Il diritto di espressione e di manifestazione: per una visione internazionale comparata

  Focus - Allegati
  03 aprile 2024
  16 minuti, 50 secondi

Autori

Simona Chiesa - Junior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società

Matteo Bonazzi - Junior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società

Matteo Restivo - Senior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società

Marco Rizzi - Senior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società

Abstract

L'articolo esamina le radici storiche e le sfide attuali dei diritti di espressione e riunione in Italia, con un focus sulla loro evoluzione nel contesto transnazionale dei movimenti di protesta moderni. Attraverso un'analisi critica, si esplorano le complesse dinamiche sociali, normative e giurisprudenziali che influenzano tali diritti, ponendo l'accento sulle questioni di inclusività, pluralismo e adattamento alle nuove tecnologie. L'obiettivo è quello di comprendere come tali diritti si stiano confrontando con le sfide del nostro tempo e quale possa essere il loro impatto sul futuro della democrazia e dei diritti umani.


Introduzione

La storia dei diritti di espressione e di riunione in Italia riflette una complessa interazione tra contesti storico-sociali, normative costituzionali e pratiche giurisprudenziali. Da lungo tempo, tali diritti hanno costituito il fondamento della democrazia, ma sono stati anche oggetto di profonde riflessioni e controversie.

Il principio della libertà di espressione, sancito dalla Costituzione Italiana, ha generato interrogativi sul suo ambito d'applicazione, in particolare per quanto riguarda le persone giuridiche e gli stranieri. Le sfide giuridiche si sono estese anche ai trattamenti differenziati tra diversi gruppi professionali e all'adattamento alle nuove tecnologie, che hanno introdotto nuovi canali di comunicazione e di protesta.

In parallelo, il diritto di riunione, anch'esso sancito dalla Costituzione, si è evoluto in un contesto transnazionale, riflettendo le dinamiche globali e le sfide comuni che attraversano le società contemporanee. Movimenti come i Gilets Jaunes in Francia hanno evidenziato la complessità delle manifestazioni moderne, mescolando istanze locali con critiche sistemiche, e dando vita a forme di protesta innovative e spesso controversi.

Questo articolo esplorerà le radici storiche dei diritti di espressione e riunione in Italia, analizzando le sfide e le opportunità che essi affrontano nel contesto contemporaneo, con particolare attenzione alla dimensione transnazionale dei movimenti di protesta. Attraverso una lente critica, cercheremo di comprendere come tali diritti si stiano adattando alle mutevoli dinamiche sociali e politiche del nostro tempo e quali implicazioni ciò possa avere per il futuro della democrazia e dei diritti umani.


Basi storiche dei diritti costituzionali di espressione e di riunione

La libertà di espressione, di manifestazione del pensiero e la libertà di riunione in Italia, come spesso altrove, hanno risentito delle condizioni storico-sociali durante la loro affermazione e durante la loro evoluzione. I risultati raggiunti con il processo storico di costituzionalizzazione di questi diritti sono significativi e il pluralismo ne diventa finalmente una risorsa.

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La Costituzione Italiana riconosce la libertà di manifestazione del pensiero a tutti, ma l’ampiezza della formula utilizzata e il principio del favor libertatis impongono alcune riflessioni iniziali (Luciani, 2019).

I principali dubbi hanno da subito riguardato le persone giuridiche (private), per le quali la dottrina ha riconosciuto la titolarità del diritto. Hanno riguardato, in secondo luogo, gli stranieri, gli extracomunitari, per i quali la Corte costituzionale – in maniera non del tutto convincente – ha stabilito che possono godere di pari diritti dei cittadini italiani nella condizione in cui essi siano cittadini di uno Stato che pratichi il trattamento di reciprocità, parzialmente in contraddizione con l’apertura che aveva garantito in passato il Codice civile italiano. Atteggiamento, questo, molto diverso da quello del Codice civile francese – e da molti altri su di esso modellati –, che faceva del principio di reciprocità un dato irrinunciabile (Luciani, 2019).

Sollevano ulteriori punti interrogativi i trattamenti di favore che la normativa comporta per parlamentari e, ad esempio, per soggetti loro equiparabili, come consiglieri regionali e delle province autonome, giudici costituzionali o membri del CSM; al contrario di altro tipo di soggetti che subiscono un trattamento deteriore, come medici, avvocati, psicologi, i quali sono costretti ad osservare la regola del segreto professionale (Luciani, 2019).

Le tesi più varie nella dottrina sono state dibattute circa i campi di manifestazione del pensiero, domandandosi principalmente se qualunque suo oggetto dovesse godere dello stesso, identico, trattamento. In questo caso, la giurisprudenza costituzionale italiana non segue l’impostazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, che rende applicabile l’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non solo a determinati tipi di informazione, idee o modi di espressione, in particolare quelli di natura politica, ma anche a forme di espressione artistica – come un dipinto o una rappresentazione teatrale – e forme di espressione di natura commerciale (Consiglio d’Europa, Corte europea dei diritti dell’uomo, 2022).

