Le popolazioni native al di fuori dello Stato. Il caso dell’America Latina

  Focus - Allegati
  30 giugno 2023
  19 minuti, 35 secondi

a cura di:

Francisco Durán - Head Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società

Marco Rizzi - Senior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società

Matteo Restivo - Senior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società


Abstract

A partire dall’ultimo decennio del 1900, gli Stati latinoamericani hanno iniziato a sviluppare nuovi modelli costituzionali che colmassero le lacune economico-sociali esistenti, ereditate dai periodi coloniali e dalle più recenti monarchie. Quest’ultime riguardano, in particolare, la condizione di vita e i diritti delle popolazioni indigene. Nonostante i netti miglioramenti sulla carta, esistono alcuni casi - come quelli del Brasile, della Colombia e del Cile - che ci permettono di riflettere sulla sopravvivenza di alcune gravi criticità nei sistemi di tutela delle popolazioni native, ancora “al di fuori dello Stato”.



1. Introduzione

L’America Latina è attraversata da trasformazioni politiche e istituzionali che vanno avanti ormai da decenni e che hanno reso il Continente un laboratorio per il costituzionalismo, dove si intrecciano conquiste e sconfitte nell’ambito dei diritti umani, ridotte o forti conflittualità che interessano trasversalmente i diversi strati della società e, dunque, sfide e nuove opportunità che interessano tutto il Pianeta.

In contesti caratterizzati dalla concentrazione della ricchezza nelle mani di poche famiglie e grandi gruppi, e da una diseguaglianza economica elevatissima, si è cercato di introdurre nelle Costituzioni elementi di riequilibrio - in primo luogo i diritti economico-sociali - accompagnati dal principio di non discriminazione e di eguaglianza sostanziale.

Si è dato così luogo, a partire da quella brasiliana del 1988 e quella colombiana del 1991, a Costituzioni assai lunghe e dettagliate, con centinaia e centinaia di articoli, piene di princìpi astratti, che costituiscono altrettante promesse scritte sulla carta, in attesa di essere concretizzate con politiche pubbliche adeguate.

Questa tendenza è stata ulteriormente enfatizzata nei decenni più recenti, quando Paesi come il Venezuela (1999), l’Ecuador (2008), la Bolivia (2009) si sono dotati di Costituzioni ancora più innovative, finalizzate alla inclusione di princìpi e valori dei popoli indigeni, spesso legati alla protezione dell’ambiente. Così, sono stati scritti nelle Costituzioni i diritti della natura, della madre Terra, delle generazioni future: su questa base si è iniziato a parlare di un “neocostituzionalismo” latinoamericano, caratterizzato appunto da nuovi diritti e da una accentuazione del carattere pluralista.

Tuttavia, questi importanti cambiamenti non sono stati capaci di modificare in profondità i rapporti di potere e aggredire effettivamente le diseguaglianze e le gerarchie sociali. Molto spesso, le forme di governo che hanno assunto i Paesi della Regione hanno generato personalismi esasperati, tendenze populistiche o anche autoritarie (come nel Brasile di Bolsonaro), fornendo un assetto istituzionale inadeguato allo sviluppo di una vera e propria dialettica pluralista.

Attraverso l’analisi dell’evoluzione normativa nei confronti delle popolazioni indigene in America Latina, distinta per tre differenti casi, l’obiettivo è quello di evidenziare gli effettivi cambiamenti - positivi o negativi - che ci sono stati nel rapporto con questi popoli.

2. Il caso del Brasile

In età precoloniale gli indigeni brasiliani erano titolari di un diritto soggettivo originario sui territori da essi occupati, ma con l’inizio della politica di conquista aggressiva dei coloni europei - dopo il loro arrivo in America Latina intorno al 1532 - lo scenario si trasforma.

Età coloniale e avvento della Monarchia

Dalla seconda metà del Cinquecento si iniziano a stabilizzare le relazioni fra coloni e autoctoni; ma è solo nel 1680 che si procede ad una definizione giuridica dello “status di indigeno”, attraverso l’editto reale portoghese conosciuto come Alvará Regio, con l’attribuzione di una capacità limitata e l’istituzione di un regime speciale di protezione (Gentili, 2009).

