Gli effetti geopolitici Elezioni 2024: India

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  28 marzo 2024
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Abstract

Questa pubblicazione rappresenta la prima di un ciclo di analisi che esplora le implicazioni geopolitiche delle elezioni che si terranno nei prossimi mesi del 2024. A livello globale, più elettori che mai nella storia andranno alle urne. 64 Paesi (più l'Unione Europea), rappresentativi di circa il 49% della popolazione mondiale, sono chiamati ad eleggere i propri rappresentanti. Per introdurre il tema del più importante anno elettorale della storia, si inizierà da un focus sul Paese comunemente definito “la più grande democrazia del mondo”, ovvero l’India, i cui cittadini, tra aprile e giugno, sceglieranno i membri della camera bassa (Lok Sabha) del Parlamento, incaricata della nomina del Primo Ministro.

Author

Pietro Bianchi - Senior Researcher, Mondo Internazionale G.E.O. - Politics

1. La più grande democrazia al mondo?

Piuttosto nota è la formula di “più grande democrazia al mondo” utilizzata da media e capi di Stato in riferimento all’India ogni qualvolta quest’ultima salga alle luci della ribalta internazionale. Se con democrazia si intende il libero esercizio del voto da parte dei cittadini per scegliere i propri rappresentanti e se si è disposti ad accettare tale definizione da una prospettiva strettamente quantitativa e non qualitativa, allora l’India è certamente la più grande tra tutte le democrazie esistite ed esistenti. Secondo diverse stime, la popolazione del Paese ha recentemente raggiunto e oltrepassato quella della Repubblica Popolare Cinese, superando quota 1.4 miliardi ed attestandosi come la nazione con il maggior numero di abitanti. Circa un miliardo (968 milioni) di questi ultimi saranno chiamati, tra il 19 aprile e l'1 giugno, a prendere parte alle elezioni generali, dando ragione ai promotori della formula menzionata inizialmente e divenuta ormai di uso comune.

Tuttavia, negli ultimi anni sono anche emerse diverse e sempre più numerose voci di dissenso che, in riferimento allo specifico caso indiano, hanno contestato l’assunzione del requisito minimo del voto come unico parametro rilevante per stabilire quale Paese sia o meno democratico. Tale posizione è stata espressa nella convinzione che sia invece necessario considerare il complesso sistema valoriale ed istituzionale che spazia dal rispetto dello stato di diritto, delle libertà civili e di stampa, all’indipendenza della magistratura e ad un efficace sistema di checks and balances, che questa specifica forma di governo comporta. La tesi sempre meno implicita di questo schieramento è che, considerando il punto di vista qualitativo sopra quello quantitativo, l’India non possa più definirsi, almeno pienamente, una democrazia.

Tale contestazione è emersa con maggiore forza contemporaneamente al consolidamento della dicitura de “la più grande democrazia del mondo” dell’ultimo decennio. Ciò non è un caso, né costituisce una contraddizione, ma riflette l’evoluzione del ruolo che la comunità internazionale attribuisce a Nuova Delhi e come quest’ultima ha iniziato a concepirsi nell’arena globale. Sia dall’interno, grazie al rafforzamento del sentimento nazionalista frutto di dieci anni di governo Modi, che dall’esterno, in ragione dell’evidente peso demografico, economico e, potenzialmente, militare collocato nell’ambito di un rinnovato multipolarismo, l’India ha iniziato ad essere intesa come una grande potenza.

Il rafforzamento, percepito, del Paese è stato accompagnato da un indubbio accentramento dei poteri che ha attirato le critiche dei contestatori della nota formula, ormai sempre più orientati a parlare di “democrazia incompleta” o, nei casi più estremi, di “autocrazia”. Parallelamente, il nuovo gigante dell’arena internazionale ha attratto anche gli adulatori, desiderosi di attirare Nuova Delhi dalla propria parte con ogni mezzo, compreso quello retorico. I capi di Stato delle più grandi potenze occidentali capeggiate dagli Stati Uniti hanno scelto di abbracciare la formula al fine di stabilire un punto di contatto e di comunanza, scegliendo di ignorare le significative contraddizioni che l’India ha al suo interno al fine di trovare un alleato prezioso nella grande rivalità di questo inizio di secolo, quella con la Repubblica Popolare Cinese.

2. Stato della democrazia indiana

Prima di condurre un approfondimento sulla principale figura che, con ogni probabilità, sarà protagonista delle prossime elezioni, vale la pena di analizzare brevemente lo stato della democrazia in India. Il risultato del voto dell’aprile-giugno non potrà infatti che essere influenzato dallo stato di salute delle istituzioni nazionali e degli altri organismi, statali e non, che di norma contribuiscono a tutelare il pluralismo nella vita politica di un Paese.

