Una generazione in guerra: il caso del gruppo "Fossa dei leoni" in Palestina

  Focus - Allegati
  17 novembre 2022
  12 minuti, 23 secondi

1. Una nuova formazione a Nablus

Secondo Tor Wennesland, Coordinatore Speciale per il Processo di Pace in Medio Oriente, il 2022 rappresenta uno degli anni più sanguinosi per i Palestinesi della Cisgiordania (United Nations Meeting Coverage and Press Releases, 2022). Quantificare il numero preciso delle vittime non è facile, dal momento che l’operazione “Beak the Wave”, lanciata ad aprile, è ancora in corso (Bulzomì, 2022). Tuttavia, le dimensioni di questa spirale di violenza, che ha coinvolto sia la comunità palestinese che quella israeliana, sono facilmente intuibili attraverso alcuni segnali. Uno di questi è la nascita di nuovi gruppi di lotta armata palestinesi, prontamente classificati come organizzazioni terroristiche da Israele. Soprattutto nelle zone più colpite dalle operazioni militari israeliane si è andata diffondendo una generale sfiducia nei confronti dei tradizionali gruppi armati, in primis Fatah e Hamas. E così nella città di Nablus in pochi mesi è venuto affermandosi il gruppo “Fossa dei leoni” (in arabo Arin al usud), attivo probabilmente dall’inizio dell’anno ma divenuto popolare durante l’estate (Al Jazeera, 2022).

2. Fossa dei leoni e questione generazionale

Secondo Al Jazeera, i primi membri del gruppo “Fossa dei leoni” eliminati dalle forze speciali israeliane sono stati eliminati l’8 febbraio 2022 (Al Jazeera, 2022). Poiché le notizie sul gruppo risalenti a quelle settimane sono piuttosto limitate, è possibile ipotizzare che all’epoca esso fosse ancora in fase embrionale o comunque non ancora completamente indipendente. In un’intervista concessa all’agenzia stampa israeliana Tazpit Press Service (TPS), un ex membro delle Brigate dei martiri di Al Aqsa e ora vicino al gruppo “Fossa dei leoni” ha affermato che il vero punto di svolta dell’organizzazione è stato il 9 agosto 2022 (Yadid, 2022). In quella data Ibrahim Al Nabulsi, personaggio-chiave delle Brigate dei martiri di Al Aqsa, fu colpito da un missile nel suo rifugio in una vecchia casa di Nablus. Nonostante la sua giovanissima età di 19 anni, Nabulsi era già un combattente rispettato per via delle sue qualità di coordinatore delle milizie della Samaria (che in Cisgiordania corrisponde ai distretti settentrionali del territorio) e per esser riuscito a scampare più volte alla cattura da parte delle forze di sicurezza israeliane.

L’eliminazione di Nabulsi, insieme all’arresto di Bassam Saadi, anch’egli dirigente di spicco proveniente dall’area di Jenin, portò ad una recrudescenza delle violenze che coinvolse anche l’area di Gaza. Nell’intervista per TPS, la fonte affermò che questi furono gli eventi che portarono “Fossa dei leoni” alla maturità, nonché al culmine della popolarità (Yadid, 2022). La prima apparizione ufficiale del gruppo risale al 2 settembre 2022, in occasione del funerale del suo fondatore Mohammed Al Azizi e di Abd Al Rahman Sobh, uccisi settimane prima dagli israeliani (Al Jazeera, 2022). A partire da agosto, “Fossa dei leoni” ha rivendicato l’uccisione di soldati e coloni israeliani. Inoltre, un loro piano per far esplodere due tubi bomba e avviare una sparatoria a Tel Aviv fu sventato nei primi di settembre (Joffre, 2022).

Malgrado la minaccia che esse pongono, non sono le attività del gruppo “Fossa dei leoni” a renderlo peculiare. Infatti le caratteristiche principali della formazione sono due. In primo luogo, essa è composta in grande prevalenza da esponenti della generazione Z (ragazzi e ragazze nati tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemiladieci), il cui mito è costituito proprio dalla storia di Ibrahim Al Nabulsi. Di tutte le fasce di età della popolazione palestinese, la generazione Z è probabilmente quella che non ha mai conosciuto un periodo di pace. A pochi anni se non mesi dalla loro nascita, i palestinesi della generazione Z hanno conosciuto gli orrori della guerra nella forma della Seconda Intifada e della conseguente Operazione Scudo difensivo, che comportò l’invasione militare israeliana della Cisgiordania. A seguito delle elezioni legislative del 2006, che videro l’affermazione di Hamas a Gaza e il conseguente blocco della Striscia che dura ancora oggi, i giovani palestinesi hanno potuto vedere quando divise fossero le fazioni politiche del loro Paese, nonché quanto questa frammentazione avesse conseguenze importanti nella vita di tutti i giorni. Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 essi hanno visto alla TV, quando non hanno vissuto sulla loro stessa pelle, i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, meglio noti come Operazione Piombo fuso. Uno scenario simile a quello del 2008/2009 si ripeté nell’estate del 2014 con l’Operazione Margini di protezione. Altri episodi di violenza diffusa si verificarono nel 2016 e nel 2008, culminando nei fatti del 2021, noti in Palestina come “Intifada dell’unità”, che provocarono una reazione israeliana nota come Operazione Guardiani delle mura. Ai loro occhi, la presente Operazione Break the wave altro non è che l’ultimo capitolo di una spirale di violenza che va avanti da quando sono nati.

