Il nuovo Patto UE sulla migrazione e l’asilo

Focus


A cura di Cecilia Di Fulvio, Junior Policy Analyst e Laura Mariano Junior Policy Analyst

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Abstract

Il fenomeno migratorio è molto spesso percepito come una minaccia per la sicurezza pubblica, che deve essere necessariamente contrastato in quanto tale. La gestione del “problema” migratorio e l’individuazione di strategie che possano regolamentare e ridurre l’afflusso di migranti all’interno del territorio europeo sono quindi obiettivi centrali nelle agende politiche dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, che si cerca di perseguire mediante l’adozione di atti e misure rilevanti. È all'interno di tale quadro normativo che si colloca il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, un documento programmatico, presentato il 23 settembre 2020 dalla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen e adottato dal Parlamento Europeo il 10 aprile 2024, in seguito all’aggiunta di nuovi dettagli da parte del Parlamento stesso e del Consiglio. L’obiettivo dell’atto in questione consiste in una maggiore redistribuzione delle responsabilità tra gli Stati membri in materia di asilo, nonché il contenimento dei flussi migratori mediante la stipulazione di accordi di cooperazione con i Paesi di origine e transito. Tuttavia, fin dal principio esso ha evidenziato criticità da un punto di vista normativo e di implementazione. Pertanto, il presente lavoro si propone di analizzare tali aspetti in modo da fornire un quadro delle misure che gli Stati membri sono chiamati ad adottare, con particolare focus sul caso Italiano.
Il primo capitolo analizzerà il quadro normativo Europeo e le relative criticità, mentre le misure di attuazione saranno oggetto del secondo. Infine, il terzo capitolo fornirà una serie di raccomandazioni volte a limitare le “esternalità” del Patto.

Parole chiave: Migrazione; Diritti umani; Diritto Europeo; Accordi di partenariato

INDICE

Introduzione

1. Il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo nel quadro normativo europeo
1.1. I “pilastri” del nuovo patto europeo sulla migrazione
1.2. La gestione della dimensione esterna: la cooperazione con i Paesi terzi
1.3. Principio di solidarietà: analisi delle criticità
2. Strategie comuni di implementazione e il caso italiano
2.1. Il piano di attuazione comune del patto sulla migrazione e l’asilo
2.1.1. Gli elementi costitutivi: potenzialità e criticità
2.1.2. L’assistenza nell’implementazione
2.2. Focus sull’Italia: cosa dovrebbe cambiare?
2.2.1. Alternative al trattenimento
2.2.2. Tutela dei minori stranieri non accompagnati (MSNA)
2.2.3. Accesso a rimedi effettivi
3. Proposte per un regime migratorio più sostenibile
3.1. Accordi vincolanti con i Paesi terzi
3.2. Maggiore utilizzo dei corridoi umanitari
3.3. Focus sull’Italia: alternative al trattenimento
4. Conclusione

Introduzione

La gestione dei flussi migratori verso l’Europa meridionale è una questione centrale nell’agenda politica dell’Unione Europea e degli Stati membri. Infatti, dal 2014 ad oggi, sono stati numerosi coloro che hanno tentato di compiere il viaggio attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, a causa dei conflitti scoppiati in Africa e Medio Oriente e alla persistente violazione dei diritti umani registrati in questi territori (Amnesty International 2016). Tuttavia, in particolare dal 2020, il numero di migranti irregolari lungo tale rotta è aumentato significativamente, inducendo l’UE ad individuare strategie sostanziali per far fronte a tale fenomeno (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale 2024). In questo quadro si colloca l’adozione del Nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, proposto il 23 settembre 2020 dal presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen. Il nuovo Patto si colloca in un quadro normativo europeo in materia di migrazione e asilo già abbastanza ampio, in seguito all’adozione nel maggio 2015 della c.d. Agenda europea per la migrazione. Difatti, si rilevano diverse continuità tra l’agenda in questione e il patto oggetto della presente analisi, in quanto anche quest’ultimo, come il primo, si presenta come un documento programmatico che lascia irrisolti numerosi dubbi circa la tutela da destinare ai migranti (Borraccetti 2021). Più precisamente, il Patto si configura come la soluzione individuata dalla Commissione europea per migliorare le azioni dell’Unione Europea volte alla gestione del fenomeno migratorio, attraverso maggiori coordinamento e collaborazione a sostegno degli Stati membri particolarmente interessati da tale fenomeno, sulla base dei principi di equa ripartizione della responsabilità e solidarietà (Carta 2021). Il Patto è stato adottato con una comunicazione destinata alle istituzioni dell’Unione, al Comitato Economico Sociale Europeo e al Comitato per le Regioni. La pubblicazione dell’atto è stata seguita da una serie di documenti di diversa natura giuridica, come atti legislativi e raccomandazioni, finalizzati all’accelerazione dei tempi di approvazione di proposte sulle quali l’accordo è stato già trovato o era in via di perfezionamento (Borraccetti 2021). Il 10 aprile e il 14 maggio 2024, il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno rispettivamente adottato il nuovo Patto. Invero, gli obiettivi che l’atto qui protagonista si pone sono finalizzati al rafforzamento e all’integrazione delle principali politiche dell’Unione in materia di migrazione, asilo e gestione delle frontiere (Unione Europea, 2024a). Il presente elaborato si occuperà di analizzare i meccanismi principali, individuati dal Patto in questione, per ridurre il flusso migratorio verso l’Europa e ottimizzare le procedure di identificazione e valutazione della domanda di protezione internazionale di coloro che arrivano; inoltre, si evidenzieranno le criticità ad essi annesse. Più precisamente, il primo capitolo apporta un focus sulle strategie da attuare a livello europeo e dunque, sovranazionale; il secondo si concentra sull’ implementazione del Patto nell’ordinamento italiano e, infine, l’ultimo fornirà una serie di spunti volti ad ovviare le problematiche che emergono dall’atto in questione.

