Land Grabbing: la corsa alla terra e le violazioni dei diritti umani

  Focus - Allegati
  19 gennaio 2023
  26 minuti, 2 secondi

Abstract

Il fenomeno del land grabbing, ossia l’accaparramento di terra da parte di multinazionali, governi stranieri e privati che la sottraggono agli stati e le comunità locali, sta avendo enormi impatti socio-economici e ambientali. Dopo aver cercato di dare una definizione di questo processo e averne delineato le principali caratteristiche, il testo esplora gli aspetti legali, legati agli strumenti - spesso del tutto carenti - del diritto internazionale per tutelare i diritti legati alla terra, all’agricoltura e alle risorse. Questo articolo, studiando il caso specifico della Palestina, si propone di osservare le conseguenze in termini di violazioni dei diritti umani di questa incessante corsa alla terra da parte delle potenze economiche mondiali che colpisce in modo drammatico sia i territori che le popolazioni coinvolte.



A cura di:

Matteo Restivo - Senior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società

Emma Conti - Junior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società

Sofia Manaresi - Junior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società

Giulia Consonni - Junior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società






1. Introduzione: gli aspetti generali del fenomeno

Il termine “land grabbing” significa letteralmente “accaparramento di terra”. Nonostante la portata globale del fenomeno, nella letteratura concernente questo tema, manca una definizione condivisa. Tuttavia, esso è comunemente considerato come un fenomeno complesso che riguarda l'ambiente, l'economia, il benessere sociale e i diritti umani. Consiste nel controllo di grandi quantità di terreni (generalmente non inferiore ai mille ettari) da parte di multinazionali, governi stranieri e singoli soggetti privati, attraverso mezzi sia legali che illegali.

I grabber utilizzano la terra in modi dannosi e per scopi di speculazione fondiaria, controllo ed estrazione delle risorse e mercificazione, in violazione dei diritti umani e dell’impatto socioeconomico e ambientale (Sellari, 2015). Gli accaparratori possono controllare le terre in diversi modi, tra cui l’affitto (a volte attraverso concessioni da parte dei governi locali), l’avere affittuari o mezzadri, o possedere effettivamente la terra (Eco Ruralis, 2016). Tre sono i principali protagonisti del land grabbing: il compratore, pubblico o privato (grabber, attore), il venditore, lo Stato o l’ente territoriale competente (land grabbed-attivo, connivente) e il territorio (land grabbed-passivo, vittima) (Sellari, 2015).

Il termine land grabbing emerge in ambito internazionale già all’inizio del XXI secolo, quando l’aumento dei prezzi dei generi alimentari cominciava ad influenzare la bilancia dei pagamenti degli Stati. La terra è diventata così un bene molto importante a causa della scarsa disponibilità di materie prime agricole sui mercati internazionali. Il fenomeno del land grabbing si mostra quindi strettamente collegato alla rilevanza geo-economica e geo-finanziaria. La terra fertile, in quanto risorsa scarsa e limitata, ha infatti acquisito una rilevante notorietà a livello internazionale a seguito di un incremento nella «corsa alla terra», causato delle crisi alimentari, energetiche e finanziarie nel 2008 (Geotema 48 2015).

L’accaparramento di terre appare emblematicamente una modalità di spartizione neo-colonialista, un vero e proprio “furto di terre”, ma anche come elemento paradigmatico di nuovi scenari geopolitici innescati dalla globalizzazione. Diversi studi lo descrivono come una minaccia alla sovranità dei paesi in via di sviluppo e alla sopravvivenza delle comunità locali (Martelloni, 2013).

Il dibattito su questo fenomeno si innesca quando parliamo di appropriazione legale o illegale delle terre. Il land grabbing è, infatti, un fenomeno caratterizzato da scarsa trasparenza. La maggior parte dei contratti non sono registrati e si fondano su complicità tra multinazionali (o governi occidentali) ed élite locali che fanno leva sui diritti di proprietà poco chiari, in assenza di coinvolgimento delle popolazioni interessate e, dunque, al di fuori di ogni loro tutela (Eco Ruralis, 2016). Le compagnie internazionali utilizzano fondi di investimento avvalendosi di un articolato sistema di controllo: strutture opache (holding e aziende quotate) difficilmente rintracciabili e, in alcuni casi, con sede in paradisi fiscali (Camera di Commercio di Genova, 2019).

I paesi in via di sviluppo non sono i soli nei quali avviene la ricerca di terreni agricoli. In Romania, per esempio, circa 800.000 ettari di terreni agricoli, il 6% del totale dei terreni coltivabili, appartengono a investitori stranieri (European Economic and Social Committee, 2015).