L’indipendenza politica del Brasile e l’avvento della monarchia non hanno apportato mutamenti significativi in relazione alla politica indigena, che anzi ha continuato sulle stesse direttrici del periodo coloniale. La Costituzione del 1824 non prevedeva l’esistenza delle società indigene, al contrario aderiva ad una concezione di società brasiliana ideale, omogenea e in armonia. Questo equivale a disconoscere la diversità etnica e culturale che attraversa tutto il territorio brasiliano (Gentili, 2009).

I diritti riconosciuti durante il Novecento: SPI e FUNAI

Quando durante il XVI Congresso de Americanistas, con sede a Vienna nel 1908, vennero denunciati a livello internazionale i massacri perpetrati a danno degli indigeni, il governo brasiliano dovette rivedere la propria posizione ed intraprese una politica più attenta alle esigenze delle popolazioni autoctone, offrendo loro forme di protezione e assistenza ufficiali.

All’interno di questo programma rientra l’istituzione nel 1910 del Servizio di protezione degli indigeni (SPI), quale organo del governo federale incaricato di attuare una politica di protezione degli indigeni. Il SPI aveva il compito di delimitare le terre indigene e di difenderle da eventuali invasioni. Doveva inoltre proteggere la popolazione dallo sfruttamento e prestare i servizi essenziali quali quelli della salute e dell’educazione, affiancando all’istruzione elementare anche una preparazione sulle tecniche di coltivazione e di amministrazione dei beni.

Tuttavia, nel 1967 il governo militare promosse un’inchiesta, durante la quale emersero le gravi violazioni compiute dal SPI e vennero raccolte numerose prove a sostegno della tesi dello sterminio sistematico degli indigeni, tanto che di lì a poco seguirono una serie di processi, ed il Serviço de Proteçao fu sciolto.

La Fondazione nazionale dell’Indio (FUNAI) è stata introdotta nell’ordinamento brasiliano con la legge n. 5371 del 5 dicembre 1967, in sostituzione del precedente SPI. Tra le sue competenze più rilevanti si possono evidenziare: la promozione dell’educazione elementare degli indios; la delimitazione, la sicurezza e la protezione delle terre da questi tradizionalmente occupate; infine, lo stimolo ad uno sviluppo culturale e sociale. Ulteriore principale obiettivo è quello di impedire il verificarsi di azioni predatorie all’interno dei loro confini ovvero azioni che rappresentino un rischio per la vita e la salvaguardia di queste popolazioni e del loro patrimonio culturale (Gentili, 2009).

Poco tempo dopo l’istituzione della FUNAI, con L. n. 6001 del 19 dicembre 1973, è pubblicato l’Estatuto do Indio, fonte principale per la qualificazione giuridica dell’indio e della comunità indigena all’interno del sistema brasiliano.

Se da un lato lo Statuto ha il merito di aver disciplinato compiutamente un settore del diritto estremamente confuso e lacunoso, dall’altro tale testo normativo soffre i limiti derivanti dal rigido autoritarismo politico - sviluppandosi durante un periodo di forte dittatura militare - e dalla struttura della società di allora, caratterizzata da una profonda frammentazione interna e da diffuse forme di esclusione sociale (Gentili, 2009).

Gli sviluppi più recenti: strada spianata al “Marco Temporal”

Nonostante i riconoscimenti a livello costituzionale e gli sforzi dal punto di vista legislativo, non sono infrequenti le dispute, caratterizzate in prevalenza da atti violenti e pratiche intimidatorie da parte dei privati interessati allo sfruttamento delle terre occupate dagli indigeni. Ha segnato la svolta il c.d. “Decreto di omologazione”, sottoscritto dal Presidente Lula in data 15 aprile 2005, il quale stabilisce che l’individuazione dei territori da riconoscere nella piena disponibilità dei nativi brasiliani si debba fondare sul criterio della demarcazione “continua”, di contro alle posizioni critiche dell’area politica conservatrice nazionale che sostenevano invece la necessità di procedere ad una demarcazione “ad isola” (Gentili, 2009).

