L’Unione Europea nel Sahel: il tramonto di un’aspirazione decennale?

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  09 novembre 2023
  13 minuti, 49 secondi

Chiara Merlin-Junior Researcher G.E.O.- Area Politica


Abstract

Nel 2023 sono avvenuti tre colpi di stato nel continente africano, in particolare nella regione del Sahel. Una cifra senza precedenti. Il Sahel è da tempo un’area geografica molto discussa a causa della sua instabilità politica, economica e sociale. Questi colpi di stato non sono altro che la conferma della sua precarietà e si aggiungono ai tanti che a partire dal 2020 si sono succeduti in Sahel, come in Burkina Faso e Mali. Alcuni teorizzano che siano strettamente collegati tra loro proprio per l’incapacità delle amministrazioni militari di combattere i ribelli (Al Jazeera, 2023).

Questo articolo ha come obiettivo quello di indagare i colpi di stato avvenuti in Sudan, Niger e Gabon, e il loro collegamento politico ed economico con l’equilibrio dell’Unione Europea. In un’accezione strettamente territoriale, Il Gabon non rientra nella regione, ma viene teorizzato che il concetto di Sahel possa essere in realtà variabile agli stati limitrofi (Treccani). Pertanto in questo lavoro si considera il Gabon come parte del Sahel (Jerusalem Post). E’ comune il pensiero che questi tipi di eventi siano isolati e lontani dall’Europa. Tuttavia, sono molto più vicini di quanto si pensi in termini di conseguenze per il continente europeo .

Il colpo iniziale: Sudan

Il 14 aprile 2023, le forze paramilitari della RSF, Rapid Support Forces attaccano il centro del potere Sudanese, le installazioni dell’esercito nazionale e l’aeroporto di Merowe nel nord del Sudan. A tre giorni dall’anniversario della caduta della dittatura di Omar Al-Bashir e dopo anni di lotte per cercare un cambiamento paradigmatico all’interno della politica Sudanese, le milizie della RSF iniziano una serie di scontri nella città di Khartoum, la capitale del paese. Il conflitto, però, ha radici più antiche: da molto tempo, il potere centrale del Sudan era contestato a causa del regime dittatoriale instaurato da Al-Bashir e durato per ben trent’anni. Dopo numerose manifestazioni a favore di un cambio di regime, nel 2019, il dittatore viene deposto dall’esercito nazionale guidato da Abdel Fattah al Burhan. Da quel momento, si è assistito a un dualismo di vedute tra la società civile, in cui risiedeva la volontà di creare un governo democratico, e l’esercito sudanese che voleva mantenere le redini del potere. L’esercito nazionale del Sudan non era l’unico nella scena strategico-militare, al contrario, un suo ramo è composto dalle Milizie di Supporto Rapido, le RSF, guidate da Mohammed Hamdan Dagalo denominato anche Hemetti. E’ da sottolineare la storia delle milizie RSF, che sono il lascito delle milizie Janjaweed, disposte per il conflitto del Darfur negli anni 2000. Questi due rami difensivi hanno ottenuto finanziamenti da due diversi investitori: l’Egitto per l’esercito sudanese nazionale e gli Emirati Arabi Uniti per le RSF , le quali sono in rapporti d’affari con la compagnia miliziana russa, Wagner, cosa che risulterà fondamentale all’interno delle proteste e la risonanza internazionale dell’evento (Internazionale, 2023).

Il conflitto apertosi il 14 aprile è stato frutto di settimane intense all’interno dell’apparato militare: le milizie nazionali volevano riformare l’esercito, centralizzando il potere d’azione e includendo le RSF, che avrebbero dovuto “sottomettersi” alle fila dell’esercito nazionale. Chiaramente, questo significava per le RSF perdere parte del loro potere, cosa che Hemetti non poteva accettare. Così sono iniziati gli scontri, che già dai primi giorni hanno provocato numerosi feriti e vittime, nonché il ritiro dei programmi di aiuto internazionale a favore delle precarietà della popolazione. La città più colpita, oltre i villaggi interni, è stata proprio la capitale del paese Khartoum. Nel giro di pochi giorni il bilancio si è aggravato: interi quartieri distrutti, 2,2 milioni di persone costrette a scappare e a cercare rifugio altrove. Fin da subito, l’ONU ha riportato una difficile situazione umanitaria. Sono stati creati corridoi umanitari, messo al riparo i pochi centri di soccorso disponibili, ma la situazione continuava a restare grave per la popolazione in difficoltà. Si è tentata una tregua di 24 ore ma i combattimenti sono ri-iniziati quasi immediatamente con l'attacco da parte delle RSF.