Degenerazioni del fenomeno si verificano ogni qual volta le banche mondiali effettuano speculazioni finanziarie su questi terreni, acquistandoli con la consapevolezza che con il passare del tempo quella terra varrà cifre esorbitanti. La ricerca diffusa di terreni agricoli ha causato problemi ambientali, in quanto molti di questi sono stati utilizzati per le monocolture. Allo stesso tempo, l'effetto è deleterio per la vita rurale, con la scomparsa di posti di lavoro nelle regioni interessate.

Tra i maggiori investitori compaiono Stati Uniti, Gran Bretagna, Olanda, Cina, Giappone, India, Brasile ed Emirati Arabi Uniti. Tra i Paesi maggiormente colpiti da questo fenomeno, molti sono africani come la Repubblica Democratica del Congo, il Sud Sudan, il Mozambico, la Repubblica del Congo e la Liberia. Il primo è stato il Senegal che fra il 2000 ed il 2009 ha ceduto 650 mila ettari di terra. In Asia, invece, il paese più coinvolto è la Papua Nuova Guinea. Gli investimenti sono tuttora attivi e ogni anno viene concessa in leasing, per periodi molto lunghi, una quantità di terra che risulta pari al doppio della superficie della Spagna (Camera di Commercio di Genova, 2019).

Due sono le contrapposte posizioni che hanno animato e animano ancora il dibattito: la prima affronta il fenomeno dal punto di vista dei diritti umani e della sostenibilità sociale che, legittimando l’uso dell’espressione land grabbing e della retorica neocolonialista, ritiene le acquisizioni fondiarie una seria minaccia per le aree coinvolte. Fondamentale sarebbe la definizione di linee guida per introdurre forme di responsabilità nei confronti dei soggetti interessati ad acquisire terreni. La seconda è sostenuta da istituzioni governative, che vi intravedono una decisiva possibilità di emancipazione per quei paesi in via di sviluppo che si sono dimostrati nei secoli incapaci di intraprendere autonomamente un percorso di crescita interna e di riduzione della povertà.




2. L’impatto socio-economico e ambientale del land grabbing

L’impatto economico. Nella metà dei casi di land grabbing esaminati dagli analisti risulta che l’impatto di tale fenomeno sia estremamente negativo per i mezzi di sostentamento e di produzione delle comunità locali. Quest’ultime perdono molto spesso la proprietà delle loro terre di allevamento e coltivazione, senza ricevere nessuna alternativa di lavoro o possibilità di contratto con i nuovi proprietari (Yang & He, 2021).

Fornisce un esempio quanto accaduto in Mozambico, quando un’azienda produttrice di biocarburanti ha posto rigidi standard sulle norme lavorative e di sicurezza sociale con l’effetto di impossibilitare l’assunzione per i lavoratori locali, i quali avevano perso parzialmente l’accesso alle terre che utilizzavano per l’agricoltura (Borras Jr. et al, 2011).

In una regione indonesiana, invece, alcune comunità locali avevano appoggiato un accordo per la costruzione di una grande piantagione di palma da olio – dove potessero lavorare anch’essi – prima dell'inizio della conversione dei terreni nel 2007, in quanto la società di investimento prometteva standard di vita più elevati grazie all'aumento dell'attività economica. Tuttavia, le persone che hanno ceduto la terra hanno riscontrato tutti gli impatti negativi del completamento della piantagione nel 2010, che aveva effettivamente bloccato il loro mercato per tre anni (Rietberg & Hospes, 2018).

Alcuni studiosi hanno sostenuto che, in generale, e nonostante alcuni casi abbiano presentato effetti positivi per le comunità locali, il land grabbing può migliorare i loro mezzi di sussistenza ma ne esacerba le disuguaglianze tra uomini e donne, tra persone benestanti e persone già povere (Yang & He, 2021).

L’impatto ambientale. Non sono ancora corposi gli studi circa gli impatti ambientali del land grabbing. Quelli spesso ricordati trattano quasi superficialmente effetti di degradazione del terreno, di contaminazione dello stesso e di deforestazione, con l’analisi delle conseguenze sulla biodiversità e sull’ecosistema della regione (Yang & He, 2021).

Tuttavia, molti casi indicano che quando le monoculture – ad esempio – sostituiscono i metodi e le tempistiche delle colture locali, i problemi ambientali peggiorano in generale. Ad esempio, il degrado del suolo e del territorio, nonché la contaminazione della terra e dell'acqua, sono stati segnalati come conseguenze della coltivazione estensiva di banane nel Laos settentrionale (Friis & Nielsen, 2016) e delle piantagioni di biocarburanti in Ghana (Adams et al., 2019), a causa dell'uso intensivo di fertilizzanti, pesticidi e plastica. La deforestazione e i danni all'ecosistema sono anche i risultati dell'accaparramento di terra per l'estrazione mineraria, come accaduto in Mozambico (Lagerkvist, 2014) e in Zambia e Ghana (Chilombo et al., 2019).