1. Il Nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo nel quadro normativo europeo

Il presente capitolo si occuperà di eseguire un’analisi generale sul sistema normativo in materia di migrazione nell’Unione Europea vigente al momento dell’adozione del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo. Il focus verterà su un approfondimento dei principi e innovazioni principali di tale documento e delle relative problematiche che ne emergono.

1.1 I “pilastri” del nuovo Patto europeo sulla migrazione

Nel Patto emergono quattro pilastri in materia di migrazione e asilo, tra cui: frontiere esterne sicure, procedure rapide ed efficaci, sistema efficace di solidarietà e responsabilità, e l’integrazione della migrazione nei partenariati internazionali. Nello specifico, le misure da adottare per il raggiungimento dei suddetti sono diverse e tra queste figurano: in primo luogo l’introduzione di un piano maggiormente accelerato di redistribuzione dei richiedenti asilo e del relativo sistema di ammissibilità; in seconda battuta, il miglioramento della gestione dei flussi migratori mediante il consolidamento di una stretta collaborazione tra gli Stati membri dell’Unione Europea maggiormente investiti dall’arrivo di migranti, data la loro posizione di frontiera, e i Paesi terzi di origine e di transito (come la Turchia o altri Paesi a sud del Mediterraneo); in aggiunta, il potenziamento dei canali di ingresso regolari, attraverso il rafforzamento del ruolo di Frontex e la stipulazione di accordi di rimpatrio e riammissione (De Pasquale 2020). Da tali obiettivi, è possibile evidenziare come l’oggetto del Patto sia perlopiù finalizzato alla lotta all’immigrazione irregolare e ai c.d. “movimenti secondari” all’interno del territorio dell’Unione, intraprendendo azioni volte al contenimento degli ingressi e al rimpatrio dei richiedenti protezione internazionale, i quali si vedranno rifiutare la domanda di protezione internazionale sempre più frequentemente. Poca attenzione, nel Patto, risulta invece essere destinata alla disciplina di un sistema di migrazione legale.

Gli strumenti individuati per la risoluzione del “problema migratorio” auspicano un miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia delle procedure previste nel sistema europeo di asilo e ad una maggiore uniformità nelle politiche degli Stati membri in materia. Si delinea nettamente l’inclinazione dell’Unione Europea verso una politica di contenimento dei flussi ed esecuzione di rimpatri: a tal proposito, la cooperazione con Stati terzi, di origine e di transito dei migranti, risulta fondamentale. Difatti, in mancanza di accordi di riammissione, il rimpatrio sarebbe difficile; inoltre, l’ingresso di uno straniero sul territorio di uno Stato determina l’avvio delle c.d. procedure di accoglienza, le quali ostacolerebbero l’allontanamento del cittadino in questione. Pertanto, alla luce di tali problematiche, la Commissione ha deciso di introdurre la procedura di pre-ingresso: essa prevede che coloro che sono presenti sul territorio dell’Unione in posizione irregolare devono essere trattenuti nelle zone di frontiera per un massimo di 10 giorni, in cui saranno sottoposti all’iter di identificazione e di classificazione, al fine di distinguerli tra richiedenti asilo (che dovranno fare richiesta di protezione internazionale) e migranti irregolari (che dovranno essere rimpatriati). Ma non solo, il nuovo Patto, dispone anche di una procedura accelerata nella valutazione della domanda di protezione internazionale da svolgersi alla frontiera: nello specifico, tale procedura sarà applicata a tutti coloro che provengono dai c.d. Paesi sicuri, cioè quelli in cui tasso di riconoscimento della protezione è inferiore al 20%; in caso di diniego, gli Stati possono assicurare ai ricorrenti un ricorso giurisdizionale che si esaurirà in un solo grado di giudizio e che avrà come oggetto sia il diniego sia l’allontanamento.