Dopo più di tre anni, nel dicembre 2008, otto degli undici componenti della Corte hanno manifestato il proprio voto favorevole all’integrità territoriale delle comunità indigene, ritenendo tale interpretazione come maggiormente conforme a Costituzione. La soluzione definitiva è giunta il 19 marzo 2009, quando finalmente il STF ha emesso una sentenza, attraverso la quale ha confermato l’integrità territoriale della riserva (Gentili, 2009).

Ad ogni modo, i progressi fatti nella normativa nei confronti degli indigeni negli ultimi quarant’anni, sono stati messi a repentaglio dall’elezione dell’ex presidente Jair Bolsonaro. Quest’ultimo ha trasferito la competenza sul processo di restituzione delle terre ai nativi dalla FUNAI al Ministero dell’Agricoltura. Non si tratta di una mera questione amministrativa: questo “passaggio di consegne” è uno dei cavalli di battaglia dei proprietari terrieri, a cui fanno riferimento circa un terzo dei parlamentari nazionali, riuniti nella c.d. “Bancada ruralista” (Capuzzi, 2019).

Questo gesto ha rappresentato l’inizio dell’instaurazione di una politica aggressiva nei confronti degli indigeni, che è confluita nella recente approvazione da parte della camera dei deputati brasiliana del progetto di legge 490, meglio conosciuto come “Marco Temporal” (Battistessa, 2023).

Questa norma si centra nella modificazione del criterio di riconoscimento delle terre indigene nel paese dell’America Latina, stabilendo come punto di partenza temporale, per essere riconosciute, il giorno dell’entrata in vigore dell’attuale Costituzione, ovvero il 5 ottobre 1988. Pertanto, i popoli indigeni che non possono dimostrare di aver abitato fisicamente quelle che dichiarano essere le loro terre nel giorno della promulgazione della Costituzione brasiliana, non avranno più diritti su di esse. Una limitazione arbitraria del diritto delle comunità indigene al proprio territorio che reitera una violenza sistematica contro la loro stessa esistenza e la loro appartenenza all’identità nazionale del Brasile (Battistessa, 2023).



3. Il caso colombiano

La seguente sezione si propone di analizzare lo stato attuale del diritto interno colombiano nella regolamentazione delle relazioni con le popolazioni indigene presenti sul proprio territorio.

Quadro normativo

I diritti delle popolazioni indigene nella Costituzione colombiana rivestono un ruolo di primaria importanza nel contesto nazionale. La Colombia, come molti altri paesi dell'America Centrale e del Sud, affronta la sfida di garantire la protezione dei diritti delle popolazioni indigene che risiedono sul proprio territorio. A tal fine, la Costituzione colombiana del 1991 rappresenta un solido punto di riferimento normativo (Semper, 2006).

L'articolo 286 della Costituzione stabilisce il riconoscimento dei diritti territoriali delle comunità indigene e il loro diritto all'autogoverno. Tale disposizione costituzionale sancisce il diritto delle comunità indigene di abitare e utilizzare le terre tradizionalmente occupate, nonché di partecipare attivamente alla gestione e alla conservazione delle risorse naturali presenti all'interno di tali territori. Il riconoscimento costituzionale dei diritti territoriali delle comunità indigene riveste una fondamentale importanza per la preservazione dell'identità, della cultura e dello stile di vita di queste popolazioni. Inoltre, esso consente alle comunità indigene di mantenere saldi i loro legami tradizionali con il territorio, che costituisce spesso un elemento centrale dell'identità collettiva (Semper, 2006; Rosero Sotelo, 2007, Valenzuela, 2020).