Il noto “Democracy Index” stilato annualmente dall’Economist, classifica Nuova Delhi come una “democrazia imperfetta” (Economist Intelligence Unit, 2023), mentre ulteriori celebri indicatori, come quello elaborato da Freedom House, parlano di “democrazia parzialmente libera” (Freedom House, 2023). Complessivamente, sono diversi gli studi che testimoniano l’arretramento dello stato di diritto indiano, sebbene tali risultati siano stati contestati dal Primo Ministro Narendra Modi che ha quindi annunciato il progetto di un proprio indice di democrazia (Dutta, 2024). I motivi di questo deterioramento sono molteplici.

Il primo fattore degno di nota risale a quasi quattro decenni fa, quando nel 1985 il Parlamento indiano ha approvato la cosiddetta legge anti-defezione. L’intento di quest’ultima era certamente nobile e rispondeva all’impellente necessità di arginare i numerosi scandali di corruzione che affliggevano la classe politica e che portavano a repentini cambi di casacca da un partito all’altro. Si è così stabilito che i parlamentari che avessero sfidato individualmente il loro capogruppo votando in senso opposto rispetto alle linee guida di partito potessero essere rimossi dal loro ruolo nelle rispettive Camere (Constitution of India, 2020). Tuttavia, non solo l’emendamento non ha arginato la corruzione, lasciando ad esempio la possibilità ai parlamentari di prendere accordi per un seggio alle elezioni successive con un altro partito, ma ha anche impedito la formazione di voci indipendenti tra i politici, fornendo un potere spropositato ai capigruppo e rovesciando il controllo esercitato dal ramo legislativo su quello esecutivo. Di fatto le dinamiche parlamentari indiane seguono le stesse che caratterizzano la vita dei partiti del Paese, i quali sono connotati da un forte accentramento dei poteri decisionali attorno a ristretti gruppi di potere che non devono rispondere ad elezioni per la leadership o a concreti meccanismi di consultazione partitica (Verma, 2022).

In secondo luogo, i dieci anni di governo Modi hanno determinato una significativa rotazione, in senso affine all’attuale esecutivo, degli occupanti delle principali cariche della burocrazia statale. La più evidente manifestazione di quest’ultimo fatto è certamente rappresentata dalla legittimazione offerta dalle autorità governative rispetto all’operato delle frange induiste più estremiste, sempre più spesso impegnate in attacchi ed azioni violente ai danni della minoranza musulmana indiana. A titolo di esempio, si riporta la controversa pratica, divenuta celebre negli ultimi mesi, di ricostruire i templi distrutti sui siti delle moschee che ha alimentato una rinnovata spirale di violenze religiosamente motivate. A gennaio, Modi ha inaugurato il nuovo tempio di Ram a Ayodhya, sullo stesso sito dove più di tre decenni fa una folla di radicali hindù rase al suolo una moschea (Ellis-Petersen, Hassan, 2024). A febbraio, sono state riportate decine di vittime negli scontri che hanno accompagnato la demolizione di una scuola coranica nell'Uttarakhand. Ulteriori violenze sono state registrate presso la moschea Gyanvapi, nell’Uttar Pradesh, rivendicata per ospitare le cerimonie induiste (Sharma, Das, 2024). Simili eventi hanno trovato l’approvazione di esponenti delle amministrazioni locali, giudici e capi della polizia che hanno fornito una base legale all’operato dei radicali induisti.

Il quadro che si viene così a definire è quello di un Paese in cui il personale selezionato a tutti i livelli dell’amministrazione statale non si limita ad essere ideologicamente allineato ai vertici dello Stato, il cui consenso attuale è fortemente dipendente dal sostegno della comunità hindù, ma dà anche applicazione pratica, e quindi legale, alla retorica adottata dalla leadership in sede elettorale. Ciò implica l’erosione di due pilastri fondamentali che l’adozione di una forma di governo democratica comporta, ovvero il secolarismo ed il sistema di pesi e contrappesi.

Le lacune così delineate riflettono la situazione di una nazione che ha estremizzato la volontà popolare espressa con il meccanismo del voto, portandola de facto ad una dittatura della maggioranza. Il consenso popolare è così inteso come condizione necessaria e sufficiente per l’attuazione di qualunque politica statale, anche se nociva per la stabilità del regime democratico nel suo complesso. L’odierna maggioranza indiana è resa unita dalla comunanza religiosa, intesa come inevitabilmente contrapposta alle altre formazioni riunite sotto credenze differenti. Il normale funzionamento di uno Stato democratico vede comunque dei meccanismi capaci di tutelare tanto gli sconfitti in sede elettorale, quanto in generale quelle categorie sociali che, per distinzioni di carattere etnico-religioso, vengono definite minoranze. Nel caso dell’India, gli organi preposti ad esercitare tale funzione appaiono sempre meno in grado di svolgere il proprio compito.