Il conflitto, a distanza di mesi, non si è concluso. al contrario continua silenziosamente a perdurare nel Sudan, e in particolare nelle zone interne. Secondo un recente rapporto di Relief International, il conflitto procede lentamente a causa delle condizioni climatiche avverse, ma tuttavia non c’è stata una tregua né tantomeno una risoluzione di pace. L’UE, così come le principali agenzie ONU di aiuto umanitario, hanno stanziato fin da subito fondi e aiuti sul campo per prevenire l’aggravarsi della situazione. In particolare l’UNITAMS, una missione ONU creata nel 2020 per accompagnare la transizione alla democrazia, continua a lavorare in presenza seppur in maniera ridotta, supportando gli attori politici a instaurare un dialogo, e nonostante Volker Perthes, capo della missione UNITAMS sia stato dichiarato “persona non grata” dalle autorità sudanesi (UN News).

L’Unione Europea, ha stanziato fondi per aiuti umanitari al fine di supportare i civili sfollati e reduci dagli scontri: grazie ai finanziamenti sono stati realizzati due ponti aerei per la spedizione di beni di prima necessità; supporto alla Croce Rossa sudanese con un budget di 200 mila euro per il primo soccorso; sono stati inviati operatori umanitari ed esperti di crisi umanitarie per valutare le situazioni di emergenze e necessità; c’è stata la mobilitazione del Meccanismo di Protezione Civile Europea, che ha permesso il rimpatrio di più 700 persone in Europa. L’UE ha ribadito la necessità di rispettare il diritto umanitario internazionale.



Effetto Domino: Niger

A pochi mesi dall’inizio del conflitto in Sudan, un nuovo Stato si aggiunge a scuotere i precari equilibri del Sahel: il Niger. Il 26 Luglio 2023, l’esercito nazionale guidato da Abdourahamane Tiani, ha annunciato in diretta tv, previo arresto del presidente in carica Mohamed Bazoum, il rovesciamento del regime e del governo Nigeriano. Questo golpe è, secondo alcuni, frutto dell’instabilità economica, sociale e politica che da tempo si era insediata in Niger. Secondo la testata giornalistica Al Jazeera, la causa più nello specifico potrebbe essere l’aumento del costo della vita e la corruzione dilagante negli apparati governativi. Il colpo di stato ha in realtà un precedente: il tentativo fallimentare di spodestare Bazoum dal governo, avvenuto pochi giorni dopo il suo insediamento.

Il Niger è rilevante per la sua posizione strategica, simbolo delle rotte migratorie e per la sua centralità nell’espansione del jihadismo internazionale. Difatti, fino a qualche mese fa, era uno dei pochi, se non l’unico, statodemocratico all'interno della regione del Sahel. Ciò provoca delle conseguenze notevoli, che incrinano in modo irreversibile il legame tra il Sahel, l’Unione Europea e le democrazie internazionali (Globally, ISPI). Il golpe ha trovato appoggio da parte di Stati che già in precedenza hanno vissuto la stessa condizione (come il Burkina Faso e il Mali). Tuttavia, dall’altra, ci sono l’ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale) e l’AU (Unione Africana) che si sono dichiarate pronte, in caso di continuazione del conflitto, ad aiutare il Niger nel sventare un escalation militare ancora più dura. Il colpo di stato ha preoccupato anche le potenze europee che vedono l'entrata dei golpisti al potere come una possibilità di riavvicinamento da parte del Niger alla Russia (come accaduto in Mali e Burkina Faso). Tra gli stati Europei, quello più coinvolto è, la Francia, che ha da sempre mantenuto i legami con la sua ex- colonia, tramite accordi culturali, economici e di carattere militare, con la presenza di più 1500 soldati nel territorio del Niger (Ministère de l’Europe et des affaires étrangères).

Il 24 settembre 2023, il Presidente Macron ha annunciato il ritiro delle truppe francesi sul suolo nigeriano, disposte inizialmente per continuare a collaborare nell’unico regime democratico rimasto in Sahel contro la minaccia jiadhista e per non lasciare completamente scoperte le ex colonie francesi. L’11 ottobre è stata espulsa la coordinatrice delle Nazioni Unite che, secondo il neo-governo, “ostacolerebbe il riconoscimento internazionale”. I media internazionali hanno spostato l’attenzione su questioni di politica internazionale ritenute più importanti: Abdourahamane Tiani “l’uomo forte” del Niger, rimarrà ancora al governo (Euronews).

