciplina il riconoscimento della protezione internazionale ai migranti queer. Evidenzieremo come, sebbene teoricamente molto sofisticato, il sistema presenta numerose ambiguità e zone d’ombra in riferimento ai richiedenti queer.

Proseguiremo poi con una sezione in cui illustreremo degli esempi di buone pratiche in tema di accoglienza dei richiedenti queer. Gli esempi saranno tratti da casi di associazionismo di successo nell’aiutare i migranti durante il loro percorso.

Infine, dedicheremo la terza parte a delle proposte concrete per tutelare maggiormente i diritti dei richiedenti queer e supportarli in tutto il loro percorso, dall’arrivo alla valutazione della domanda di protezione internazionale.

DI COSA PARLEREMO IN BREVE?

  1. ESSERE UN MIGRANTE QUEER
    1. La legislazione internazionale in materia di diritto d’asilo
    2. Asilo e diritti queer in Europa
    3. Alcuni dei limiti delle normative attuali

1.3.a I limiti della normativa europea

1.3.b Il caso dei richiedenti asilo bisessuali

2. BUONE PRATICHE

  1. L’importanza dell’associazionismo
  2. Due esempi positivi: associazione MigraBò Bologna e associazione Quore Torino

3. COME MIGLIORARE L’ACCOGLIENZA DI RIFUGIATI QUEER

3.1 Migliorare il percorso di accoglienza e supporto di richiedenti asilo queer

3.2 Migliorare la legislazione italiana in tema di diritti LGBTQI+

3.3 Favorire l’associazionismo

  1. ESSERE UN MIGRANTE QUEER

In letteratura ci sono due interpretazioni quando si parla di “migrazione queer”, una più ristretta e una più ampia. La prima prevede che tra i migranti queer vengano annoverati solo coloro che fuggono dal loro paese per aver subìto persecuzioni, discriminazioni, violenze o aver incontrato seri ostacoli al perseguimento dei propri obiettivi di vita. Per altri, ed è questa l’interpretazione che sposiamo in questo lavoro, migrazione queer riguarda più generalmente tutte le persone queer che per vari motivi, non necessariamente legati alla loro identità di genere o orientamento sessuale, lasciano il proprio paese.

Il termine queer verrà utilizzato come una “definizione ombrello”, sia per comprendere le varie identificazioni di genere che di orientamento sessuale, che per non utilizzare una categorizzazione prettamente occidentale che non rispecchia il modo in cui si pensa al genere e alla sessualità in altre parti del mondo.

Questo lavoro è dedicato alla tematica dei migranti queer perché è importante fare luce sulle difficoltà che questo gruppo incontra oggigiorno. Infatti, i migranti queer rappresentano una minoranza all’interno dei loro paesi d’origine, spesso perseguitata e criminalizzata, e una minoranza al quadrato nei paesi di destinazione, vivendo così un “doppio stigma”, sia come stranieri tra i nativi del luogo, e come minoranza sessuale tra i propri connazionali all’estero.

1.1 LA LEGISLAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI DIRITTO D’ASILO

Per tracciare l’origine della contemporanea legislazione in materia di diritto d’asilo, si deve risalire alla Convenzione di Ginevra del 1951. La Convenzione, frutto del complicato periodo storico post-bellico, definiva il rifugiato come “colui che si trova nel giustificato timore di essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche”.

Sebbene in tale definizione tra le ragioni di persecuzione non siano esplicitamente menzionate quelle dovute all’orientamento sessuale o all’identità di genere, queste generalmente vengono fatte rientrare nella categoria di “appartenenza a un determinato gruppo sociale”. Naturalmente, i membri delle minoranze sessuali possono anche richiedere asilo sulle basi di una delle altre categorie protette.

Le persone queer rientrano nella definizione di determinato gruppo sociale per due precondizioni. La prima è che i membri di un gruppo condividono un’innata caratteristica, o un background comune che non può essere cambiato, o un’identità alla quale la persona non dovrebbe essere costretta a rinunciare. La seconda è che il gruppo ha un’identità distinta nel paese in cui si trova, perché è percepito diverso dalla società circostante. In Germania, ad esempio, il fatto che l’orientamento sessuale sia irreversibile, e quindi paragonabile alla razza o alla nazionalità come base per richiedere l’asilo è stato riconosciuto dalla Corte Amministrativa Federale già nel 1988.