Un altro articolo di rilievo è l'articolo 329, che garantisce ai membri delle popolazioni indigene il diritto alla preservazione e allo sviluppo delle loro culture, lingue, religioni e pratiche tradizionali. Questa disposizione sottolinea l'importanza di tutelare la diversità culturale e valorizzare la conoscenza tradizionale delle comunità indigene. Ciò comporta inoltre l’inclusione di rappresentanti delle comunità indigene nella definizione delle politiche culturali, l'implementazione di programmi educativi che tengano conto della diversità culturale e la promozione di un accesso equo alle risorse e ai servizi per le comunità indigene (Semper, 2006; Valenzuela, 2020).

Rapporto giuridico-sociale e sfide per le popolazioni indigene

Nonostante il riconoscimento costituzionale dei diritti delle popolazioni indigene nella Costituzione colombiana, si evidenziano ancora numerose sfide che queste comunità devono affrontare nell'effettivo esercizio dei loro diritti (Valenzuela, 2020). Tra queste, una delle principali questioni riguarda il riconoscimento e la delimitazione dei territori indigeni. Nonostante i diritti territoriali siano sanciti dalla Costituzione, si verificano frequentemente conflitti legati all'appropriazione delle terre indigene da parte di attori esterni, come imprese minerarie, agricoltori intensivi o il governo stesso (Macpherson et al. 2020).

In primo luogo, le comunità indigene devono spesso far fronte alla minaccia dell'estrazione mineraria illegale o non regolamentata all'interno dei loro territori. Aziende o gruppi illegali intraprendono attività di estrazione mineraria senza il consenso delle comunità interessate, provocando gravi danni ambientali, contaminazione delle risorse idriche e distruzione degli habitat naturali (Velasco, 2011).

In secondo luogo, le comunità indigene si trovano frequentemente ad affrontare la presenza di coloni non indigeni che illegalmente sfruttano le loro terre per l'agricoltura commerciale. Ciò comporta conflitti territoriali e priva le comunità indigene del loro accesso tradizionale alle risorse naturali (Macpherson et al. 2020; Velasco, 2011).

Infine, l'implementazione di grandi progetti infrastrutturali, come la costruzione di strade, dighe o impianti energetici, può violare i diritti territoriali delle popolazioni indigene. Questi progetti spesso vengono realizzati senza il consenso o la consultazione preventiva delle comunità indigene interessate, portando alla distruzione degli ecosistemi, alla perdita di terre e risorse vitali e all'alterazione delle tradizioni culturali e sociali delle comunità (Macpherson et al. 2020; Acosta et al. 2019). Tutti questi conflitti possono degenerare in violenze e violazioni dei diritti umani delle comunità indigene.

Inoltre, la consultazione e la partecipazione effettiva delle comunità nelle decisioni che li riguardano sono spesso limitate o ignorate. Mancano altresì risorse adeguate a garantire l'attuazione dei diritti delle popolazioni indigene che spesso si ritrovano in condizioni di povertà e marginalizzazione, con un accesso limitato a servizi di base come istruzione e assistenza sanitaria (Velasco, 2011). Questa mancanza di considerazione delle conoscenze tradizionali e delle esigenze delle comunità indigene nella pianificazione e nell'attuazione di politiche e progetti spesso possono avere un impatto significativo sul loro territorio e sul loro modo di vita. Ciò crea dunque un importante divario tra i diritti riconosciuti dalle leggi e la loro effettiva attuazione nella pratica, compromettendo il benessere e l'autodeterminazione delle popolazioni indigene (Acosta et al. 2019: Valenzuela, 2020).

Contributo del sistema internazionale

La fragilità della struttura internazionale nella difesa dei diritti delle popolazioni indigene rappresenta un aspetto rilevante nel contesto colombiano. Sebbene l'ordinamento giuridico interno della Colombia abbia riconosciuto i diritti delle popolazioni indigene attraverso la Costituzione, l'applicazione pratica di tali diritti in diverse circostanze è compromessa dalla mancanza di un solido quadro internazionale di protezione. Gli strumenti internazionali, come la Convenzione n. 169 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro o come la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni, rappresentano un punto di riferimento che stabilisce i diritti individuali e collettivi delle popolazioni indigene, compresi i loro diritti territoriali, culturali e di autodeterminazione (Marcelli, 2009; Lazzerini, 2016; Borgnino et al. 2008).

