Le False Flag Operations nel Mondo Contemporaneo: Casi Edificanti e Controversie

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  05 ottobre 2023
  12 minuti, 58 secondi

A cura di: Jaohara Hatabi - Senior Researcher G.E.O. Politica

Abstract

Le False Flag Operations fanno parte di più ampie strategie militari e di intelligence che coinvolgono la creazione di eventi o incidenti falsi, attribuiti ad un'altra nazione o entità, al fine di giustificare una risposta o un'azione desiderata. Questa pubblicazione si propone di esaminare due casi emblematici di operazioni False Flag: l'Operazione Ajax e l'Operazione Northwoods. Questo studio analizza i dettagli di entrambe le operazioni, inclusi i motivi, gli attori coinvolti, le tattiche utilizzate e le conseguenze a breve e lungo termine. L'obiettivo principale è comprendere come tali operazioni siano state pianificate edeseguite e quali lezioni possiamo trarre da esse per il contesto geopolitico attuale.

Una prospettiva storica

Le False Flag Operations, ossia “operazioni sotto falsa bandiera” possono essere riconducibili al periodo in cui le navi pirata sollevavano la bandiera di uno Stato amico o neutrale per attirare coloro che sarebbero stati poi derubati, prima di issare la bandiera Jolly Roger all’ultimo momento e attaccare. Nell'uso moderno, un'operazione sotto falsa bandiera è un inganno deliberatamente pianificato per far sembrare che uno Stato sia stato attaccato, giustificando così operazioni militari di rappresaglia contro il presunto colpevole.

Con l'avvento della guerra moderna e di tattiche militari più sofisticate le False Flag Operations hanno assunto una forma più strutturata e complessa. Nel corso della storia contemporanea sono innumerevoli gli esempi di operazioni di questo tipo. Tra i più famosi si può senz’altro trovare un episodio accaduto nel 1931 – conosciuto come “l’incidente di Mukden” – durante il quale l’esercito giapponese utilizzò un’operazione di falsa bandiera per procedere all’occupazione della Manciuria. Il 18 settembre un soldato giapponese piazzò della dinamite lungo i binari della ferrovia della Manciuria meridionale, provocando un’esplosione che però non causò danni ingenti. I giapponesi condussero le proprie indagini arrivando ad accusare i nazionalisti cinesi per l’attacco. Proprio questo evento servì da pretesto per procedere con l’occupazione militare della Manciuria e la creazione dello stato fantoccio del Manciukuò. L’episodio suscitò l’interesse della Società delle Nazioni, che decise di condurre la propria investigazione sull’accaduto, che culminò nella Relazione Lytton, la quale stabiliva la colpevolezza giapponese.

Un altro tra i più celebri episodi fu il cosiddetto “incidente di Gleiwitz”, evento chiave della Seconda Guerra Mondiale accaduto il 31 agosto 1939, quando gli agenti delle SS tedesche crearono casus belli per giustificare l’invasione della Polonia. In quest’occasione gli agenti della Gestapo presero il controllo della stazione radio di Gleiwitz e trasmisero un messaggio falso in polacco, affermando di essere nazionalisti polacchi che stavano attaccando la Germania.

Gli esempi sopracitati sono solamente due della miriade di altre operazioni con scopi simili. La nazione che più ha beneficiato e fatto ricorso alle operazioni di falsa bandiera sono gli Stati Uniti, instaurando una vera e propria tradizione ancor prima di diventare una superpotenza. Casi come quello della USS Maine – una corazzata auto-distrutta nel 1898 per avviare la guerra contro l’Impero spagnolo che permetterà agli USA di ottenere Porto Rico, Guam e le Filippine, oltre a Cuba, che avrebbe ottenuto l’indipendenza sotto una sorta di protettorato statunitense. Altro caso emblematico fu l’incidente del Golfo del Tonchino, il casus belli che diede formalmente inizio alla guerra del Vietnam. Questo articolo analizzerà nel dettaglio gli avvenimenti e le conseguenze di due operazioni: l'Operazione Ajax avvenuta in Iran nel 1953 e l'Operazione Northwoods del 1962.