Nel 2008, l’UNHCR pubblica le sue linee guida ufficiali su richieste relative all’orientamento sessuale e all’identità di genere, dimostrando un crescente interesse nel trattamento di rifugiati e richiedenti asilo queer. Grazie a questi sviluppi, anche in Unione Europea, l’orientamento sessuale viene riconosciuto come causa di persecuzione nell’articolo 10 della Direttiva Qualifiche per l’asilo dell’UE, elaborata poi nella Direttiva Qualifiche del 2011.

A livello internazionale, un altro momento di riflessione giuridica sulla questione è rappresentato dalla pubblicazione dei Principi di Yogyakarta nel 2007, ovvero i principi sull’applicazione del diritto internazionale in materia di diritti umani in relazione all’orientamento sessuale e l’identità di genere. I principi sono stati adottati da un gruppo di specialisti nel settore dei diritti umani e riflettono principi consolidati nel diritto internazionale, tuttavia non sono vincolanti legalmente.

L’articolo 23 dei Principi è dedicato al diritto a richiedere asilo per fuggire dalle persecuzioni, incluse quelle legate all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Gli stati hanno il compito di rivedere la legislazione in modo che un fondato timore di persecuzione sostanziato da motivi SOGI (Sexual Orientation and Gender Identity) sia accettato per il riconoscimento dello status di rifugiato e l’asilo. Gli stati dovrebbero altresì assicurarsi che nessuna pratica discriminatoria avvenga sulla base di orientamento sessuale o identità di genere, e assicurarsi che nessuna persona sia rimossa o estradata in uno Stato dove potrebbe affrontare un timore fondato di tortura o persecuzione.

1.2 ASILO E DIRITTI QUEER IN EUROPA

Negli ultimi tre decenni, l’Unione Europea, in parallelo con il Concilio d’Europa, ha contribuito a dar forma alle pratiche d’asilo sul continente e oggi ha una politica d’asilo ben sviluppata. Oltre la Convenzione di Ginevra, alcune delle principali Direttive in materia d’asilo vennero sviluppate negli anni 2000. Nella Direttiva Qualifiche del 2004 si riconosceva che, ai fini di richiedere protezione internazionale, un “particolare gruppo sociale”, come menzionato nella Convenzione di Ginevra, poteva essere costituito sulla base dell’orientamento sessuale.

Le attuali direttive d’asilo europee contengono pochi riferimenti diretti ai casi SOGI. Alcune eccezioni riguardano la Direttiva Qualifiche del 2011, in cui non solo l’orientamento sessuale, già menzionato nella Direttiva Qualifiche del 2004, ma anche l’identità di genere può costituire una base per un “particolare gruppo sociale”.

La Direttiva Qualifiche del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 riporta delle ulteriori norme sull’attribuzione della Protezione Internazionale. Lo scopo principale della direttiva è quello di assicurare l’applicazione di criteri comuni da parte degli Stati membri per l’identificazione delle persone bisognose di protezione internazionale.

La Direttiva evidenzia la necessità di “introdurre una definizione comune del motivo di persecuzione costituito dall’ “appartenenza ad un determinato gruppo sociale”, invitando a tenere conto degli aspetti connessi all’identità di genere e l’orientamento sessuale del richiedente, e cita alcune determinate tradizioni giuridiche e consuetudini, quali le mutilazioni genitali o la sterilizzazione forzata, come correlate al timore fondato del richiedente di subire persecuzioni. In particolare, nell’articolo 9, la Direttiva recita che in funzione delle circostanze del paese d’origine, un particolare gruppo sociale può essere definito tramite la caratteristica comune dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.

Nel 2016, l’Unione Europea, tramite il Consiglio di Ricerca Europeo, ha commissionato all’Università di Sussex un progetto di ricerca chiamato SOGICA per esplorare le esperienze sociali e legali di coloro che richiedono asilo per motivi di orientamento sessuale e identità di genere. Il progetto SOGICA si è concluso nel 2020 con la pubblicazione delle raccomandazioni indirizzate all’Unione Europea, alla Germania, all’Italia e al Regno Unito su come migliorare il framework legislativo nazionale ed europeo per trattare le richieste SOGI e favorire l’integrazione nel paese.