Hanno poi destato interesse i temi del regime di stampa, nelle modalità di autorizzazione e di censura, le questioni del “buon costume”, nella sua stessa nozione e nei termini del pudore sessuale, e gli aspetti dello “spirito” e della visione antifascista.

Tutti questi aspetti precedentemente elencati sono, inoltre, travolti dallo sviluppo tecnologico degli ultimi anni, il quale ha posto il problema dell’assoggettamento anche dei nuovi media a regole analoghe a quelle concepite per la stampa e nei termini del diritto di riunione e manifestazione. Siamo pienamente coscienti che la libertà nella rete potrebbe non essere debitamente assoluta, ma potrebbe necessitare in qualche modo di una disciplina (Luciani, 2019).

Direttamente connesso all’art. 21, dunque al diritto di manifestazione del proprio pensiero, è l’art. 17 della Costituzione italiana che riguarda il diritto di riunione: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. L’art. 12 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea recita, inoltre, che: “ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni persona di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi”.

Come rimarcato da Amnesty International sui propri canali, il diritto di riunione pacifica si offre come uno strumento di espressione collettiva e pubblica dell’opinione, un mezzo per i gruppi sociali e per le minoranze di agire collettivamente e nella direzione di un corretto sviluppo democratico, nonché di uno sviluppo economico, sociale e personale, per l’espressione delle idee e per la promozione di una cittadinanza impegnata.

Ne evidenzia queste caratteristiche anche l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, che esplicita il diritto di riunioni, sit-in, scioperi, raduni, eventi o proteste, sia offline che online; consente agli individui di interagire e organizzarsi tra loro per esprimere, promuovere, perseguire e difendere collettivamente interessi comuni. In ottemperanza degli obiettivi posti dall’art. 20 della Dichiarazione universale dei diritti umani, la Comunità internazionale, attraverso l’ONU, identifica uno speciale Rapporteur che assicuri la raccolta e la condivisione delle informazioni sulle tendenze e sulle questioni globali, regionali e locali relative alle assemblee pacifiche e alle associazioni; che formuli raccomandazioni su come garantire la promozione e la protezione di questi diritti; che riferisca in merito a violazioni, discriminazioni, minacce o uso di violenza, molestie, persecuzioni, intimidazioni o rappresaglie nei confronti di persone che esercitano tali diritti.

Il quadro normativo fin qui descritto, in cui si muovono e prosperano le principali proteste nel mondo, si completa con la comprensione della giurisprudenza dettata dallo Human Rights Committee, la quale riflette la più ampia priorità delle istituzioni delle Nazioni Unite nel promuovere le associazioni e le assemblee come "misure di assistenza al rafforzamento di una società civile pluralistica”, per la loro tendenza a includere le comunità emarginate, a rafforzare la governance democratica e a servire il principio dei diritti umani di non discriminazione sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla Dichiarazione universale e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (McIntyre & Cahill, 2023).


Fenomeni sociali all’origine delle manifestazioni odierne: transnazionalità dei movimenti

Nell’ultimo decennio il numero delle manifestazioni pubbliche in Italia è cresciuto a dismisura e ciò lo si deve principalmente alle minacce che hanno colpito la popolazione, non solo sul fronte interno, ma anche provenienti dal contesto internazionale: basti pensare, tra le altre cose, alla pandemia e ai conflitti in Ucraina prima e nella striscia di Gaza poi.

La dimensione internazionale propria delle manifestazioni risiede quindi principalmente nelle cause che generano la volontà di riunirsi e far sentire la propria voce. Non si tratta certo di un sentimento che ha origini recenti. Ogni contesto storico ha infatti sperimentato le proprie forme di dissenso popolare per i motivi più svariati. Oggi, come in passato, e forse in maniera anche più invasiva, sta crescendo la consapevolezza che il diritto di riunirsi acquisisce la sua massima espressione quando la riunione supera i confini statali e, talvolta, continentali.