A parte le critiche sugli impatti ambientali negativi, molti casi di “green grabbing” rivelano risultati ambientali parzialmente positivi (Bluwstein, 2017; Leach et al., 2012, Milgroom, 2015), poiché alcuni progetti di land grabbing sono finalizzati specificamente alla conservazione ambientali. Ad esempio, molte contee africane hanno recintato terreni locali per proteggere le foreste o per la costruzione di parchi nazionali, come accaduto in Tanzania (Leach et al., 2012), in Kenya (Chabeda-Barthe, 2018) e in Mozambico (Milgroom, 2015; Lunstrum, 2016).

È necessario specificare che gli impatti ambientali nei casi di studio sul land grabbing sono spesso trascurati e necessitano urgentemente di dati affidabili: molti casi di studio forniscono solo panoramiche sommarie e, rispetto all'attenzione per i risultati economici del land grabbing, le valutazioni dell'impatto ambientale necessitano di una ricerca più interdisciplinare in termini di combinazione di biochimica, scienze del suolo e delle colture, geografia, sociologia e antropologia (Yang & He, 2021).

L’impatto socioculturale. Gli impatti sociali e culturali dell'accaparramento della terra sono significativi, poiché i mezzi di sussistenza tradizionali e i diritti consuetudinari o informali ne risentono drammaticamente. Tutti i casi di studio circa il land grabbing presentano impatti socioculturali per le comunità locali in termini di modifiche ai diritti consuetudinari o informali e ai mezzi di sussistenza tradizionali, di perdita strutturale o spostamento ed espropriazione, di ampliamento del divario tra ricchi e poveri, di disuguaglianza di genere e altro ancora (Yang & He, 2021).

Sovrapponendosi alla perdita dell'accesso alla terra, del controllo e dei diritti consuetudinari, il land grabbing porta – in modo particolare e frequente – allo spostamento e all'espropriazione. Molti casi di studio sul “green grabbing” hanno rivelato che le popolazioni indigene sono state costrette a trasferirsi una volta che le loro residenze originarie sono state dichiarate all'interno dei confini dei parchi nazionali (Gardner, 2012; Hagen & Minter, 2020; Lumstrum, 2016) o rivendicate per il ripristino ambientale (Tienhaara, 2012). In altri casi, le popolazioni povere rurali hanno dovuto affrontare uno sfratto forzato dopo la perdita del controllo della terra (Rudi et al., 2014). Nel caso del Malawi (Bae, 2019), la ragione principale del malcontento della comunità locale non era il processo di sfollamento in sé, ma il peggioramento del loro ambiente di vita e di lavoro causato dalle ripercussioni dell'accaparramento delle terre, come esemplificato dall'aumento della concorrenza per i posti di lavoro. In alcuni casi, le comunità locali non vengono sfollate dalla terra, ma piuttosto espropriate indirettamente delle sue risorse o del suo valore dopo il cambiamento (Kan, 2019).

Secondo le statistiche di dicembre 2020 dell’UNHCR – le più recenti disponibili – circa 80 milioni di persone, l’1% della popolazione mondiale, sono state costrette a lasciare la propria terra di origine nel 2019 a causa di fenomeni quali, ad esempio, situazioni conflittuali, progetti infrastrutturali, agrobusiness, industria estrattiva, ma anche investimenti turistici e disastri naturali. Di questi, quasi 46 milioni risultano essere sfollati interni, rimasti nei confini del proprio paese; 26 milioni sono rifugiati; circa 4 milioni di persone sono richiedenti asilo; della sola popolazione venezuelana, 3,6 milioni sono sfollati all’estero (FOCSIV, 2021).

È impossibile non considerare, al giorno d’oggi, gli effetti del land grabbing su questi numeri: molto spesso dietro l’effetto collaterale dello sfollamento si celano interessi prevalentemente economici. Ciò significa che per certe popolazioni trovarsi ad abitare in un territorio che diventa oggetto di interesse da parte di grandi multinazionali, e altri gruppi di interesse, può essere una causa sufficiente a provocare l’espulsione forzata degli abitanti stessi (FOCSIV, 2021).



3. Land-grabbing e diritto internazionale

Alla luce del forte impatto in termini di diritti umani che il land-grabbing presenta, il diritto internazionale non poteva evitare di indirizzare questo fenomeno. In particolare, il diritto internazionale dei diritti umani introduce il cosiddetto “rights-based approach”, guidato dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo, che sottolinea la rilevanza primaria degli obblighi degli Stati in materia di diritti rispetto ad altre considerazioni. Documenti come i “Minimum Principles and Measures to Address the Human Rights Challenge of Large-Scale Land Acquisitions or Leases” evidenziano la minaccia al diritto al cibo e al correlato diritto alla terra.

Come sopra menzionato, il fenomeno del land grabbing si traduce in acquisizione su larga scala di terreni e risorse fondiarie nei Paesi in via di sviluppo da parte di Stati ricchi e business e multinazionali, allo scopo di impegnarsi nell'agrobusiness e di assicurarsi fonti affidabili di produzione di cibo e biocarburanti. Una pratica spesso denunciata come forma di neocolonialismo che aumenta lo sfruttamento del Sud del mondo (Ranganathan, 2019).