Operazione Ajax

Prima di poter analizzare nel dettaglio ciò che è stata e ciò che ha rappresentato l’Operazione Ajax, è necessario fornire un panorama del contesto politico dell’Iran precedente alla missione promossa nell’agosto del 1953 dal Regno Unito e dagli Stati Uniti.

Nel 1941, Muhammad Reza Pahlavi salì al trono in Iran e il suo governo dovette affrontare minacce alla stabilità dello Stato da parte di forze centrifughe. Nel 1945, con il supporto dell'Unione Sovietica, l'Azerbaigian dichiarò la sua autonomia, seguita nel 1946 dalla proclamazione dell'indipendenza della Repubblica di Mahabad nel Kurdistan. Nel frattempo, il Partito Comunista del Tudeh stava guadagnando sempre più potere e influenza, mentre si verificavano proteste dovute alla carenza di alimenti nel 1942.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il governo iraniano riuscì a negoziare un accordo con l'URSS per il ritiro delle truppe sovietiche dal Paese, permettendo a Reza Pahlavi di ristabilire l'autorità dell'Iran sull'Azerbaigian e sul Kurdistan, guadagnando l'approvazione dell'opinione pubblica. Tuttavia, nel 1949, quando lo Shah sfuggì a un attentato, dichiarò la legge marziale in risposta a gruppi guerriglieri operanti clandestinamente e all'espansione delle forze anti-monarchiche.

È opportuno osservare che la questione preminente emersa nell'ambito di questa analisi riguarda la gestione delle risorse petrolifere, che costituivano la principale fonte di reddito del Paese (Campanini, 2020). Nel contesto parlamentare, si registrava un crescente consenso per la nazionalizzazione dell'Anglo-Iranian Oil Company, ed è nel 1951, con l'insediamento di Mohammad Mossadeq in qualità di Primo Ministro, a rappresentare il Fronte Nazionale moderato, che venne promulgato il decreto di nazionalizzazione del settore petrolifero iraniano. È da notare che "La Gran Bretagna, colpita nel nucleo dei propri interessi e sfidata nel proprio ruolo di grande potenza, rispose inizialmente cercando il ricorso all'intervento internazionale presso la Corte Internazionale di Giustizia de L'Aja e, successivamente, invocando la risposta delle Nazioni Unite. In entrambe le circostanze, ottenne come risposta un'accoglienza fredda o un netto rifiuto, i quali, in pratica, convalidarono la legittimità dell'azione iraniana" (Campanini, 2020).

A questo punto, in risposta all'ostilità manifestata dalla comunità internazionale, il Regno Unito decise di intraprendere un'azione di boicottaggio commerciale nei confronti dell'Iran, intensificando il deterioramento delle condizioni economiche all'interno del Paese. Nel frattempo, Mossadeq adottò una serie di misure volte a limitare l'autorità del monarca attraverso la nomina del Ministro della Difesa e la riduzione del budget destinato alla corte reale. Furono anche promosse riforme agrarie e imposte tasse ai segmenti privilegiati della società. Queste iniziative suscitarono un'accoglienza positiva da parte del Partito Comunista del Tudeh, ma al contempo generarono notevoli opposizioni all'interno dell'organo parlamentare.

Con il passare del tempo, l'amministrazione di Mossadeq si caratterizzò per una crescente concentrazione di potere nelle mani del Primo Ministro, il quale si adoperò per consolidare un governo di carattere sempre più personalistico e autoritario. Tale evoluzione venne determinata dalla crescente complessità del panorama politico interno. Nel contesto di questa trasformazione politica, la popolazione iniziò a esprimere la richiesta di una forma di governo repubblicana, manifestando la propria insoddisfazione attraverso la rimozione di simboli monarchici, quali le statue dello Shah.