Il progetto ha rilevato che gli individui LBGTQI+ sono svantaggiati in modi specifici del progetto d’asilo e sono oggetto di ostilità e marginalizzazione nella società a causa di diversi fattori.

Sebbene la normativa europea in materia di asilo sia molto comprensiva, resta molto da fare soprattutto in relazione ai diritti dei migranti queer. Nella prossima sezione analizzeremo alcuni dei limiti delle normative relative ai richiedenti asilo SOGI.

1.3 ALCUNI LIMITI DELLE NORMATIVE ATTUALI

1.3.A I LIMITI DELLA NORMATIVA EUROPEA

Dal punto di vista dei diritti per i richiedenti asilo SOGI, l’Unione Europea si trova in una posizione ambigua: se da un lato si presenta come una terra di libertà e tutela per tutte le persone queer, dall’altro le norme per la richiesta d’asilo, in particolare per richiedenti asilo SOGI, sono diventate sempre più complesse e restrittive. Alcuni autori sostengono che l’Occidente sventoli il motto “save the queers” più come un mantra che come un indirizzo di azione attuale, altri che le persone queer vengano trattate come dei “trofei”, pur dovendo affrontare un complicato processo di richiesta d’asilo.

Tra gli ostacoli al riconoscimento dello status di rifugiato ai richiedenti queer fino a qualche anno fa possiamo annoverare il concetto di “discrezionalità”. Come abbiamo menzionato, il richiedente deve dimostrare un timore fondato di essere perseguitato. Allo stesso tempo, una serie di stati europei ritenevano che i richiedenti asilo queer dovessero esercitare discrezione riguardo il loro orientamento sessuale nel paese d’origine in modo da evitare persecuzioni, trascurando due elementi. Il primo è che la discrezione così esercitata sarebbe stata il risultato di forze sociali oppressive, e non di libero arbitrio, e il secondo che la sessualità verrebbe quindi ridotta alla pratica sessuale, che si può scegliere di praticare o meno. Di conseguenza, ai richiedenti non veniva richiesta “discrezione” quanto “occultamento” (concealement).

Dal 2013, il requisito della discrezione è stato abolito in seguito ad una decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Molti stati hanno quindi sostituito l’argomento della discrezione con quello dello “scettiscismo” (disbelief), contestando in tal modo la veridicità della dichiarazione di identità di genere o orientamento sessuale. In alcuni paesi sono state adottate misure estreme, come l’utilizzo in Repubblica Ceca di un test fallometrico per testare la reazione dei richiedenti a delle immagini mostrate; in generale negli altri paesi europei si tende a testare il claim del richiedente in relazione ai concetti di identità LGBTQ consumeristici occidentali. Ad esempio, ad alcuni richiedenti asilo queer nel Regno Unito veniva chiesto se conoscessero la scena commerciale gay a Londra, aspettandosi che un richiedente una volta fuori dal suo paese si inserisca nelle abitudini di vivere la sessualità e l’identità di genere “all’occidentale”.

Anche dopo l’esito della richiesta d’asilo e l’eventuale riconoscimento della protezione internazionale, i richiedenti queer incontrano maggiori difficoltà. Nel caso della riunificazione familiare, i richiedenti asilo SOGI incontrano maggiori ostacoli nel dimostrare l’esistenza di una lunga e comprovata relazione, tenendo conto che molto probabilmente era stata tenuta in segreto nel paese d’origine.

1.3.B IL CASO DEI RICHIEDENTI ASILO BISESSUALI

Tra i richiedenti asilo queer, i richiedenti bisessuali vivono particolari difficoltà legate al loro orientamento sessuale e alla difficoltà di definirlo secondo le categorie utilizzate per concepire l’orientamento sessuale, specialmente quella di “immutabilità” e di “visibilità”.

I richiedenti asilo che avanzano richieste legate all’orientamento sessuale rientrano in tre categorie: opinione politica, religione e più frequentemente, appartenenza ad un gruppo particolare. Alcuni autori sostengono che i richiedenti asilo bisessuali detengono una posizione precaria con riferimento alla terza motivazione.

Generalmente, si tende a pensare alle definizioni sia di orientamento sessuale che di appartenenza ad un gruppo particolare con un’enfasi sull’immutabilità. Tuttavia, la fluidità che caratterizza l’orientamento bisessuale è in contrasto con queste ipotesi immobiliste. La bisessualità è agli antipodi con la convinzione dominante di un’identità sessuale fissa e l’idea di una corrispondenza definita tra comportamento e identificazione.