Il rights-based approach si propone come strumento adeguato a superare l’avida logica di istituzioni come la Banca Mondiale di considerare la terra principalmente in termini di potenziale commerciale, appropriandosene per creare "sviluppo". La Banca Mondiale, così come il Fondo Monetario Internazionale, infatti, enfatizzano le opportunità di investimenti esteri partendo dal presupposto che il settore agricolo del Sud del mondo ha sofferto e soffre proprio per mancanza di investimenti (von Bernstorff, 2013). Sotto questo punto di vista, il land grabbing pare condurre ad un risultato ‘win-win’, offrendo sia effetti positivi per gli investitori, che occasioni di crescita economica e maggiore benessere per la popolazione locale (Borras & Franco, 2010).

Diversi strumenti stabiliscono principi e linee guida volti a regolare il land grabbing. Da un punto di vista di rights-based approach, i più rilevanti sono i “Minimum Principles and Measures to Address the Human Rights Challenge of Large-Scale Land Acquisitions or Leases”.Si tratta di 11 principi proposti nel 2009 dall’allora Relatore Speciale sul diritto al cibo Olivier De Schutter per far fronte alle “sfide in termini di diritti umani” poste dalle acquisizioni di terreni su vasta scala. Pur riconoscendo l’importanza degli investimenti in agricoltura per la realizzazione del diritto all’alimentazione. I Principi chiariscono che il diritto umano al cibo verrebbe violato se le comunità che dipendono dalla terra per il loro sostentamento ne perdessero l'accesso senza ottenere alternative adeguate; se i salari locali non fossero sufficienti ad assorbire gli aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari che potrebbero derivare dal passaggio a colture per l'esportazione; o se i guadagni dei piccoli produttori alimentari locali diminuissero a causa dell'arrivo sui mercati di alimenti a basso prezzo, prodotti in piantagioni su larga scala più competitive (Claeys & Vanloqueren, 2013).

I Principi Minimi non contengono alcun tipo di nuovo meccanismo di attuazione a livello nazionale o internazionale. A livello nazionale, il rispetto degli 11 Principi è responsabilità dei singoli Stati, che sono chiamati a creare quadri istituzionali adeguati per garantire che le leggi e le politiche che regolano gli investimenti fondiari non siano limitate dagli interessi delle imprese investitrici. A livello internazionale, i Principi descrivono alcuni degli obblighi e dei doveri extraterritoriali che si applicano agli Stati e agli investitori coinvolti nella negoziazione degli accordi e che devono essere presi in considerazione (Claeys & Vanloqueren, 2013).

I Principi Minimi e il loro rights-based approach sono oggetto di varie critiche. In particolare, essi presentano tre questioni controverse.

In primo luogo, pongono l’attenzione sui singoli Stati. Lo stato-centrismo di questo tipo di strumenti legali non è in grado di fornire una comprensione ampia e complessiva del fenomeno del land-grabbing dato che il contesto contemporaneo è molto più complicato. Lo Stato non è più il solo e primario attore a livello globale, attori privati e multinazionali hanno sempre più potere e conseguentemente, capacità di agire al pari di uno Stato. Inoltre, molti Paesi post-coloniali sono caratterizzati da pluralismo giuridico: nel Sud del mondo la statualità è stata costantemente plasmata e riconfigurata da forme di autorità internazionali, tra cui il diritto del commercio internazionale e l'impatto delle condizionalità imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali. Molti, dunque, considerano una ‘falsa promessa’ la possibilità di regolare il land grabbing tramite questi strumenti di diritto internazionale stato-centrici (Tzouvala, 2019).

Secondo, l’ottemperanza con queste norme da parte degli Stati, a cui i Principi Minimi sono primariamente rivolti, è carente. Ciò non sorprende se si considerano gli elevati requisiti che essi impongono sia agli investitori che agli Stati ospitanti durante la negoziazione e l'attuazione degli accordi fondiari (Claeys & Vanloqueren, 2013).

Terzo, curiosamente, non c’è stato neanche un grande appoggio da parte di ONG e società civile. Il timore è che i Principi non contribuiscano ad arrestare il fenomeno, ma che al contrario abbiano una funzione di legittimazione, giustificando il land grabbing a patto che le acquisizioni di terreni su vasta scala rispettino un certo minimo standard in termini di diritti umani (Golay & Biglino, 2013). La Via Campesina, organizzazione internazionale di agricoltori che riunisce 182 organizzazioni in più di 80 Paesi, definisce il land grabbing come una minaccia seria alla sovranità alimentare e al diritto al cibo delle comunità rurali. L’organizzazione reputa i principi finalizzati a regolare il land grabbing in modo che esso non abbia conseguenze disastrose per popolazioni e comunità locali, ecosistemi e clima, ingannevoli e volti a legittimare la pratica di land grabbing. (La Via Campesina, 2010)



4. Caso specifico territoriale

Dopo aver dato una panoramica più ampia sul fenomeno del land grabbing e dei processi economico, socio-politici e ambientali che esso ha innescato; questo paragrafo intende concentrarsi sul caso specifico della Palestina, i cui territori sono stati vastamente oggetto di land grabbing fin dall’esordio dell’occupazione Israeliana; le cui politiche coloniali hanno portato devastazione ambientale, privazione delle terre coltivate e delle risorse naturali (Poli, 2020).