Par contre, due sono le cose che la generazione Z palestinese non ha avuto modo di vivere alla stessa maniera delle generazioni precedenti: pace e democrazia. Per quanto riguarda la pace, l’unico vero spiraglio verso una soluzione definitiva del conflitto con Israele sono gli Accordi di Oslo, firmati nel 1993. Purtroppo, alla fiducia nei confronti di una pace permanente con Israele non è corrisposta l’instaurazione di un vero rapporto di fiducia da parte delle classi dirigenti israeliana e palestinese. Per questo motivo, nonostante gli evidenti progressi arrivati all’indomani di Oslo, gli accordi sono lentamente ma inesorabilmente falliti nel corso degli anni. L’esempio più evidente è stato lo scoppio della Seconda Intifada e l’assedio israeliano del Quartier Generale del Presidente palestinese Yasser Arafat a Ramallah, iniziato nel settembre 2002 e protrattosi per quasi tre anni. Malgrado siano diventati lettera morta sul campo, gli accordi di Oslo costituiscono ancora oggi l’ossatura del sistema di relazioni tra lo Stato di Israele e l’Autorità Palestinese. Ne sono una prova le poche ma significative iniziative di rilancio dei negoziati alle quali hanno partecipato i leader di entrambi gli stati. Tuttavia, nessun negoziato è riuscito a portare risultati significativo come quelli del 1993. Di conseguenza, un progressivo senso di sfiducia nei confronti di una seria prospettiva di pace permea ormai tutte le fasce della popolazione palestinese. La generazione Z è coinvolta in maggior misura in quanto nata all’indomani dell’esaurimento della fiducia nei confronti dei negoziati.

Parallelamente alla pace, i giovani palestinesi non hanno mai avuto l’occasione di entrare nel dibattito politico della loro comunità. Questo si deve a tre fattori: la corruzione, la repressione e la mancanza di elezioni. La corruzione ha da sempre avvantaggiato le famiglie più vicine ai centri di potere sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza, che hanno potuto godere di benefici economici e sociali a danno delle famiglie delle periferie. Secondo le indagini del Global Corruption Barometer del 2019 condotte in Palestina, il 62% degli intervistati affermava che la corruzione fosse in aumento rispetto all’anno precedente, mentre il 17% dichiarò di aver pagato una tangente nella stessa finestra temporale (Transparency International, 2019). Quanto alla repressione politica, anch’essa viene portata avanti sia dalle autorità di Gaza che da quelle di Ramallah indiscriminatamente. Nel corso degli anni sono state registrate violazioni della libertà di espressione e riunione, detenzioni arbitrarie, tortura e maltrattamenti da parte delle forze di polizia, così come sparizioni forzate e altri tipi di abusi (Amnesty International, 2021). Infine, la mancanza di elezione ha precluso ai giovani una delle poche vie per poter esprimere la loro opinione. Sebbene sia ancora possibile, anche se piuttosto difficile, votare a livello municipale, le ultime elezioni legislative palestinesi risalgono al 2006. Questa situazione ha permesso al Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, del partito Fatah, di restare al potere ben oltre il suo mandato, scaduto dal 2009. Uno spiraglio in tal senso sembrò aprirsi sul finire del 2020, quando Gaza e Ramallah si misero d’accordo per indire elezioni in entrambi i territori il 31 luglio 2021. L’iniziativa fu accolta con grandissimo favore dalla popolazione: il 93,3% degli aventi diritto al voto andò a registrarsi per poter votare a luglio (WAFA News Agency, 2021). Altrettanto grande fu il senso di frustrazione che si diffuse alla notizia che le elezioni non si sarebbero tenute. La ragione ufficiale addotta dal Presidente Abbas era che nessuna elezione si sarebbe potuta tenere se non vi avessero potuto prendere parte anche i cittadini palestinesi di Gerusalemme Est, annessa da Israele, che si rifiutò di permettere il voto. La ragione più verosimile era che sia Israele che Abbas stesso temevano l’avanzata degli islamisti di Hamas. Per questo motivo il senso di frustrazione era rivolto sia a Israele che alla leadership di Abbas.