Un altro problema che caratterizza questo gruppo è quello della “visibilità”. In molte giurisdizioni in materia d’asilo, la visibilità è un criterio essenziale per la definizione di un particolare gruppo sociale. Spesso, per i richiedenti asilo bisessuali è difficile provare la loro “visibilità” e “distintività” come gruppo sociale; alcuni possono essere stati sposati, avere dei figli o trovarsi in paesi poco sensibili all’orientamento bisessuale. Questo rappresenta un problema in particolare per le donne; spesso maggiormente vittime di obblighi e aspettative sociali legate al loro genere quali il matrimonio, la riproduzione, le responsabilità domestiche.

In ragione della fluidità della bisessualità, che spesso implica traiettorie di vita non lineari, i richiedenti asilo bisessuali incontrano difficoltà nel fornire le prove necessarie durante l’intervista per la procedura di asilo. Le ricerche suggeriscono che molti di essi adottano strategie proattive per anticipare queste difficoltà, come ad esempio, rendere pubblico il loro orientamento attraverso i social media, o cercare forme di supporto associativo (Klesse 2021, 120).

Un ulteriore elemento a sfavore dei richiedenti bisessuali riguarda il loro motivato timore di persecuzione. Il criterio della discrezionalità, menzionato nella sezione precedente, sfavorisce in particolar modo i richiedenti bisessuali, perché si ritiene che possano arbitrariamente scegliere di evitare delle relazioni omosessuali.

La concettualizzazione dell’identità in termini di desiderio sessuale statico e lineare è un costrutto occidentale, ed è necessario per la validazione delle narrative dei richiedenti asilo queer in termini legali.

2. BUONE PRATICHE

2.1 L’IMPORTANZA DELL’ASSOCIAZIONISMO

In questa sezione ci occuperemo del supporto che le associazioni forniscono ai migranti queer durante il percorso di presentazione della domanda, e presenteremo poi due casi di successo della realtà italiana, le associazioni MigraBò di Bologna e Quore di Torino.

Nella prima parte, non ci occuperemo solamente della funzione sociale delle associazioni come vettori di socializzazione e partecipazione, ma attingeremo da ricerche che mostrano come il supporto di associazioni LGBTIQ+ abbia un significativo impatto sull’esito della domanda di protezione internazionale del richiedente queer.

Uno dei modi in cui le associazioni LGBTIQ+ forniscono supporto ai richiedenti asilo è attraverso l’assistenza legale e pratica durante il processo di richiesta, e soprattutto prima dell’intervista. La ricerca effettuata si basa sui dati e le esperienze raccolte dal progetto SOGICA che abbiamo già menzionato. Tra alcuni degli intervistati, molti richiedenti queer riferiscono di non aver accennato alle loro motivazioni SOGI durante l’intervista, indebolendo quindi la loro richiesta, mentre coloro che l’hanno fatto riferiscono di essere stati supportati da gruppi LGBTIQ+.

I volontari delle associazioni possono anche informare le autorità della natura SOGI della richiesta e ottenere condizioni più favorevoli, come un interprete sensibile alle istanze SOGI. In Germania, è possibile richiedere che l’intervista venga condotta da un funzionario specializzato in richieste SOGI, ma anche questa è una possibilità sconosciuta alla maggior parte dei richiedenti, al contrario di quelli supportati da gruppi LGBTIQ+.

In tutti e tre i casi studio analizzati dal progetto SOGICA, Italia, Germania e Regno Unito, i funzionari chiedono spesso “prova” che il richiedente sia LGBTIQ+, e che conduca uno stile di vita apertamente gay. Alcune delle prove possono includere: partecipazione ai pride, essere membri di associazioni LGBTIQ+ e interagire con la comunità LGBTIQ+.

Condurre questo stile di vita può essere complicato per i richiedenti, che possono non avere la disponibilità economica per spostarsi e partecipare ad eventi e possono, inoltre, conservare delle reticenze a mostrare apertamente la propria sessualità, provenendo da contesti in cui era fortemente criminalizzata e perseguitata. Il ruolo delle associazioni in questo caso è quello di fornire delle dichiarazioni di supporto, e in Italia forniscono anche tessere di iscrizione, che vengono presentate come prove durante le audizioni.