Il caso della Palestina è un caso particolare, a differenza del land-grabbing che interessa altri paesi post-coloniali nel continente africano in forma di politiche neocoloniali, l’occupazione e lo sfruttamento della terra e delle risorse da parte di Israele e grandi compagnie multinazionali occidentali in Palestina avviene in un territorio attualmente occupato sotto lo sguardo disinteressato e complice della comunità internazionale.

Per comprendere gli avvenimenti contemporanei e i cambiamenti illustrati anche dalle mappe, è necessario innanzitutto dare qualche cenno storico. In Palestina dalla risoluzione delle Nazioni Unite del 1947 esistono due stati, quello arabo e quello ebraico; tuttavia, la cosiddetta “two-state solution” voluta per pacificare il conflitto e negoziata con molteplici accordi, resta ancora disattesa dopo 70 anni. Israele continua ad occupare illegalmente i territori dello stato palestinese, che ancora non viene riconosciuto internazionalmente come uno stato indipendente. Dal 1967 a seguito della guerra dei 6 giorni, Israele occupa con insediamenti civili e militari gran parte dei territori palestinesi nella Cisgiordania (West Bank), e Gaza, violando la IV convenzione di Ginevra (Formisano, 2021). La vasta presenza degli insediamenti israeliani e di coloni nella regione della Cisgiordania ha causato una drammatica frammentazione dei territori palestinesi (ibidem), che è stata peggiorata dagli accordi di Oslo 1993 e 1995, voluti per iniziare un processo di pace ma che di fatto hanno rafforzato il controllo di Israele sui territori occupati. Questo ha reso impossibile in Cisgiordania lo sviluppo di un sistema integrato di infrastrutture e ha spesso ridotto la resistenza al colonialismo israeliano in una questione di continuo conflitto per porzioni di terra nel West bank e nella striscia di Gaza (Hanieh, 2013). Grazie agli accordi di Oslo, Israele ha perpetuato le strategie di occupazione, con l’aumentata presenza di insediamenti e coloni, la privazione della libertà di movimento e l'incarcerazione dei civili, e aumentando il controllo sulle risorse e la vita economica palestinesi. Per gli accordi di Oslo, infatti, i territori palestinesi della Cisgiordania sono stati distinti in diverse aree, denominate: A, B – zone frammentate sotto controllo delle autorità palestinesi – e C – zona contigua sotto totale controllo israeliano, che consiste in oltre il 58% della regione (osservatorio diritti: tra occupazione israeliana e divisioni interne, Palestina 50 anni di occupazione).

Con tale separazione, che avrebbe dovuto essere solo transitoria e che invece sussiste tutt’oggi, Israele si è garantito il controllo della maggior parte dei territori palestinesi, espropriando le popolazioni locali delle risorse minerarie, idriche e dei terreni agricoli. Costringendo le comunità, soprattutto delle zone rurali, ad acquistare a prezzi inaccessibili dalle autorità israeliane i permessi per poter coltivare e costruire su propri territori, così come il permesso di costruire o avere l’accesso alle reti idriche e alle infrastrutture. Inoltre, tali permessi possono essere revocati in qualsiasi momento, distruggendo o saccheggiando i raccolti, i pozzi e i villaggi, mettendo in fuga le comunità palestinesi costrette ad abbandonare le proprie terre e il proprio paese.

Gli stessi accordi hanno portato anche a una distribuzione delle risorse idriche totalmente iniqua in sfavore dei palestinesi, lasciando quasi la totalità dell’acqua in mano ad Israele.

Nonostante la popolazione palestinese sia metà di quella israeliana, essa dispone solo del 10-15% delle risorse idriche disponibili, seppur gran parte di queste provenga proprio dai territori palestinesi della Cisgiordania (Wischnewsky, 2021). Secondo un report di Amnesty (2022), gli israeliani consumano in media 280 litri al giorno, mentre i palestinesi solo 70 e nelle comunità rurali (soprattutto nell’Area C, ma non solo) circa 180.000-200.000 palestinesi non hanno accesso all’acqua corrente. Mentre la situazione è ancora più delicata nell’area di Gaza, dove la sola risorsa idrica accessibile è la falda acquifera costiera, talmente contaminata dalle acque marine e di scarico da non poter essere utilizzata e da costringere gli abitanti a dipendere unicamente da soggetti privati per l’accesso all’acqua. Questo ha impatti devastanti sulla qualità della vita e sull’economia di queste zone, comportando gravissime conseguenze igienico-sanitarie e rendendo impossibili tutte le attività agricole.