In tal senso, risulta particolarmente rilevante l’ingerenza dell’esecutivo rispetto al ramo giudiziario. La magistratura indiana è divenuta progressivamente più remissiva e meno indipendente, dimostrando un certo grado di resistenza nel farsi carico dei casi più controversi che hanno riguardato l’operato del governo, come l’abrogazione dello statuto autonomo del Kashmir e le conseguenti detenzioni ancora in attesa di processo che hanno contribuito al suo isolamento (Yasir, Kumar, 2020), o come i cambiamenti della normativa sui finanziamenti elettorali, che hanno reso i meccanismi di controllo dei contributi più opachi ed i limiti sostanzialmente inesistenti se non per le opposizioni (Agrawal, 2022). Il governo Modi ha adottato diverse strategie atte ad incrinare l’autonomia della magistratura, come il ritardo dei controlli sui precedenti dei giudici nominati, il rallentamento delle raccomandazioni del collegio, e il rifiuto di aumentare il numero di posti di giudice (Khosla, Vaishnav, 2021).

In generale, il predominio dell’esecutivo sul legislativo e sulla magistratura, unitamente all’arretramento di altri pilastri della democrazia come la libertà di stampa, con l’India che si colloca al 150esimo posto a livello globale (World Press Freedom Index, 2023),impongono serie perplessità sulla tenuta delle istituzioni del Paese. Gli elementi sopraelencati, che non costituiscono un elenco esaustivo delle criticità individuate, non possono che produrre significative conseguenze sull’esito del voto imminente che, anche per questo motivo, ha un chiaro favorito, ovvero Narendra Modi.

3. Le prospettive di un terzo mandato

Il Bharatiya Janata Party (BJP), al potere dal 2014, si affaccia alle nuove elezioni con i gradi del favorito e Narendra Modi, leader del raggruppamento, competerà dunque per un terzo mandato. Nel 2019 l’Alleanza Democratica Nazionale (NDA) guidata dal BJP ha ottenuto un totale di 352 seggi, di cui 303 dal solo partito di Modi, conseguendo una maggioranza dominante nella Lok Sabha, la Camera Bassa del Parlamento indiano composta da 543 seggi e preposta alla nomina del Primo Ministro. I sondaggi preelettorali suggeriscono la riconferma della NDA al voto, probabilmente superando nuovamente la quota di 300 seggi (New Desk, Zee Media Bureau, 2024).

L'Indian National Congress (INC), guidato da Mallikarjun Kharge, è di fatto l'unico rivale pan-indiano del BJP. Il Partito del Congresso ha subito due risultati elettorali disastrosi consecutivi, conquistando solo 44 seggi nel 2014 e 52 seggi nel 2019. Nel luglio 2023, più di due dozzine di partiti di opposizione hanno annunciato la loro intenzione di formare un’alleanza elettorale, l’Indian National Developmental Inclusive Alliance (INDIA), per strappare il potere alla NDA. Nonostante l’ampia varietà di partiti nel raggruppamento, anche secondo i sondaggi più ottimistici l’INDIA si attesterà a circa la metà dei seggi del NDA (ABP News Bureau, Times Now, 2023). La popolarità del Primo Ministro Modi come uomo forte, insieme all'agenda nazionalista induista del BJP, continua ad attrarre la grande maggioranza hindù del Paese, in particolare nella popolosa cintura hindi degli stati settentrionali (Ellis-Petersen, 2023)

Data tale prospettiva, vale la pena di condurre un ultimo approfondimento sulle implicazioni estere date dall'eventuale riconferma di Modi. Innanzitutto, è probabile che il posizionamento polarizzante assunto dal Primo Ministro nella sua retorica interna, progressivamente più assertivo nei confronti delle minoranze del Paese, produca effetti concreti anche al di fuori dei confini nazionali. La necessità di alimentare costantemente il consenso della base radicale induista, potrebbe spingere Modi a cercare nell’arena internazionale ulteriori fonti per preservare il proprio alto tasso di gradimento ed è probabile che queste assumano la forma di una maggiore conflittualità. Basti pensare a come i risultati relativamente deludenti dell’economia indiana durante il primo governo Modi, eletto nel 2014 proprio allo scopo di rilanciare il Paese in quest’ambito, siano stati compensati alle elezioni del 2019 con gli attacchi aerei sul Pakistan, dopo un incidente terroristico pochi mesi prima delle urne. Perseguire la retorica assertiva del nazionalismo hindù potrebbe ulteriormente deteriorare le già tese relazioni con lo storico vicino rivale.