Non sempre la dichiarazione dell’associazione è accettata tra le prove valide, ma è indubbio che il supporto fornito nel districare le complessità della burocrazia sia indispensabile. Il lavoro svolto da questi gruppi è vasto e complesso: dalla preparazione all’intervista, all’aiuto nel trovare un legale esperto in richieste SOGI, alla raccolta di prove.

Non tutti i richiedenti possono però accedere ai servizi dei gruppi LGBTIQ+ in uguale misura; i richiedenti che vengono destinati a zone rurali e periferiche hanno difficoltà sia a vivere ed esprimere la loro identità liberamente, sia ad avere accesso al supporto e alla socializzazione che queste realtà forniscono.

In Italia, le associazioni di supporto a richiedenti asilo queer sono ancora una realtà embrionale. Nei prossimi paragrafi illustreremo il lavoro di due di queste, attive nel territorio di Bologna e di Torino.

L’associazione MigraBò nasce a Bologna nel 2012 con lo scopo di aiutare i richiedenti asilo queer a navigare il complicato mondo della richiesta d’asilo e fornire supporto e assistenza per le richieste SOGI. Lo scopo dell’associazione non si ferma qui: il loro obiettivo è anche aiutare nel processo di integrazione e di lavorare sui temi LGBTIQ+ connessi alle seconde generazioni in Italia. Il lavoro dell’associazione viene condotto a titolo gratuito garantendo il completo anonimato del richiedente.

L’associazione Quore nasce invece qualche anno prima, nel 2007, a Torino e si occupa di un vasto panorama di attività legate alla comunità LGBTQI+, tra cui la messa a disposizione di alloggi per persone LGBTIQ+ in estrema difficoltà, l’organizzazione del Pride di Torino, la creazione di alloggi in Piemonte che siano aperti al turismo LGBTIQ+, e naturalmente, il supporto ai richiedenti asilo queer.

Attraverso il progetto R.A.R..O (richiedenti asilo rifugiati omosessuali), l’associazione si occupa di formazione, informazione e counseling, e offre persino soluzioni abitative protette.

Un’ulteriore realtà italiana che si occupa di accoglienza dei richiedenti asilo queer è la Cooperativa Sociale Caleidos, con sede a Modena e operante in tutta l’Emilia, è un’associazione che gestisce diversi servizi nel sociale, dal campo delle dipendenze alla protezione degli animali, ed è la prima in Italia a gestire dei centri d’accoglienza LGBTIQ+-friendly in collaborazione con Arcigay Modena.

Come è possibile osservare, non mancano in Italia dei progetti volti a tutelare il benessere mentale e fisico dei richiedenti asilo queer e ad accompagnarli durante il loro percorso di presentazione della domanda. Queste possibilità rimangono tuttavia limitate su base territoriale ed organizzate in maniera spontanea e volontaria. Servirebbe perciò, come suggeriremo nella prossima sezione, una maggiore distribuzione territoriale delle associazioni LGBTIQ+ per garantire a tutti i migranti la possibilità di accedere ad un simile livello di supporto e, quindi, simili chance di successo nella valutazione della domanda.

3.COME MIGLIORARE L’ACCOGLIENZA DI RIFUGIATI QUEER

Si può migliorare il percorso di accoglienza e supporto di richiedenti asilo queer attraverso;