Infine, le politiche coloniali che mirano a mettere in fuga la popolazione palestinese rendendo inospitale la terra e insostenibile la vita nei territori occupati si manifesta, tra le altre cose, anche con il danno sistematico portato ai raccolti palestinesi dall’irrorazione di pesticidi nocivi utilizzati per le dannose monoculture israeliane, con lo scopo di distruggere i raccolti per danneggiare le fonti di reddito e la salute delle famiglie palestinesi oltre che la devastazione ambientale.

Tali strategie di esclusione e sistematica espropriazione e sfruttamento delle risorse minerarie, idriche e agricole estratte dai territori palestinesi e commercializzate da aziende israeliane o occidentali fa parte del vastissimo processo di land e water grabbing e delle violazioni del diritto internazionale messo in atto in Palestina da parte di Israele e trascurate dalla comunità internazionale e gran parte della società civile. Secondo una dichiarazione di Francesca Albanese, relatrice speciale per le Nazioni Unite, l’occupazione illegale israeliana è diventata strumento di colonialismo, discriminazione razziale e regime di apartheid, che viola il diritto di autodeterminazione della Palestina da un punto di vista territoriale, economico, sociopolitico e culturale (Scaldaferri, 2023).

Il rapporto di Amnesty International (2022), sopra menzionato, urge tutti i governi e gli attori regionali a cooperare per porre fine a questa situazione e non fornire assistenza per il mantenimento di questo regime di apartheid, riconoscendo i reati commessi dalle autorità israeliane.

Esso sollecita le aziende a riconoscere la propria responsabilità nel cessare le attività che contribuiscono o traggono beneficio dal sistema di apartheid e le organizzazioni umanitarie ad aumentare le attività di advocacy per porre fine alle discriminazioni nelle leggi, le politiche e le pratiche contro i palestinesi.



Conclusioni

In Palestina, così come nelle altre regioni nel mondo interessate dal fenomeno di land grabbing e dalle occupazioni di carattere neocoloniale, la comunità internazionale, e la stessa società civile, tarda ad agire o non interviene con sanzioni e provvedimenti adeguati per tutelare i diritti e le rivendicazioni di autodeterminazione dei popoli. Al contrario, continua a tutelare gli interessi economici e trascurare le violazioni da parte degli stati e delle aziende multinazionali. Finché questo sarà lo scenario politico, il diritto internazionale non potrà essere effettivo e le violazioni dovute a queste politiche di sfruttamento, come nel fenomeno del land grabbing discusso in questo articolo, continueranno ad avere devastanti conseguenze per l’ambiente e la popolazione.

Data l’ampiezza raggiunta dalle conseguenze negative scaturenti dalle pratiche di land grabbing, si profila così la formazione di una regola di diritto internazionale generale, operante in tale ambito oggettivo. Tale regola, ancora in corso di formazione, implicherebbe il riconoscimento di una violazione della legge nelle decisioni delle autorità pubbliche che favoriscono acquisizioni massive di terreni a danno delle popolazioni locali. Una regola tale conferirebbe invalidità ai contratti di vendita dei terreni, ai fini di una piena ed effettiva tutela dei previgenti diritti di proprietà e dei correlati diritti individuali riconosciuti.



Contenuto dell’Informazione

1

Confermata

Confermato da altre fonti indipendenti; logico in sé; coerente con altre informazioni sull’argomento

2

Presumibilmente Vera

Non confermato; logico in sé; consistente con altre informazioni sull’argomento.

3

Forse Vera

Non confermato; ragionevolmente logico in sé; concorda con alcune altre informazioni sull’argomento

4

Incerta

Non confermato; possibile ma non logico in sé; non ci sono altre informazioni sull’argomento

5

Improbabile

Non confermato; non logico in sé; contraddetto da altre informazioni sul soggetto.

6

Non giudicabile

Non esiste alcuna base per valutare la validità dell’informazione.

Affidabilità della fonte

A

Affidabile

Nessun dubbio di autenticità, affidabilità o competenza; ha una storia di completa affidabilità.

B

Normalmente Affidabile

Piccoli dubbi di autenticità, affidabilità, o competenza, tuttavia ha una storia di informazioni valide nella maggior parte dei casi.

C

Abbastanza Affidabile

Dubbio di autenticità, affidabilità o competenza; tuttavia, in passato ha fornito informazioni valide.

D

Normalmente non Affidabile

Dubbio significativo sull’autenticità affidabilità o competenza, tuttavia in passato ha fornito informazioni valide.

E

Inaffidabile

Mancanza di autenticità, affidabilità e competenza; storia di informazioni non valide.