Il Gabon: una controtendenza

Le elezioni in Gabon avevano un vincitore assicurato: Ali Bongo Ondimba, in carica da ormai 14 anni, era pronto per svolgere il suo terzo mandato elettorale. Aveva infatti battuto il suo rivale Albert Ondo Ossa, con il 65% dei voti. Il 30 agosto 2023, poco dopo la conferma della vittoria elettorale, in diretta tv su Gabon 24, un gruppo di militari annuncia l'annullamento delle elezioni, lo scioglimento delle istituzioni e la chiusura delle frontiere (riaperte qualche giorno dopo). Questa scelta presa dal generale Brice Oligui Nguema, a capo della Guardia Repubblicana d'élite, è data da "un governo irresponsabile e imprevedibile che provoca un continuo deterioramento della coesione sociale che rischia di portare il Paese nel caos". Il nuovo presidente, il generale Nguema, ha promesso elezioni libere, democratiche e prive di irregolarità, la costruzione di una nuova costituzione e la creazione di istituzioni democratiche che aiutino il rispetto dei diritti umani. L’ex opposizione ha celebrato questo golpe perché si poneva fine a una scena politica dominata dalla presidenza Bongo, considerata, secondo alcuni, corrotta e detentrice di innumerevoli illegalità nel proprio governo.

Josep Borrell responsabile della politica estera Europea ha affermato che sebbene i colpi di stato non siano la soluzione, il governo di Bongo era effettivamente pieno di irregolarità. Attualmente, si sta definendo quello che sarà l’assetto della repubblica Gabonese. Il neo presidente Nguema per dimostrare la volontà di costruire un ponte tra il vecchio governo e il nuovo, ha eletto a capo delle due camere del parlamento, un ex leader dell'opposizione ma anche un ex leader del regime deposto (Agi, 2023). La nuova carta costituzionale, non ancora ufficiale promette come prima cosa che “il mandato del presidente di transizione, cioè Nguema, scade con l'investitura del nuovo capo di Stato eletto con elezioni libere e democratiche, anche se la scadenza non è fissata”.Potrà essere per il Gabon, l'occasione di diventare una potenza realmente democratica?

Le conseguenze in Europa

Come detto inizialmente, la regione del Sahel è fragile ed è ricca di punti deboli su cui soffermarsi. Questi colpi di stato nel 2023, sono il prosieguo di quelli avvenuti in Burkina Faso e Mali negli anni precedenti. In Sahel si può notare dunque un’instabilità dilagante, che come per effetto domino, ogni anno coinvolge una potenza centrafricana. Sebbene l’attenzione dei media sia durata poche settimane intorno a questi conflitti, causa guerra Russo-Ucraina sentita molto più vicina a noi, e i recenti fatti in Israele e Palestina, questi colpi di stato hanno avuto, seppur silenziosamente, ripercussioni in Europa.

L’Europa ha sempre sostenuto i principi della African Peace and Security Architecture (APSA) ed è stato uno dei membri fondatori della Sahel Alliance nel 2017. Negli anni, ha aumentato il suo impegno nella regione del Sahel per dei motivi ben specifici: in primis, il Sahel rappresenta un ponte tra il Nord Africa e la regione Sub Sahariana, questo significa che può essere un partner strategico sia per il controllo delle rotte migratorie sia per il controllo della sicurezza e della stabilità interna alla regione. Recentemente, con l’invasione Russa dell’Ucraina e la crisi energetica diffusa nel continente europeo, quest’area potrebbe anche rappresentare un partner energetico ed economico. Il Sahel quindi può avere un'influenza non indifferente nella stabilità tra il Mediterraneo e l'Africa (IAI, 2023).

Questi colpi di stato, rappresentano uno scacco alle ambizioni europee di cooperazione e collaborazione con gli Stati del Sahel. A partire dal golpe in Burkina Faso del 2022 fino a quello del Gabon nel 2023, i progetti di natura economica, sociale e politica hanno trovato un punto di rottura, portando allo stop di molti progetti e piani strategici. Josep Borrell, il rappresentante di politica estera per l’Unione Europea, in seguito al colpo di stato in Niger ha affermato: ”Un altro paese del Sahel che cade nelle mani di una giunta militare avrebbe conseguenze negative di vasta portata per l'Europa in termini di sicurezza, flussi migratori e equilibrio geopolitico di potere” ma anche ammesso che la politica europea nel Sahel non ha portato ai risultati sperati. Tra gli stati europei il ruolo più importante è stato ricoperto dalla Francia, che ora più di prima, si vede tagliata fuori dalla cooperazione militare con gli eserciti interni del Sahel.

Conclusioni

Gli scenari che si aprono all’ UE nella regione del Sahel sono potenzialmente due. Il primo è lo stallo, in cui le giunte militari si affermano definitivamente alla guida . Questo porterebbe l’Europa a rivalutare la cooperazione con gli Stati centro africani, con distacco e meno disponibilità rispetto al passato, date le premesse poco democratiche dei golpe. Inoltre, anche altre potenze, che guardano con ambizione la zona del Sahel, come Russia e Cina, possono rappresentare rispettivamente un partner militare e commerciale per l’intera area, diventando dei competitor attivi dell’Europa nella zona. Il secondo scenario è quello della reinstaurazione delle democrazie. Allora l'UE potrebbe essere pronta ad accompagnare nella transizione democratica gli Stati per riavviare una cooperazione più stretta e duratura, ma con molta precauzione e controllo dell’effettiva democraticità.

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