L’esempio più lampante utile a consolidare questa tesi è indubbiamente il G8 di Genova del 2001: evento spartiacque, non solo nella storia delle manifestazioni italiane, europee e globali, ma anche in quanto acceleratore di processi quali la globalizzazione (Proglio, 2001). L’essenza di quest’ultima è la transnazionalità che caratterizza diversi settori, pubblici e privati. Nell’ambito delle manifestazioni e di ciò che queste rappresentano, la globalizzazione da una parte ha evidenziato le differenze che intercorrono tra i molteplici movimenti che si occupano di organizzare le manifestazioni; dall’altra ha fatto sì che, nonostante queste differenze, il sentimento di unione contro un nemico comune diventasse il pilastro delle libertà di riunione e manifestazione di dissenso. Da questo sentimento si deduce poi che la natura del nemico comune perda progressivamente di significato, disperdendosi tra le più svariate motivazioni che spingono un gruppo di persone a protestare: si va dalla globalizzazione del 2001 al conflitto israelo-palestinese del 2024, passando per la crisi finanziaria del 2008, per la pandemia da Coronavirus e tanto altro ancora.

Stiamo perciò assistendo alla trasformazione di un diritto che deve la propria nascita a movimenti di protesta racchiusi in contesti ben definiti (basti pensare alla Rivoluzione francese), e che si sta pian piano adattando ad una realtà sempre più globale, capace di unire idee e persone, consentendo una risonanza di gran lunga maggiore rispetto al passato, anche se talvolta ancora non determinante.

Un ulteriore trait d’union che permette di comprendere al meglio questa nuova realtà è il fenomeno dell’attivismo transnazionale (He, 2011). Senza entrare nel merito di metodi, obiettivi e polemiche che questi gruppi scatenano con le proprie forme di protesta, è evidente come essi rappresentino una novità nello scenario internazionale. Risulta infatti chiaro come determinati movimenti organizzati sul piano internazionale abbiano creato scompiglio nei vari contesti nazionali, cogliendo impreparate le istituzioni più tradizionali che mai si erano trovate a fare i conti con queste realtà, portando a situazioni di scontro e scompiglio non preventivate. Alcuni dei movimenti più esemplari per quanto riguarda il carattere transnazionale di cui sono dotati sono “Friday for Future” in materia ambientalista, nato su iniziativa delle azioni di Greta Thunberg, o ancora “Black Lives Matter”, il gigante

movimento che si batte per l’eliminazione delle disuguaglianze che colpiscono le persone di colore. Tali fenomeni sono indubbiamente resi possibili dai molteplici strumenti di comunicazione e collegamento di cui siamo ad oggi dotati. Social network, applicazioni per mettersi in contatto e mass media fanno in modo che le informazioni traslino sostanzialmente in diretta da un paese all’altro, eliminando quell’ostacolo formale che in passato veniva rappresentato dai confini.

La libertà di riunione rappresenta oggi un diritto potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri sul piano mondiale, come d’altronde già successo con i movimenti del 1968, avvalendosi però di strumenti e tecnologie inesistenti in passato. La chiave del successo di questi movimenti risiede, ancora una volta, nell’essere umano e nella sua capacità di sfruttarli: attivismo, movimenti di protesta, manifestazioni e cortei dovranno essere strumenti da utilizzare con intelligenza. Proiettando la loro utilità al futuro, comprendendo il contesto nel quale agiscono, evitando di demonizzarli o sottovalutarli.


Il diritto di protesta – il caso francese

Se il diritto alla libertà di espressione e manifestazione, considerato uno fra i principali fondamenti dei moderni Stati democratici, si afferma a livello internazionale, sia in ambito universale che in ambito regionale, all’incirca a partire dalla metà del XX secolo, in Francia la sua origine ed evoluzione all’interno del suo ordinamento giuridico trova radici ben più lontane (Salvatore, 2019).

Dalle jacqueries trecentesche e le charivari medievali, alla presa della Bastiglia, ai movimenti del 1968 e ai Gilets Jaunes, la Francia scende in piazza, marcia e dà voce alle richieste che oggi vanno dalle retribuzioni salariali, alla riforma pensionistica e le rivendicazioni degli agricoltori o - ancora - quelle ambientali. Esse passano tutte per una forte critica nei confronti della politica tradizionale, rea di aver favorito sempre più gli interessi di pochi a svantaggio del popolo, assumendo o forme di manifestazioni pacifiche o talvolta scegliendo la violenza come mezzo politico.

La libera comunicazione di pensiero e di opinione, la libertà di espressione, insieme al diritto a “contestare” (art. 10-11-14) sono garanzie già presenti formalmente all’interno della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 adottata in Francia, con la fine della Rivoluzione Francese, segnando una linea di demarcazione rispetto al passato, matrice e modello per le nostre moderne istituzioni e Dichiarazioni. In questo contesto, la protesta assume la forma di risorsa politica per i cosiddetti gruppi senza potere, che vi ricorrono per avere una posizione di scambio con i decisori (Lipsky, 1965). L’analisi comparativa del caso francese rispetto agli altri Paesi europei permette di evidenziare alcuni elementi unici.