Tuttavia, nonostante questi importanti strumenti, la loro implementazione rimane spesso inefficiente a causa della mancanza di meccanismi efficaci e poteri di coercizione per monitorare e far rispettare i diritti delle popolazioni indigene, rendendo dunque difficile garantire che gli Stati adempiano ai loro obblighi internazionali e proteggano i diritti delle popolazioni indigene sul proprio territorio. Inoltre, la fragilità della struttura internazionale risiede anche nella mancanza di una standardizzazione delle norme e delle pratiche relative ai diritti delle popolazioni indigene poiché ogni Stato gode di una propria legislazione nazionale che disciplina i diritti e le politiche in materia di popolazioni indigene, portando a differenze significative nelle norme e negli standard di protezione e tutela dei diritti di queste popolazioni (Marcelli, 2009; Wiessner, 2011).

In conclusione, sebbene la Costituzione colombiana riconosca i diritti delle popolazioni indigene, il rapporto giuridico-sociale con queste comunità presenta ancora diverse sfide. La fragilità della struttura internazionale nella difesa dei diritti delle popolazioni indigene rende ancora più cruciale l'attuazione efficace della normativa interna e l'adozione di politiche inclusive ed equilibrate. Solo attraverso un impegno concreto e sostenuto, volte a promuovere un dialogo interculturale e a rafforzare dei meccanismi di consultazione e partecipazione sarà possibile garantire una maggiore tutela dei diritti delle popolazioni indigene in Colombia e promuovere un'autentica inclusione sociale e culturale.

4. Il caso cileno

Il caso cileno riguardante il riconoscimento giuridico delle popolazioni indigene è indubbiamente di grande importanza. Bisogna tenere conto della presenza di una notevole diversità culturale e territoriale che supera i confini del continente. Secondo il CENSO del 2017, oltre il 10% della popolazione cilena è di origine indigena, rappresentando circa 2,2 milioni di persone. Tra le comunità indigene più rappresentative in Cile, vi sono gli Aymara e i Diaguita; entrambi situati nelle regioni montane della Cordillera de los Andes nel nord del paese. Inoltre, ci sono i Rapa Nui o Pascuenses, di origine maori, che vivono nell'Isola di Pasqua, situata nel mezzo dell'Oceano Pacifico, e le comunità Kaweshkar e Yamana che si trovano lungo i canali della Terra del Fuoco, nella regione della Patagonia. Infine, i Mapuche rappresentano il popolo indigeno più numeroso del paese.


Legge Indigena del 1993

La legge indigena rappresenta un accordo stipulato tra le organizzazioni indigene e l'esecutivo, nel tentativo di ripristinare le relazioni tra le comunità indigene e lo Stato cileno, che erano state interrotte durante il periodo di dittatura. Si tratta di una normativa di ambito prevalentemente rurale, nel senso che si occupa maggiormente degli indios che vivono in campagna, rispetto a quelli stanziati nei centri urbani, riconosce cioè il legame del singolo individuo indigeno con la terra, e i relativi diritti per coloro che vivono nelle comunidades, ma lascia fuori coloro che forzatamente sono emigrati nelle città, che di fatto continuano a sentirsi e ad essere indigeni. (Vignola, 2009)

In generale la legislazione cilena non riconosce i diversi tipi di possesso tradizionali e il profondo legame spirituale che gli indios hanno con la terra, ma impone quelli disciplinati dalla legge civile comune, seguendo come unico criterio di accreditamento del dominio della terra, il possesso della documentazione scritta della proprietà.

In relazione al riconoscimento giuridico degli usi e delle abitudini, la legislazione contempla la possibilità di conferire validità alla consuetudine indigena come fonte di diritto, purché tale consuetudine venga invocata e applicata da individui appartenenti a specifiche comunità indigene e nella misura in cui non contravvenga ai principi e alle disposizioni della Costituzione.

