Il conflitto escatologico della Turchia nel Mediterraneo orientale

  Focus - Allegati
  28 dicembre 2023
  10 minuti, 52 secondi

Abstract

Nel Mediterraneo orientale la Turchia ricopre un ruolo di crescente rilievo. Il memorandum d’intesa sulla delimitazione delle Zone Economiche Esclusive firmato con la Libia evidenzia la chiara visione del Presidente Erdoğan di una Turchia protagonista nella sua dimensione marittima, oltre che terrestre. Questo paper si propone di ripercorrere l’evoluzione dell’approccio turco al Mediterraneo e analizzare il contesto attuale con particolare riferimento alle tensioni con la Grecia per la sovranità dell’Egeo.

Autore

Gabriele Junior Pedrazzoli - Junior Researcher, Mondo Internazionale G.E.O. - Politics

Introduzione

Il 14 Maggio 2023 il popolo turco ha confermato al potere il Presidente Recep Tayyip Erdoğan, leader del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), che prometteva di proseguire l’attuale politica estera “improntata alle posizioni eclatanti” (Öztürk, 2023).

Il trionfo di Erdoğan dimostra ancora una volta quello che ormai è un fatto comprovato: i turchi sono un popolo capace di pensarsi in prospettiva storica. La magniloquenza retorica del presidente, che a noi occidentali appare eccezionalmente ambiziosa, è in realtà la manifestazione fisiologica del “fenomeno turco”. Ad Ankara le elezioni si vincono con la politica estera, non con l’economia. Ecco la ragione del successo di Erdoğan: l’afflato imperiale. La Turchia non ha mai smesso di essere un impero.

La grande novità introdotta da Erdoğan è il suo approccio verso la dimensione marittima. Pur nella sua dimensione imperiale, si è sempre trattato di una potenza esclusivamente terrestre e fu proprio questo a causarne il declino: mentre la Sublime Porta disperdeva velleitariamente le proprie finanze per estendere il suo dominio da Vienna a Tabriz, gli europei erigevano grandi imperi marittimi, strangolando progressivamente gli eredi di Osman che capirono solo con estremo ritardo che una potenza esclusivamente terrestre non può esercitare un dominio duraturo sullo scacchiere internazionale.

Il mare non rientrò tra le priorità strategiche della Turchia kemalista e democratica fino ai primi anni duemila. La svolta, operata in particolare dal Ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu, ha portata rivoluzionaria perché implica una concettualizzazione del mare come territorio, quindi come patria. Davutoğlu ha il merito di aver proposto un’alternativa alla morbosa endiadi Turchia-terra. Il mare è la nuova dimensione in cui l’impero turco può espandersi.

Patria Blu e intervento in Libia

“La Patria Blu è quella dottrina, dichiarata o non dichiarata, che nel rispetto del diritto internazionale dovrebbe animare la nostra politica e la nostra sovranità marittima. Non siamo revisionisti o imperialisti: chiediamo il rispetto del diritto internazionale” con queste parole l’Ammiraglio Cihat Yayci ha descritto la dottrina ideata insieme a Cem Gürdeniz che oggi guida la strategia turca nel Mediterraneo. Le cose non sono però così semplici.

Il punto di partenza è ancora l’opera di Davutoğlu, con particolare riferimento al “ruolo mondiale della Turchia”. L’idea di fondo è la promozione di un’agenda per ripristinare l’influenza turca nel mondo, e di farlo attraverso il mare. Gli obiettivi della Turchia perseguiti attraverso la Patria Blu sono tre: aumentare l’influenza sui piani di distribuzione e trasporto delle risorse gasiere levantine; ostacolare il sistema di cooperazione greco-cipriota ponendosi come termine di confronto irrinunciabile per la sicurezza e cooperazione nel quadrante; non essere esclusa dai partenariati regionali. Insomma, l’approccio intimidatorio della dottrina è funzionale a ribaltare le dinamiche sfavorevoli ereditate da anni di disinteresse per la dimensione marittima della statualità e rivendicare, di conseguenza, un ruolo di leadership finora negatole.