Prendendo il caso dei cosiddetti Gilets Jaunes, culmine di una sequenza iniziata nel 2016 con il movimento contro la «loi travail» (Garau, 2022), per poi caratterizzarsi come violento o comunque disposto all’azione di protesta conflittuale, cioè dal perseguimento della “logica del danno” (Diani e della Porta 1997), notiamo diverse differenze rispetto ai movimenti Lulus

(Locally Unwanted Land Uses), condizionati dalla Nimby, pensiamo in Italia ai movimenti “No Tav”, “No Tap”, “No Muos” e “No Large Ships” (Scamardella, 2020).

Causando oltre 2.000 feriti tra manifestanti e agenti delle forze di polizia, abbandonandosi ad azioni di vandalismo, che hanno portato alla paralisi dei grandi centri urbani, e distruggendo circa il 60% degli autovelox attivi in tutta la Francia, i Gilets Jaunes sono un movimento che nasce da istanze “prossime”, locali o regionali (il costo del carburante e gli effetti sugli attori economici periferici), ma nella loro storia breve di mobilitazione e smobilitazione gli obiettivi diventano subito molto più generali e sistemici, addirittura di impatto sovranazionale come nella critica all’UE e alle sue politiche. Al contrario, nei movimenti italiani sopra richiamati, l’esigenza di sfruttare l’opportunità politica e il dialogo con l’istituzione diventa centrale nella strategia d’azione, anche se non sono mancati episodi di conflitto e di scontro violento. La mediazione con le istituzioni politiche è funzionale all'obiettivo di impedire l’avvio o il completamento di progetti infrastrutturali ritenuti nocivi per le persone, per l’ambiente o per l’economia del territorio. Le capacità delle organizzazioni ambientaliste hanno fornito un sostegno essenziale alla logica dell’azione dei Lulus e le strategie adottate hanno tenuto conto delle opportunità di mobilitazione e del livello di governance congruo all’effettività dell’azione stessa, in base quindi al principio della “prossimità” (Scamardella, 2020).

Alcuni elementi della protesta dei Gilets Jaunes, come il malcontento verso il libero scambio non regolamentato e l’eccesso di neoliberismo, sono riscontrabili con le più recenti manifestazioni degli agricoltori, movimento che dalla Francia ha poi trovato terreno fertile anche in altri Paesi europei come Germania, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, Regno Unito e Serbia, oltre che in Italia. Bisogna precisare, tuttavia, che in questo caso non si tratti di un movimento di protesta disorganizzato e spontaneo, in quanto gli agricoltori sono sindacalizzati. Al di là delle singole rivendicazioni nazionali, la motivazione comune della protesta è l’opposizione alle conseguenze dirette e indirette del Green Deal europeo, una serie di misure promosse dall’Unione Europea per rendere più sostenibili e meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia e lo stile di vita di cittadini e cittadine (Il Post, 2024).

La mobilitazione francese è inoltre stata capace di distinguersi attraverso un aperto e scenografico dissenso: quintali di sterco, insieme a paglia, pneumatici usati e altri tipi di materiali e rifiuti stradali, sono stati gettati per bloccare gli ingressi di fast food, ma anche di uffici delle imposte, della sicurezza sociale. Il letame che diventa simbolo della rabbia dei francesi, di forte impatto visivo ed estremamente efficace nell’attirare l’attenzione delle autorità e dei media locali e internazionali: un mezzo di protesta radicato nella storia delle manifestazioni agricole francesi (Bianchi, 2023).

Conclusione

In conclusione, questa analisi offre uno sguardo approfondito sulle complesse dinamiche che permeano il panorama giuridico e sociale del paese. Dal riconoscimento costituzionale di tali diritti alle questioni emergenti legate alla trasformazione digitale e alla dimensione transnazionale delle proteste, emerge un quadro ricco di sfaccettature e interrogativi.

L'evoluzione dei diritti di espressione e riunione riflette la continua ricerca di equilibrio tra libertà individuali e responsabilità collettive, tra pluralismo e coesione sociale. Le sfide poste dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie pongono all'ordine del giorno la necessità di riconsiderare le normative e le pratiche giuridiche al fine di garantire la tutela dei diritti umani in un contesto sempre più complesso e interconnesso.

Tuttavia, la vitalità e la diversità dei movimenti di protesta testimoniano anche della resilienza e della creatività della società civile nel promuovere il cambiamento sociale e politico. In questo contesto, il ruolo cruciale dei diritti di espressione e riunione nel favorire la partecipazione democratica e la costruzione di una società inclusiva e pluralista diventa sempre più evidente. Alla luce di ciò, è fondamentale che le istituzioni e la società nel loro insieme si impegnino a proteggere e promuovere tali diritti, riconoscendo il loro valore centrale per la salvaguardia della democrazia e dei diritti umani.



Fonti

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