  1. 1. Informazione. Quando i richiedenti asilo compilano il modulo C3, il modulo di richiesta della protezione internazionale, possono già indicare il motivo per cui hanno lasciato il proprio paese e l’appartenenza a determinate organizzazioni politiche, sociali e religiose.
  • Molti di loro non sanno che se hanno subìto persecuzioni per via di orientamento sessuale o identità di genere possono qualificarsi per la protezione internazionale. In molti paesi d’origine dei migranti, l’omosessualità è criminalizzata, condannata dalla religione o considerata non esistente. Una volta arrivati in Italia, temono ancora per la propria sicurezza e tendono a nascondere la propria identità di genere o orientamento sessuale.
  • Per altri, il problema può essere di concettualizzazione: se provengono da aree rurali e con un basso livello di istruzione, è possibile che non abbiano dei termini conformi alla mentalità occidentale per esprimere il loro orientamento sessuale, le loro esperienze sessuali o la loro identità di genere.
  • Sarebbe quindi importante fornire un’informazione più comprensiva ai richiedenti in procinto di presentare domanda d’asilo. La circolazione di volantini informativi in diverse lingue è sicuramente utile, ma non può raggiungere tutti, poiché non si può assumere un uguale grado di alfabetizzazione da parte dei richiedenti. Prima della compilazione del modulo C3, si dovrebbero tenere dei momenti informativi di gruppo, in cui vengono illustrate chiaramente le caratteristiche della protezione internazionale e i requisiti per qualificarsi con una particolare attenzione alle persecuzioni dovute al proprio SOGI.
  1. 2. Supporto psicologico e attenzione alle soluzioni abitative. Nell’attesa dell’udienza e nelle fasi successive, il richiedente asilo resta in attesa e vive in centri d’accoglienza o in affollate abitazioni private, con poca o nessuna privacy. Per i richiedenti asilo queer, questa convivenza forzata può rappresentare una prosecuzione delle persecuzioni vissute nel paese d’origine. Come accennato inizialmente, i richiedenti asilo queer subiscono un doppio stigma; si trovano come stranieri in un paese estero e una minoranza, spesso incompresa, all’interno della propria diaspora. Nei centri d’accoglienza i richiedenti queer sono stati spesso oggetto di violenze fisiche e verbali per mano dei loro connazionali. Alcuni, per evitare questa situazione, continuano a nascondere la propria identità di genere o orientamento sessuale, a volte anche sotto consiglio degli psicologi consultati.

Per tale ragione, bisognerebbe incrementare il supporto psicologico offerto ai richiedenti asilo durante l’attesa, offrire loro uno spazio sicuro dove potersi esprimere, e nel caso di difficoltà o discriminazioni, offrire una soluzione abitativa adatta.

Nel Regno Unito già da tempo sono presenti abitazioni per richiedenti asilo queer, mentre in Italia e in Germania sono state sviluppate a partire dall’ondata migratoria del 2015. Per alcuni richiedenti, solo il trasferimento nell’abitazione protetta ha messo fine alle violenze e alle pressioni psicologiche subite.

Attualmente, in Italia, le case per richiedenti asilo queer sono localizzate soprattutto in zone urbanizzate e concentrate nel nord Italia, mentre coloro che vengono destinati in zone rurali e periferiche vivono una situazione di isolamento ed emarginazione. Per ovviare a questa problematica, sarebbe necessario istituire una rete capillare di abitazioni sicure per i richiedenti queer su tutto il territorio nazionale, in modo da garantire a tutti gli stessi diritti.

  1. 3. Tecniche d’intervista. L’intervista è il momento decisivo della valutazione della richiesta del richiedente ed è un momento che può presentare diverse criticità. La presenza di un intervistatore e interprete di genere diverso può essere considerata come minacciosa e rendere poco incline all’apertura del richiedente. Sebbene sia possibile selezionare una preferenza per il genere dell’interprete, non tutti i richiedenti sono al corrente di questa possibilità, che dipende comunque da esigenze organizzative. Questa proposta si trova in linea con la raccomandazione n° 10 redatta dal progetto SOGICA e destinata all’Italia: “promuovere una cultura basata sull’empatia”. Attraverso tale proposta, si raccomanda a tutti i lavoratori, funzionari, interpreti, di adottare la massima empatia nella conduzione dell’intervista e nella valutazione della domanda. Si raccomanda quindi di tenere a mente il diverso retroterra culturale del richiedente e la difficoltà di esprimere in termini conformi agli standard occidentali la propria identità ed orientamento sessuale.

In conclusione, per rendere più equo e umano il trattamento dei richiedenti queer, bisognerebbe potenziare il sistema di accoglienza, dal momento dell’arrivo a quello della valutazione della domanda, attraverso interventi specifici per rispettare le differenze SOGI e maggiori investimenti nel campo delle infrastrutture e della formazione del personale.