F

Non giudicabile

Non esiste alcuna base per valutare l’affidabilità della fonte.

Fonti:

Adams, E.A.; Kuusaana, E.D.; Ahmed, A.; Campion, B.B. (2019). Land dispossessions and water appropriations: Political ecology of land and water grabs in Ghana. Land Use Policy. (2-B)

Alessandro Falagario, Massimo Pallottino (febbraio 2019), AMERICA LATINA | TERRA BRUCIATA, Il land grabbing, una forma di colonialismo, Caritas Italiana (Numero 44). (1-B)

Amnesty International (2022). L’apartherid di Israele contro la popolazione palestinese: un crudele sistema di dominazione e un crimine contro l’umanità. report.[ONLINE]. disponibile da:https://d21zrvtkxtd6ae.cloudfront.net/public/uploads/2022/02/Sintesi-APARTHEID-DI-ISRAELE-CONTRO-PALESTINESI.pdf (ultimo accesso 18 gennaio 2022) (2-B)

Andrea stocchiero, (2020), I Padroni della Terra. Rapporto sull’accaparramento della terra, Policy FOcsIV – Volontari nel mondo. (1-A)

Bae, Y.J. (2019) A Displaced Community’s Perspective on Land-Grabbing in Africa: The Case of the Kalimkhola Community in Dwangwa, Malawi. Land. (2-B)

Bluwstein, J. (2017). Creating ecotourism territories: Environmentalities in Tanzania’s community-based conservation.Geoforum. (2-B)

Borras Jr. S. & Franco J (2010). From Threat to Opportunity - Problems with the Idea of a Code of Conduct for Land-Grabbing. Yale Human Rights & Development Law Journal (13). (1-A)

Borras, S.M., Jr.; Hall, R.; Scoones, I.; White, B.; Wolford, W. (2011). Towards a better understanding of global land grabbing: An editorial introduction. J. Peasant Stud. (2-B)

Chabeda-Barthe, J.; Haller, T. (2018). Resilience of Traditional Livelihood Approaches Despite Forest Grabbing: Ogiek to theWest of Mau Forest, Uasin Gishu County. Land. (2-B)

Chilombo, A.; Fisher, J.A.; van Der Horst, D. (2019). A conceptual framework for improving the understanding of large scale land acquisitions. Land Use Policy. (2-B)

Claeys P and Vanloqueren G (2013). The Minimum Human Rights Principles Applicable to Large-Scale Land Acquisitions or Leases. Globalizations (10). (1-A)

Comitato economico e sociale europeo, (Bruxelles, 21 gennaio 2015), PARERE del Comitato economico e sociale europeo sul tema: L'accaparramento di terreni: un campanello d'allarme per l'Europa e una minaccia per l'agricoltura familiare (parere d'iniziativa), Relatore: NURM. (1-A)

Davide Cirillo, Egidio Dansero, Massimo De Marchi, (2015), Land-grabbing, cooperazione internazionale e geografia: riflessioni per la ricerca e l’azione, Geotema (48). (1-B)

FOCSIV (2021). I padroni della Terra. IV Rapporto. [ONLINE]. Disponibile da: https://www.focsiv.it/iv-rapporto-i-padroni-della-terra/ (ultimo accesso 18 gennaio 2022) (2-B)

Formisano, C. (2021). La politica israeliana degli insediamenti in Cisgiordania. Geopolica.info. [ONLINE]. Disponibile da: https://www.geopolitica.info/la-politica-israeliana-degli-insediamenti-in-cisgiordania/ (ultimo accesso 18 gennaio 2022) (2-B)

Friis, C.; Nielsen, J.Ø. (2016). Small-scale land acquisitions, large-scale implications: Exploring the case of Chinese banana investments in Northern Laos. Land Use Policy. (2-B)

Gardner, B. (2012). Tourism and the politics of the global land grab in Tanzania: Markets, appropriation and recognition.J. Peasant Stud. (2-B)

Golay C and Biglino I (2013). Human Rights Responses to Land Grabbing: A Right to Food Perspective. Third World Quarterly (34). (1-A)

Hagen, R.V.; Minter, T. (2020). Displacement in the Name of Development. How Indigenous Rights Legislation Fails to Protect Philippine Hunter-Gatherers. Soc. Nat. Resources. (2-B)

Hanieh, A. (2013). 20 anni dopo. Accordi di Oslo: un fallimento per i palestinesi, un risultato per Israele. Perlapace. [ONLINE]. Disposnibile da: http://www.perlapace.it/20-anni-dopo-accordi-di-oslo-un-fallimento-per-i-palestinesi-un-risultato-per-israele/(ultimo accesso 18 gennaio 2022) (2-B)

https://www.infopal.it/land-grabbing-israeliano-nei-territori-palestinesi-occupati-devastazione-ambientale-saccheggio-delle-terre-coltivate-politiche-coloniali-di-demolizione/ (ultimo accesso 18 gennaio 2022) (2-B)