Il senso di frustrazione nei confronti della classe dirigente sia politica che della lotta armata è ciò che dà origine alla seconda peculiarità del gruppo Fossa dei leoni, ovvero la sua indipendenza nei confronti dei tradizionali gruppi militanti. Secondo la fonte intervistata da TPS, il gruppo è composto da attivisti di Fatah che vengono coordinati da Hamas (Yadid, 2022). Secondo l’European Council of Foreign Relations, il gruppo non intrattiene rapporti ufficiali con le altre formazioni ma gravita piuttosto attorno al network locale “Battaglione Nablus”, che raccoglie membri di Fatah, Hamas e Jihad Islamica (European Council of Foreign Relations, 2022). La verità è ancora difficile da ottenere. Quello che è stato invece documentato è che a Nablus, la roccaforte del gruppo, non vengono mostrati simboli né di Fatah né di Hamas, ma solo di “Fossa dei leoni” (Luck & Abdulkarim, 2022). Il simbolo di Fossa dei leoni consiste in una mezzaluna rovesciata nera contenente il nome del gruppo in bianco che “abbraccia” la Moschea della Cupola della Roccia di Gerusalemme e la “protegge” con due fucili d’assalto che si incrociano al centro del registro superiore. Del tutto nuove sono anche le strategie di comunicazione del gruppo, che si avvalgono di social media popolari come TikTok e Telegram (Ben Kimon, 2022). La giovane età dei membri del gruppo insieme ai rapporti conflittuali soprattutto nei confronti di Fatah lo hanno reso un problema sia peer Israele che per l’Autorità Palestinese. Nel primo caso questo ha fatto sì che la formazione di Fossa dei leoni avvenisse all’oscuro delle forze di sicurezza dello Stato Ebraico, solitamente impegnate a monitorare le milizie tradizionali, Hamas in primis. Nel secondo caso esso ha accelerato la crisi di popolarità di Fatah, che si è vista da una parte contestata in una delle più importanti città della Cisgiordania, dall’altra subisce le pressioni degli israeliani, che chiedono la soppressione del gruppo (Middle East Monitor, 2022).

3. Conclusioni

La nascita e lo sviluppo di “Fossa dei leoni” pone diversi problemi sia a Israele che all’Autorità Palestinese. Per quanto riguarda Israele, la prospettiva di un nuovo gruppo armato che riscuote popolarità corrisponde ovviamente ad un incremento delle minacce potenziali alla sicurezza dello stato. Soprattutto all’indomani delle elezioni del primo novembre, che hanno testimoniato una netta affermazione di partiti di destra contrari alla creazione di uno stato palestinese indipendente, il livello di guardia si farà inevitabilmente più alto. La strategia usata in questo momento da Israele, che consiste nel lancio di diverse operazioni antiterrorismo a Nablus allo scopo di arrestare o uccidere i membri dell’organizzazione, non sembrano sortire gli effetti desiderati. Sebbene il nuovo capo di “Fossa dei leoni”, Wadih al Houh, sia stato ucciso in un raid il 25 ottobre, il gruppo continua a godere di grande popolarità (Abu Hasaneen, 2022)

Per quanto riguarda l’Autorità Palestinese, la vicenda di “Fossa dei leoni”, indipendentemente dal suo esito (molti membri stanno venendo arrestati dalla Sicurezza Preventiva mentre altri si stanno consegnando spontaneamente), certifica il crescente isolamento della leadership del partito Fatah. Un po’ più difficile è fare previsioni su ciò che l’ascesa del gruppo rappresenti per Hamas, anch’esso impegnato a sottrarre consenso da Fatah ma di certo non propenso a farsi largo al passaggio dei nuovi militanti, ancorché più giovani.

L’unica strategia per poter contrastare con successo il gruppo Fossa dei leoni consiste nel dare ai Palestinesi, soprattutto quelli più giovani, ciò che manca loro da parecchio tempo: la possibilità di esprimersi ed influenzare il processo decisionale. Ciò che sta succedendo a Nablus è un esempio di ciò che potrebbe accadere, e in certi casi sta già accadendo, nel resto della Palestina. Se Israele e l’Autorità palestinese continueranno a trascurare il problema e a puntare il dito l’uno contro l’altro, c’è un serio rischio che gli episodi di violenza aumentino. E in questo caso saranno entrambe le comunità a pagarne le conseguenze (Dekel, 2022).

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