Nello specifico, le nuove previsioni legittimerebbero violazioni come: la finzione di non ingresso nel territorio dello Stato, del tutto incompatibile con il diritto di asilo; l’esclusione arbitraria dal diritto di asilo per coloro che hanno una determinata nazionalità, la cui domanda di protezione rischia di non essere valutata individualmente e accuratamente perché considerati provenienti da Stati “sicuri”; la persistente assenza di un obbligo di fornire informazioni comprensibili ed esaustive sul diritto di asilo prima dello screening; infine, il trattenimento arbitrario dei migranti durante l’espletamento delle procedure di pre-screening ed esame delle domande di asilo (ASGI 2021). Inoltre, anche in questa occasione, la Commissione ha lasciato ampia discrezionalità agli Stati favorendo prassi divergenti e discriminatorie: il vuoto normativo a livello sovranazionale comporta assenza di standard comuni sulle condizioni di trattenimento, cui conseguono inefficaci garanzie circa il rispetto della dignità umana (Celeoria 2021) .

1.2 La gestione della dimensione esterna: la cooperazione con i Paesi terzi

Uno dei pilastri designato dal Patto sulla migrazione e l’asilo per garantire una migliore gestione del fenomeno migratorio è il partenariato tra l’Unione europea e i Paesi terzi (Musmeci 2021). Martines (2021) rileva che la cooperazione con questi ultimi si concretizza nell’utilizzo di strumenti politici, quali dialoghi regionali, agende comuni per la migrazione e la mobilità, accordi di riammissioni e intese formali volti proprio a gestire la dimensione esterna del fenomeno migratorio. Tale collaborazione viene introdotta, dalla Commissione in questione, in termini di assistenza e trasferimento di risorse da parte dell’Unione agli Stati terzi al fine di ottimizzare il controllo dei propri confini e prevenire il rischio di un afflusso significativo di migranti irregolari lungo le coste dell’Unione Europea. Nello specifico, gli obiettivi che si cerca di perseguire tramite tali accordi di cooperazione sono: il supporto agli Stati che ospitano i rifugiati, la riduzione degli incentivi alle partenze irregolari rafforzando un sistema di migrazione legale e il contrasto allo sfruttamento dei migranti (De Pasquale 2020). Tuttavia, lo Stato, anche se vincolato da un accordo, può ostacolare il processo di riammissione, ritardandolo o anche impedendolo (ad esempio, può ritardare l’identificazione del migrante a causa di difficoltà o incapacità degli uffici consolari a eseguire un colloquio con il suddetto; non inviare la documentazione necessaria; non rilasciare documenti di viaggi) (Martines, 2021). Pertanto, a parere di Musmeci (2021), risulta ben evidente quale sia effettivamente l’obiettivo che la Commissione Europea tenta di raggiungere mediante la cooperazione con Paesi terzi: l’esternalizzazione della gestione dei flussi migratori. A tal proposito, sono state individuate nuove procedure sul piano dei rimpatri. Più precisamente, è stata proposta una nuova possibilità di rimpatrio accelerato rivolta al richiedente asilo o migrante irregolare che rientra in una delle tre fattispecie ratione personae rilevate dal Piano, obbligate ad espletare la nuova procedura di frontiera accelerata (Musmeci 2021). Esse sono: il richiedente che proviene da un Paese il cui tasso di riconoscimento di protezione internazionale è inferiore al 20%; colui che richiede asilo nascondendo informazioni o fornendone di false; il richiedente asilo che costituisce una minaccia per la sicurezza di uno Stato membro. Gli elementi negativi che Musmeci rileva sono inevitabilmente connessi al rischio di superficialità che può emergere nell’esame della domanda di protezione internazionale di tali soggetti e il rischio di non assicurare loro un’adeguata tutela dei diritti, tra cui il divieto di refoulement e il diritto alla libertà dello straniero. Ulteriore peculiarità è la connessione tra la cooperazione degli Stati terzi in materia di migrazione e l’impegno dell’Unione Europea in altri settori di interesse dei Paesi di origine e transito dei migranti, tra i quali figurano chiaramente: aiuti finanziari, politica commerciale e cooperazione allo sviluppo e che dipenderanno solo dall’effettivo risultato che la cooperazione apporta all’UE.