Il land grabbing: geopolitica e global-colonialismo agricolo / Sellari, Paolo. - In: GNOSIS. - ISSN 1824-5900. - (2015), pp. 154-163. (1-B)Kan, K. (2019). Accumulation without dispossession? Land commodification and rent extraction in peri-urban China. Int. J. Urban Reg. Res. (2-B)

Katelyn Baker-Smith, Szocs Boruss Miklos Attila, (agosto 2016), What is Land Grabbing? a critical review of existing definitions, ECO ruralis. (1-B)

La Via Campesina FIAN (2010). STOP LAND GRABBING NOW! Say NO to the Principles of “Responsible” Agro-Enterprise Investment Promoted by the World Bank. (2-B)

Lagerkvist, J. (2014). As China returns: Perceptions of land grabbing and spatial power relations in Mozambique. J. Asian Afr. Stud. (2-B)

Leach, M.; Fairhead, J.; Fraser, J. (2012). Green grabs and biochar: Revaluing African soils and farming in the new carbon economy. J. Peasant Stud. (2-B)

Liliya Chorna, (6 febbraio 2021), Il passato è presente: il colonialismo e le sue ferite aperte, Melting Pot Europa. (2-C)

Lunstrum, E. (2016). Green grabs, land grabs and the spatiality of displacement: Eviction from Mozambique’s Limpopo National Park. Area. (2-B)

Marta Gatti, Enrico Casale, Daniela Bezzi, (agosto-settembre 2014), Land Grabbing all’italiana, Popoli (cammini di giustizia). (2-B)

Martina Martelloni, (6 marzo 2013), Land Grabbing, il colonialismo del XXI secolo, Ghigliottina.it. (2-C)

Milgroom, J. (2015). Policy processes of a land grab: At the interface of politics ‘in the air’and politics ‘on the ground’in Massing ir, Mozambique. J. Peasant Stud. (2-B)

Poli, L. (2020). Land grabbing israeliano nei TO: devastazione ambientale, saccheggio delle terre coltivate, politiche coloniali di demolizione. Infopal. [ONLINE]. Disponibile da:

Ranganathan S (2019). Seasteads, Land-grabs and International Law. Leiden Journal of International Law (32). (1-A)

Riccardo Laurenti (2017-2018), Land Grabbing, tra neocolonialismo e possibilità di sviluppo: il caso del Sudan, Luiss, tesi di laurea. (2-B)

Rietberg, P.I.; Hospes, O. (2018). Unpacking land acquisition at the oil palm frontier: Obscuring customary rights and local authority in West Kalimantan, Indonesia. Asia Pac. Viewp. (2-B)

Rudi, L.M.; Azadi, H.;Witlox, F.; Lebailly, P. (2014). Land rights as an engine of growth? An analysis of Cambodian land grabs in the context of development theory. Land Use Policy. (2-B)

Scaldaferri, C. (2023). Albanese: "Nei Territori palestinesi occupazione e apartheid devono finire". AGI. [ONLINE]. Disponibile da: https://www.agi.it/estero/news/2023-01-12/francesca-albanese-relatrice-speciale-onu-territori-palestinesi-occupazione-apartheid-devono-finire-19604897/ (ultimo accesso 18 gennaio 2022) (2-B)

Silvia Granziero, (14 febbraio 2020), Il colonialismo esiste ancora, ha solo cambiato faccia, The Vision. (2-B)

Tienhaara, K. (2012). The potential perils of forest carbon contracts for developing countries: Cases from Africa. J. Peasant Stud. (2-B)

Tzouvala N (2019) A false Promise? Regulating Land-grabbing and the Post-colonial State Leiden Journal of International Law (32). (1-A)

Ufficio E-Commerce e Commercio Estero, Camera di commercio di Genova, (maggio 2019), Land Grabbing:la terra come investimento, Approfondimenti. (1-A)

UNHRC (2009). Report of the Special Rapporteur on the Right to Food Mr Olivier De Schutter, UN Doc. A/HRC/13/33/ Add.2. (1-A)

Von Bernstorff J (2013). The Global ‘Land-Grab’, Sovereignty and Human Rights. ESIL Reflections (2). (1-A)

Wischnewsky, S. (2021). Il ruolo dell’acqua nel conflitto isrealo -palestinese. Geopolitica.info. [ONLINE]. Disponibile da: https://www.geopolitica.info/il-ruolo-dellacqua-nel-conflitto-israelo-palestinese/ (ultimo accesso 18 gennaio 2022) (2-B)

Yang, B. & He, J. (2021). Global Land Grabbing: A Critical Review of Case Studies across the World. Land. [ONLINE] Disponibile da: https://www.mdpi.com/2073-445X/10/3/324 (ultimo accesso 18 gennaio 2022) (2-B)

Condividi il post