2. MIGLIORARE LA LEGISLAZIONE ITALIANA IN TEMA DI DIRITTI LGBTQI+

Il recente affossamento del DDL Zan al Senato italiano dimostra che c’è ancora molta strada da fare in termini di diritti SOGI in Italia. Per creare una società più inclusiva per i migranti queer, è necessario partire da una sensibilizzazione maggiore a livello nazionale sui diritti di tutte le persone queer e creare un ambiente più aperto al dialogo e al confronto. Sebbene il DDL Zan avanzasse proposte moderate, riguardanti tra l’altro la criminalizzazione degli atti di odio dovuti a SOGI e disabilità, e l’introduzione di una giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, il suo iter legislativo è stato fortemente osteggiato in Parlamento e si è poi concluso con un voto contrario al Senato il 27 ottobre 2021. Questo dimostra che l’Italia è ancora spaccata sul tema dei diritti queer, anche i più elementari, e che è necessaria molta sensibilizzazione e istruzione sul tema.

Per la legislatura che si insedierà in seguito alle prossime elezioni, di qualsiasi colore politico essa sia, l’approvazione del DDL Zan o di un disegno di legge simile è un imperativo, per riportare l’Italia al passo con gli altri paesi europei sul tema dei diritti civili.

3. FAVORIRE UNA MAGGIORE DIFFUSIONE DELL’ASSOCIAZIONISMO

Come accennato nella sezione precedente, la presenza di gruppi di supporto LGBTIQ+ intorno ai richiedenti queer può fare una grande differenza, sia sul loro benessere fisico e mentale, sia sulle possibilità di successo della loro domanda.

In Italia tali realtà di supporto sono ancora poche e distribuite inegualmente sul territorio; un migrante che si ritrovi in una zona periferica e rurale avrà sicuramente meno possibilità di accedere ad assistenza psicologica, legale e sociale specifica alle esigenze SOGI. Di seguito elenchiamo alcune proposte concrete per la realizzazione di questo progetto:

  1. Servizi itineranti. Se da un lato è irrealistico pensare di concentrare le abitazioni dei richiedenti asilo in zone altamente urbanizzate ed è giusto invece distribuirle equamente sul territorio, è anche necessario concedere le stesse possibilità ad ognuno di essi. Pertanto, si potrebbe attivare un servizio di supporto itinerante tra i vari centri d’accoglienza e residenze per richiedenti, che raccolga le richieste di intervento e fornisca assistenza psicologica e legale attraverso un team di esperti qualificati nelle richieste d’asilo SOGI. In tal modo ci si potrebbe accertare della salute psicologica dei richiedenti, valutare eventuali casi critici e suggerire un possibile trasferimento in strutture maggiormente adatte. Si potrebbe supportare il richiedente nell’iter della domanda d’asilo, dalla presentazione alla preparazione all’audizione principale, fino all’eventuale ricorso.
  2. Digitalizzazione dei servizi. Gli anni della pandemia di COVID-19 hanno insegnamento un’importante lezione che non va trascurata: la digitalizzazione dei servizi e la possibilità di trasferire molte delle attività prima in presenza da remoto. Se per le associazioni è difficile installarsi sul territorio e fornire supporto ai migranti, una soluzione sarebbe quella di attivare dei servizi di counseling online, sia psicologico che legale, per quei richiedenti che non possono essere raggiunti fisicamente. Sappiamo inoltre che un canale di informazione essenziale per i richiedenti asilo queer è quello dei social network, che permettono di creare delle reti di supporto anche a distanza. Sarebbe dunque essenziale che le associazioni offrissero servizi di assistenza in più lingue attraverso i propri canali social e attraverso i network di richiedenti queer nel paese di destinazione.

Come abbiamo mostrato in questo paper, in Italia non mancano buone pratiche nel campo dell’accoglienza ai richiedenti asilo queer, ma resta ancora molto da fare. Attraverso l’approccio combinato che abbiamo suggerito, sia top-down da parte delle istituzioni che bottom-up, da parte della società civile, riteniamo che si possano superare le maggiori criticità relative alla tutela dei diritti dei richiedenti asilo queer e si possa garantire un’equa valutazione della domanda di protezione internazionale.

Bibliografia

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Sitografia

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https://iari.site/2021/06/04/i-richiedenti-asilo-sogi-alla-luce-della-convenzione-di-ginevra-e-la-direttiva-qualifiche/

https://migrabo.it/

https://openmigration.org/analisi/il-doppio-stigma-dei-rifugiati-lgbti/

https://www.caleidos.mo.it/

https://www.quore.org/en/r-a-r-o-lgbtiq-refugee-welcoming/

https://www.sogica.org/it/raccomandazioni-finali/

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