L’opinione pubblica, sull’onda della narrazione erdoganiana del “secolo della Turchia”, ha dimostrato di sostenere con entusiasmo una prospettiva che miri a ripristinare la grandezza dello Stato, anche senza conoscerne a fondo i dettagli (Filis, 2023).

La principale questione legata alla sovranità marittima è quella delle zone economiche esclusive delle isole greche. Lesbo, Chio, Samo, Kos, Rodi e Kastellorizo sono tutte isole molto critiche per la sicurezza della Repubblica di Turchia, vista in particolare la loro vicinanza alle coste dell’Anatolia (Kastellorizo, ad esempio, si trova a 78 miglia nautiche da Rodi, ma a solo un miglio dalla costa turca).

Molto dibattuto è anche l’accordo per la delimitazione delle zone economiche esclusive (ZEE) turco-tripolitano. A spingere la Turchia ad intervenire in Libia è stata la constatazione che, se l’offensiva del generale Haftar avesse avuto successo, la Turchia si sarebbe trovata circondata da uno schieramento ostile composto da Emirati Arabi Uniti, Egitto, Arabia Sautida, Francia, Grecia e Cipro, rappresentati dallo EastMed Gas Forum. I due memorandum d’intesa firmati dal Governo turco e dall’Esecutivo di Accordo Nazionale libico nel 2019 sono stati il tentativo, riuscito, di rompere l'assedio sfruttando la richiesta d’aiuto di Tripoli di fronte all’offensiva proveniente dalla Cirenaica. Così facendo Ankara si è tutelata dalle confliggenti mire dei Paesi rivieraschi sulle risorse energetiche del Mediterraneo orientale, la cui disponibilità è fondamentale per l’interesse nazionale della Turchia, Paese con un fabbisogno di idrocarburi in crescita.

Per la Turchia questi memorandum d’intesa, che dal punto di vista del diritto internazionale non sono vincolanti per stati terzi, sono importanti per dimostrare che le loro rivendicazioni hanno valore, se non altro perché altri Stati le sostengono. Ecco perché è fondamentale che Tripoli condivida i criteri di Ankara per la demarcazione delle Zone Economiche Esclusive.

L’accordo turco-tripolitano e le rivendicazioni turche nel mediterraneo (Fonte: Turkey: Remodelling the eastern Mediterranean, Parlamento europeo)

Le isole greche

La prospettiva turca sulla sovranità marittima muove da un assunto centrale: l’estensione delle acque territoriali (e conseguentemente delle ZEE) deve essere calcolata principalmente sulla base dell'estensione continentale dello Stato. A partire dalle coste insulari non si possono quindi rivendicare gli stessi diritti che sarebbero invece incontestabili per le coste continentali. In altri termini: le isole greche dell’Egeo sono territorio sovrano greco, ma attorno ad esse Atene non può rivendicare una Zona Economica Esclusiva.

Per la suddivisione dell’Egeo Ankara propone di tracciare una linea mediana che farebbe ricadere sotto la sua competenza isole come Samotracia, Lesbo, Chios, Kos e Rodi, e non mancano posizioni più estreme: Devlet Bahçeli, leader del Partito del Movimento Nazionalista (MHP) nel luglio 2022 ha posato accanto ad una mappa che includeva tra le rivendicazioni turche anche l’isola di Creta.

L’accusa mossa dalla Turchia alla Grecia è di essere uno Stato peninsulare con molte isole che si ostina a ragionare da Stato insulare.

Il trattato del 1947, poi, riconosce alla Grecia sovranità su 23 isole precedentemente italiane a condizione che fossero smilitarizzate. Ad oggi, su varie di queste sono presenti armamenti (principalmente difensivi, ma non esclusivamente). L’elite turca chiede con insistenza che la sovranità su queste isole venga quindi ridiscussa.