La sfida lanciata dal Primo Ministro iraniano nei confronti dell’ordine internazionale, unita alla preoccupazione per l'indebolimento della monarchia in un contesto di Guerra Fredda, convinse le potenze occidentali a intervenire, dando vita a quella che viene oggi riconosciuta come Operazione Ajax.

Il pretesto che diede ufficialmente inizio all’organizzazione del colpo di stato da parte del Regno Unito e degli Stati Uniti fu lo scioglimento del Parlamento da parte di Mossadeq, accusato di essersi autoconferito un “potere totale”. L’evento portò lo Shah a collaborare con la CIA e a dare inizio al primo tentativo (fallito) di colpo di stato. Egli infatti firmò dei decreti reali che prevedevano la deposizione di Mossadeq e la nomina di Fazlollah Zahedi, ma appena Mossadeq venne notificato del suo licenziamento, sostenne che lo Shah non possedeva tale potere e fece arrestare numerosi generali golpisti, costringendo lo Shah a fuggire prima in Iraq e poi a Roma. L’unico che riuscì a rimanere a piede libero in territorio iraniano fu Zahedi, che si occupò - insieme alla CIA e all’Ayatollah Behbahani - di elaborare un nuovo piano per deporre Mossadeq. In questo contesto venne sfruttato il sentimento di timore per una possibile rivoluzione comunista portata avanti dal Tudeh. Proprio questo fu il metodo utilizzato per la buona riuscita del golpe: i membri del Tudeh si unirono a dei falsi esponenti del partito (parte dell’Operazione Ajax) in una serie di proteste violente nelle strade iraniane, che portarono Mossadeq a non reagire altrettanto violentemente, ma, al contrario, a consegnarsi, lasciando di fatto che Zahedi lo sostituisse e allo Shah Reza Pahlavi di rientrare nel Paese e assumere il potere. La caduta di Mossadeq trasformò la monarchia dei Pahlavi da un regime autoritario a uno decisamente dittatoriale, mentre la figura di Mossadeq svanì nel nulla. Il petrolio rimase comunque sotto controllo nazionale, consentendo alla famiglia reale dei Pahlavi di sfruttarne le ricchezze per finanziare una politica di potenza e ammodernamento, in netto contrasto con le idee di Mossadeq.

Nonostante la CIA abbia negato per anni il proprio coinvolgimento, i documenti relativi all’operazione Ajax sono stati declassificati e resi pubblici da qualche anno. Il colpo di stato sicuramente alimentò le ostilità delle popolazioni mediorientali, soprattutto verso gli Stati Uniti, dato che, come fa notare Campanini, «esso rappresentò una provocatoria interferenza negli affari interni di un Paese sovrano e comunque favorì la nascita di un regime dittatoriale, ma consono alla visione strategica dell’Occidente».

Operazione Northwoods

L'Operazione Northwoods è stata concepita come un piano segreto (mai messo in atto) elaborato dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti nel 1962 per creare una giustificazione per un'azione militare contro il regime cubano di Fidel Castro. Anche in questo caso, come per l’Operazione Ajax, è necessario prima fornire un quadro storico per meglio comprendere le ragioni dietro le azioni statunitensi.

L’anno precedente, nel 1961, si era verificato il fallimento dell’invasione della Baia dei Porci, che mise in difficoltà la reputazione internazionale del presidente John F. Kennedy e fece perdere la direzione della CIA ad Allen Welsh Dulles. Ciò che non cambia rispetto al 1961 è proprio la volontà di rovesciare il regime castrista, non solo per la pericolosità di un regime comunista così vicino al territorio statunitense, ma anche per riguadagnare la fiducia del Presidente Kennedy, il quale continua a ritenere i vertici del DoD e DHS responsabili del fallimento dell’invasione della Baia dei Porci.

Proprio in questo contesto viene elaborato il piano contenuto nel documento “Justification for US Military Intervention in Cuba”, presentato dal Joint Chiefs of Staff (JCS) al Segretario della Difesa McNamara il 13 marzo 1962.