Legge di Pasqua del 1966

La Legge di Pasqua ha incorporato il territorio insulare nella divisione amministrativa dello Stato. In materia di amministrazione della giustizia, la legge ha istituito un Tribunale di prima istanza di maggiori quantità, per il quale ha stabilito norme procedurali speciali volte a semplificare le procedure.

Inoltre, ha introdotto un regime penale speciale che prevede una riduzione della pena applicabile a una vasta gamma di reati, inclusi i reati sessuali, commessi dai nativi dell'isola e una forma alternativa di esecuzione delle pene, di applicazione generale. Durante la discussione legislativa, l'Esecutivo ha giustificato questo statuto da una concezione deterministica del comportamento sociale, in cui il fattore fondamentale sarebbe l'ambiente, con alcune influenze razziali. Gli studi storici ed etnografici esaminati escludono l'esistenza di un tratto identitario o di un comportamento culturale ricorrente nella cultura Rapa Nui che giustifichi o tolleri la violenza sessuale contro le donne.

Nel maggio del 2022, grazie alla pressione dei gruppi femministi e delle organizzazioni internazionali per i diritti delle donne, è stata promulgata una legge che abroga gli articoli che riducevano la pena, omogeneizzando le sanzioni in tutto il territorio nazionale.


Proposta di nuova Costituzione del 2022

Infine, l'ultimo e più profondo intento di riforma in materia era contenuto nella bozza della proposta costituzionale, che è stata bocciata dal 62% dei cileni che hanno partecipato al plebiscito a Settembre 2022 Il testo si caratterizza per la presenza dei seguenti elementi di novità:

  • Riconoscimento Costituzionale: Il Cile si definisce, già nell'articolo 1 della bozza, come uno "Stato Plurinazionale, interculturale, regionale ed ecologico". Inoltre, indica che "È dovere dello Stato rispettare, promuovere, proteggere e garantire l'esercizio della libera determinazione, i diritti collettivi e individuali di cui sono titolari e la loro effettiva partecipazione nell'esercizio e nella distribuzione del potere (...)". In più, la proposta enumera l'esistenza di 11 popolazione indigene, dunque nazioni diverse nel territorio, e attribuisce alla legge la facoltà di riconoscerne altre.

  • Principio di Interculturalità: Lo Stato assume il dovere di proteggere costituzionalmente la cultura e le tradizioni di ogni popolo, il che include elementi come la loro diversità etnica e le proprie lingue. In questo modo, promuove il dialogo interculturale, orizzontale e trasversale tra le diverse visioni del mondo dei popoli e delle nazioni che convivono nel paese.

  • Autonomia Territoriale: La proprietà delle terre indigene gode di una protezione speciale. Lo Stato stabilirà strumenti giuridici efficaci per il catasto, la regolamentazione, la delimitazione, la titolazione, la riparazione e la restituzione. La restituzione costituisce un meccanismo preferenziale di riparazione, di utilità pubblica e di interesse generale.

  • Pluralismo Giuridico: La funzione giurisdizionale si definisce nella sua struttura, integrazione e procedimenti in conformità ai principi di plurinazionalità, pluralismo giuridico e interculturalità. Quando si tratta di persone indigene, i tribunali e i loro funzionari devono adottare una prospettiva interculturale nel trattamento e nella risoluzione delle questioni di loro competenza, prendendo adeguatamente in considerazione le usanze, le tradizioni, i protocolli e i sistemi normativi dei popoli indigeni. Tutto ciò trova come limite i trattati e gli strumenti internazionali sui diritti umani dei quali il Cile è parte.

5. Conclusioni

Nel caso del Brasile, si evidenzia come le politiche di conquista e colonizzazione abbiano profondamente modificato la situazione delle popolazioni indigene nel corso dei secoli. Nonostante l'istituzione di organi di protezione come il Servizio di protezione degli indigeni (SPI) e successivamente la Fondazione nazionale dell'Indio (FUNAI), sono emersi gravi abusi e violazioni dei diritti degli indigeni. Recentemente, l'elezione del presidente Jair Bolsonaro ha rappresentato un'ulteriore minaccia per le popolazioni indigene, con politiche aggressive e la proposta di leggi come il "Marco Temporal", che limita i diritti delle comunità indigene sulle loro terre.