L’attuale ripartizione dell’Egeo e la linea mediana proposta dalla Turchia (fonte: Siousiouras, P, Chysochou G; “The Aegean Dispute in the Context of Contemporary Judicial Decisions on Maritime Delimitation”)

Alla luce di queste sfide, è cruciale esplorare vie diplomatiche e negoziali per promuovere una soluzione equa e pacifica che rispetti i diritti sovrani degli Stati coinvolti e contribuisca alla stabilità a lungo termine nel Mar Egeo. Il timore di un conflitto tra i due Paesi è percepito con allarme dalle Potenze europee ed occidentali perché entrambi gli attori coinvolti sono membri della NATO.

Lo strumento navale turco a sostegno della Patria Blu

Le direttrici economiche e di politica marittima delineate da Erdoğan stanno portando la Turchia a riorganizzarsi con nuovi mezzi che assicurino la proiezione di potenza cercando al contempo di rendersi indipendente tanto dal punto di vista delle forniture quanto da quello della cantieristica. Per sostenere la dottrina della Patria Blu si è reso necessario un articolato piano di ammodernamento della marina tramite ingenti investimenti.

Al momento la Türk Deniz Kuvvetleri, la flotta turca da guerra, può contare su 16 fregate, di cui 8 di classe “Gabya”, di origine statunitense, equipaggiate con missili antinave Harpoon, missili antiaerei e siluri Mark 46 o Mark 50. Queste unità possono, inoltre, alloggiare un elicottero SH-70 “Seahawk”. In aggiunta restano operative 4 fregate classe “Yavuz” di vecchia generazione e 4 fregate classe “Barbados”, equipaggiate con missili antiaereo Sea Sparrow, che possono imbarcare un elicottero AB-212 ASW per la lotta antisommergibile.

Da rilevare il fatto che alcune corvette siano armate con missili da crociera “Atmaca”, di fattura turca. L’obiettivo è di sostituire interamente gli Harpoon americani con missili turchi per l’intera flotta.

I progressi significativi compiuti dalla Turchia nell’ambito della marina preoccupano le potenze del mediterraneo, ma sono parzialmente bilanciati dalle carenze dell’aviazione navale. Nel 2019 gli Stati Uniti hanno sospeso la fornitura degli F-35 come ritorsione per l’acquisto turco di quattro batterie di S-400 (armamento antiaereo russo) e ciò ha fortemente limitato le potenzialità della nuova nave ammiraglia portaeromobili da assalto anfibio “TGC L-400 Anadolu” (entrata in servizio quest’anno) e della flotta nella sua interezza.

Conclusioni

I fatti vanno interpretati alla luce di ciò che li sottende, bisogna quindi interrogarsi sulle reali motivazioni che spingono Erdoğan ed il suo esecutivo a procedere in questo modo.

Abbiamo già analizzato come questa “Weltpolitik alla turca” non sia un fenomeno né nuovo né inspiegabile. É, essenzialmente, la proiezione politica dell’eredità storico-sociale turca. Non deve quindi sorprendere il grande sostegno espresso dall’opinione pubblica.

Ma il vero motivo per cui la Turchia preme nel Mediterraneo orientale è più profondo. Dopo il riassorbimento delle “Primavere Arabe” Ankara ha perso quasi ogni strumento di influenza sul mondo arabo. Cipro, Grecia, Egitto e Israele possono non tenere conto delle posizioni turche nel quadrante ed il progetto (anche se ormai difficilmente realizzabile) della pipeline EastMed lo dimostra. Per la Turchia è prioritario assumere una posizione centrale. Erdoğan vuole che qualunque attore, per prendere una decisione riguardante il Mediterraneo orientale, debba confrontarsi con la sua leadership.

La Turchia in proiezione si vede come hub di transito tra Oriente e Occidente, in primis riguardo al mercato degli idrocarburi. Erdoğan vuole che il suo Stato torni ad essere “La Sublime Porta”.

Il contenzioso con la Grecia, il memorandum d’intesa con la Libia ed il parziale riavvicinamento ad Israele (arenatosi alla causa dei recenti avvenimenti) non sono questioni a sé stanti, vanno lette alla luce di questo grande progetto per una Turchia marittima, regionale e quindi globale.

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Bibliografia

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