I documenti resi noti a cavallo tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila, in concomitanza con il rilascio della documentazione legata all’omicidio del Presidente John F. Kennedy, fanno trasparire come il piano prevedeva l'uso di operazioni sotto falsa bandiera di diverso tipo che avevano lo scopo di creare un consenso sia interno sia internazionale per un intervento militare statunitense contro Cuba.

Alcune azioni proposte includevano:

  • Incidenti coordinati a Guantanamo, apparentemente condotti da forze cubane nemiche, a cui gli USA risponderebbero con la garanzia di rifornimenti di acqua e carburante e distruggendo le installazioni di artiglieria e mortaio.
  • Incidente ispirato al caso “USS Maine” che può consistere nel far esplodere una nave americana a Guantanamo facendo ricadere la colpa su Cuba, o abbattere un velivolo telecomandato su acque territoriali cubane.
  • Avvio di una campagna terroristica di matrice comunista cubana in Florida o la simulazione di ostilità castrista in altre nazioni caraibiche.

Il Presidente John F. Kennedy non approvò mai il piano, al contrario, manifestò fin da subito una netta opposizione nei suoi confronti, riconoscendo che fosse moralmente inaccettabile e potenzialmente pericoloso per l’immagine degli Stati Uniti davanti alla comunità internazionale. La divulgazione del piano nell'ambito dell'Operazione Mongoose ha generato un significativo dibattito riguardo agli aspetti morali ed etici delle operazioni sotto falsa bandiera e all'utilizzo del potere militare per scopi politici. Benché l'Operazione Northwoods non abbia mai visto l'attuazione pratica, la sua mera esistenza ha sollevato interrogativi concernenti l'impiego di tattiche manipolative e di disinformazione da parte delle istituzioni governative. A questo proposito, lo scrittore e giornalista James Bamford, da sempre impegnato in tematiche riguardanti le agenzie di intelligence statunitensi, dichiara che l’Operazione Northwoods “potrebbe essere il piano più corrotto mai creato dal governo degli Stati Uniti”.

Conclusioni

Le False Flag Operations rappresentano un'area grigia delle relazioni internazionali, in cui il confine tra la verità e la menzogna può essere sfumato. Quando vengono attuate, possono dar luogo a una vasta gamma di conseguenze intricate e di rilevanza considerevole. Tra queste, figurano le potenziali risposte militari o politiche, che potrebbero derivare dalla legittimazione di azioni coercitive contro l'entità ritenuta responsabile, talvolta culminando in conflitti armati, sanzioni economiche o isolamento diplomatico. Inoltre, tali operazioni possono innescare l'instabilità regionale, alimentando tensioni e conflitti all'interno di una specifica area geografica. Tale instabilità ha il potenziale di perdurare nel tempo, influenzando la sicurezza e la tenuta della zona coinvolta. Le operazioni sotto falsa bandiera possono altresì condurre a repressioni interne, con il governo che potrebbe sfruttarle come pretesto per reprimere gruppi dissidenti o oppositori politici, con conseguenti violazioni dei diritti umani e limitazioni delle libertà civili.

È fondamentale riconoscere che tali operazioni suscitano importanti interrogativi di natura etica, politica ed etica. Pertanto, la loro comprensione riveste un'importanza cruciale per accademici, figure politiche e l'opinione pubblica in generale nell'attuale era, in cui la disinformazione e la manipolazione delle informazioni stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante nelle dinamiche geopolitiche globali. Come evidenziato in questa analisi, il coinvolgimento di una potenza di prim'ordine come gli Stati Uniti in operazioni di falsa bandiera mette in luce la sfida di bilanciare gli interessi nazionali con le norme internazionali e i principi democratici. Questi episodi storici ci spingono a riflettere sulla necessità di maggiore trasparenza, responsabilità e supervisione nell'uso del potere militare e delle strategie politiche, al fine di preservare l'integrità dell'ordine internazionale e dei valori democratici.

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