Nel caso della Colombia, la Costituzione del 1991 ha riconosciuto i diritti territoriali e l'autogoverno delle comunità indigene. Tuttavia, nonostante questo riconoscimento formale, le popolazioni indigene affrontano ancora sfide significative nella protezione dei loro diritti. Sono presenti tensioni e conflitti legati all'uso delle risorse naturali e alla presenza di attori armati non statali nei territori indigeni.

D'altro canto, il caso cileno suscita una profonda riflessione sulla mancanza di una volontà definita per adottare un approccio più ampio. La presenza di interessi correlati diversi rende estremamente complessa la regolamentazione di questa materia, diventando un argomento caratterizzato da un difficile processo di compromesso.

Complessivamente, è evidente come i cambiamenti normativi e costituzionali abbiano rappresentato un progresso importante per i diritti delle popolazioni indigene in America Latina. Tuttavia, rimangono sfide significative nell'effettiva attuazione e tutela di tali diritti. Le politiche governative, l'ingerenza di interessi economici e l'instabilità politica rappresentano ancora ostacoli per una reale inclusione e protezione delle popolazioni indigene.




Fonti

Vignola. M (2009). I diritti dei popoli indigena (1-A)

Legge Indigena 19.253/93 - Repubblica del Cile (1-A)

Legge di Pasqua 16.441/66 - Repubblica del Cile (1-A)

Proposta di Costituzione Politica della Repubblica del Cile del 2022 (1-A)

Acosta García, N., & Farrell, K. N. (2019). Crafting electricity through social protest: Afro-descendant and indigenous Embera communities protesting for hydroelectric infrastructure in Utría National Park, Colombia. Environment and Planning D: Society and Space, 37(2), 236-254. (1-B)

Battistessa, D. (2023). Popoli indigeni del Brasile: una nuova legge mette in pericolo i loro diritti. Osservatorio Diritti. Disponibile online da: https://www.osservatoriodiritti.it/2023/06/06/popoli-indigeni-brasile/. (2-B)

Borgnino, E., & Tescari, G. (2008). Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. (1-A)

Capuzzi, L. (2019). Bolsonaro non perde tempo: guerra agli Indios. Avvenire. Disponibile online da: https://www.avvenire.it/mondo/pagine/brasile-bolsonaro-non-perde-tempo-guerra-agli-indios. (2-B)

Lazzerini, I. (2016). Terre contese: la Convenzione ILO n. 169 in Argentina e in Cile. Terre contese, 1-139. (1-A)

Macpherson, E., Torres Ventura, J., & Clavijo Ospina, F. (2020). Constitutional law, ecosystems, and indigenous peoples in Colombia: Biocultural rights and legal subjects. Transnational Environmental Law, 9(3), 521-540. (1-A)

Marcelli, F. (2009). I Diritti Dei Popoli Indigeni (1-A)

Rosero Sotelo, M. A. (2007). La regulación de la ley orgánica de ordenamiento territorial: solución de la crisis social y económica que afecta a Colombia (Doctoral dissertation). Universidad de Naraiño. (1-A)

Semper, F. (2006). Los derechos de los pueblos indígenas de Colombia en la jurisprudencia de la Corte Constitucional. Anuario de derecho constitucional latinoamericano, 2, 761-778. (1-A)

Valenzuela, A. M. (2020). El derecho de los pueblos indígenas a la autodeterminación. Boletín Informativo CEI, 7(3), 15-20. (1-A)

Velasco, M. (2011). Contested territoriality: Ethnic challenges to Colombia's territorial regimes. Bulletin of Latin American Research, 30(2), 213-228. (1-A)

Wiessner, S. (2011). The cultural rights of indigenous peoples: achievements and continuing challenges. European Journal of International Law, 22(1), 121-140. (1-A)





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