Inoltre, il consueto posizionamento mediano assunto da Nuova Delhi nelle controversie tra grandi potenze, ha iniziato ad essere messo in crisi proprio per la maggiore assertività dimostrata in ambito religioso. Si pensi alle accuse mosse da Justin Trudeau rispetto alle responsabilità del governo indiano nell’omicidio di un attivista Sikh in territorio canaese (Austen, Isai, 2023), seguite dalla notizia lasciata trapelare da fonti statunitensi riguardante un ulteriore omicidio sventato dai servizi segreti in territorio americano (Sevastopulo, 2023). Simili episodi hanno il potenziale di alienare irreparabilmente il favore dell’opinione pubblica occidentale, imponendo un allontanamento tra le parti dannoso per entrambi.

Nuova Delhi e Washington hanno infatti fatto ricorso l’una all’altra per bilanciare l’ascesa della Repubblica Popolare Cinese. Durante il governo Modi, il QUAD (Quadrilateral Security Dialogue), organizzazione costituita da India, Stati Uniti, Giappone ed Australia, ha registrato incontri tra funzionari di alto livello, nuove partnership e approfondimenti in merito ad ulteriori collaborazioni, tra cui esercitazioni congiunte delle rispettive marine militari (Mason, 2023). Tuttavia, la precaria posizione del BJP in alcuni stati cruciali, come Bihar e Maharashtra, e la debolezza del partito rispetto alle questione economiche, in particolare l'occupazione e l'inflazione, potrebbero spingere Modi a cercare nuove strade per tutelare il consenso, tra cui nuove operazioni assertive ai danni di individui invisi alla comunità hindù ma tutelati da preziosi alleati internazionali.

Allo stesso tempo, è probabile che durante il terzo mandato del Primo Ministro, l’India conservi il proprio atteggiamento di ambiguità strategica nell’ambito del confronto tra Pechino e Washington. Sebbene, come detto, i passi avanti nell’integrazione dei rapporti con gli Stati Uniti siano stati di primo livello, in modo apparentemente contraddittorio è anche vero che Nuova Delhi ha consolidato e formalizzato le proprie relazioni con la Russia e, soprattutto, con la Cina. L’India ha scelto di non condannare l’invasione dell’Ucraina, astenendosi nella maggioranza delle risoluzioni di condanna delle Nazioni Unite sul tema e, anzi, ha colto l’occasione per stringere nuovi rapporti commerciali con Mosca in materia di forniture energetiche. Modi si è fatto inoltre promotore dei BRICS, raggruppamento internazionale di nazioni in forte ascesa economica guidate dalla Cina e percepito come alternativo al blocco occidentale. La leadership assunta dal Primo Ministro durante il G20 del 2023 di Nuova Delhi negli incontri con i Capi di Stato delle principali potenze mondiali oggi rivali ha definitivamente confermato l’ambiguità strategica in ambito diplomatico citata inizialmente. Quest’ultima ha permesso a Modi (e continuerà a garantire nell’eventuale nuovo mandato) la massima libertà d’azione nell’arena internazionale, una qualità quasi unica nelle attuali dinamiche delle relazioni globali.

4. Le prospettive di un terzo mandato

L’India è un Paese è rapida trasformazione, la cui scena politica è dominata dalla figura del Primo Ministro uscente Narendra Modi, che ha saputo costruire un forte consenso nella comunità hindù, concentrando contemporaneamente nelle mani del suo governo diversi poteri a scapito del funzionamento della democrazia nazionale. Quello che ci si può aspettare da un suo probabile terzo mandato è la naturale crescita della polarizzazione sociale e religiosa interna. Sul piano internazionale, in un’arena globale dove i principali attori come Russia, Cina, USA e nazioni Europee sembrano assumere posizionamenti sempre più netti e contrapposti, l’India di Modi ha preservato un cauto distacco, approfondendo le relazioni con tutte le parti in gioco e massimizzando i vantaggi derivanti dall’essere corteggiata da queste ultime senza però dover assumere un impegno definitivo. Dunque, è probabile che la figura del Primo Ministro indiano assuma un ruolo di protagonismo nei negoziati sui principali dossier internazionali in ragione della posizione mediana che ha saputo ritagliarsi. La retorica dell’India come grande potenza, tanto apprezzata dalle frange nazionaliste della popolazione, sempre più estese e radicalizzate, troverà la sua applicazione pratica nei prossimi cinque anni. Nella prossima pubblicazione di questo ciclo, verranno analizzate le implicazioni geopolitiche delle elezioni negli Stati Uniti.



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Fonti

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