La ratio alla base di questa strategia è quella di indurre gli Stati terzi a collaborare in maniera efficace con l’UE in materia di rimpatrio, in cambio di un sostegno finanziario finalizzato all’ottimizzazione della gestione delle problematiche migratorie (Musmeci 2021). Un esempio a riguardo concerne le facilitazioni procedurali riguardo ai visti concesse dall’Unione a quei Paesi che, in cambio, avrebbero acconsentito alla stipulazione di accordi di partenariato in materia di riammissione. Le intese (informali) che l’Unione risulta propensa a concludere con tali Stati costituiscono una problematica ulteriore: Martines ritiene a tal proposito che le intese garantiscono, con la loro informalità e natura giuridica di soft law, un minore rischio sulla possibilità che le procedure di riammissione vengano ritardate dai negoziati per un accordo formale e sulla possibilità che i Paesi con i quali si ha intenzione di concluderle si rifiutino di vincolarsi formalmente (Martines 2021), ma che siano altresì una minaccia per i principi fondamentali alla base dell’ordinamento europeo, quali lo stato di diritto, la democrazia e l’equilibrio istituzionale. Inoltre, aspetto particolarmente significativo è la poca attenzione che viene riservata ai diritti dei migranti, i quali, alla luce degli accordi con Paesi terzi, potrebbero essere allontanati senza accertarsi della tutela che verrà loro effettivamente garantita. In relazione a tale punto, gli accordi che destano maggiore preoccupazione sono quelli conclusi dall’Unione con Paesi, quali la Turchia (Gatti 2016) o la Tunisia (Battaglia 2023), poco attenti al rispetto dei diritti umani in generale e di quelli dei migranti nello specifico.

1.3 Principio di solidarietà: analisi delle criticità

Nel Patto emergono anche nuovi strumenti solidaristici in materia di asilo, il cui fine risulta essere quello di alleggerire l’onere che grava sugli Stati membri dell’UE che si collocano alle frontiere esterne e che per tale motivo sono maggiormente coinvolti dall’arrivo di consistenti flussi migratori (Morgese 2021). Difatti, alla luce del c.d. “sistema Dublino”, spetta proprio a tali Stati (definiti di «primo ingresso») il compito di valutare le domande di protezione internazionale (2). In merito a tale punto, nel Patto si chiarisce che tutti gli Stati membri dovrebbero contribuire al principio di solidarietà in materia di asilo in funzione delle rispettive esigenze. La nascita dei meccanismi solidaristici disciplinati dal Patto risulta essere una conseguenza agli scarsi successi ottenuti dalla cooperazione con i Paesi terzi, lo screening di pre-ingresso e la procedura accelerata di frontiera finalizzati al contenimento dei flussi migratori. Essi però non sono obbligatori e consentono agli Stati membri di adottarli in maniera flessibile nei tempi e nei modi che ritengono maggiormente opportuni: contributi finanziari o alleanze con Stati terzi per ridurre i flussi alle frontiere, ricollocazione, invio di materiali o di personale etc (Consiglio dell’Unione europea 2024).

Il principio di solidarietà è generalmente applicato in tre ambiti: nella ricollocazione dei richiedenti protezione internazionale non soggetti alla procedura di frontiera; dei beneficiari di protezione internazionale a cui quest’ultima sia stata riconosciuta da meno di tre anni; richiedenti soggetti alla procedura di frontiera; dei cittadini di Paesi terzi in soggiorno irregolare; e, infine, dei soggiornanti irregolari per i quali il periodo di 8 mesi per il rimpatrio sponsorizzato è decorso infruttuosamente. Lo Stato di frontiera deve verificare a quale categoria appartiene il soggetto da ricollocare e trasmettere le informazioni a riguardo allo Stato di destinazione. Dopodiché, si accerterà che il medesimo non rappresenti una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico e infine, verrà adottata la decisione di ricollocazione nello Stato di destinazione. Qui, il richiedente asilo verrà sottoposto ad ulteriori accertamenti al fine di individuare lo Stato competente. In merito a tale procedura, il Patto, e in particolare la proposta gestione, prevede una forma di solidarietà finanziaria per gli Stati di destinazione e per quelli che eseguono il trasferimento. Il secondo ambito di applicazione delle misure solidaristiche è il rimpatrio sponsorizzato, quale alternativa alla ricollocazione: ad occuparsene è lo Stato sponsor (3) al fine di rimuovere i migranti irregolari dal territorio dello Stato beneficiario. In questo modo, tutti gli Stati membri saranno tenuti a contribuire alla stabilizzazione del sistema e al sostegno rivolto agli Stati membri sotto pressione. Le altre misure, invece, sono destinate allo sviluppo di capacità nei settori dell’asilo, dell’accoglienza e del rimpatrio, il sostegno operativo e la cooperazione con Stati terzi. Nello specifico, è previsto che gli Stati membri contribuiscano, sulla base dei principi di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità, alle attività in situazione di forte pressione migratoria.

Inoltre, Morgese provvede ad eseguire una distinzione tra i diversi meccanismi di solidarietà che operano in base a specifiche situazioni. In primo luogo, si osserva il funzionamento dei meccanismi da adottare in caso di sbarchi ricorrenti: essi si attivano qualora la Commissione rilevi all’interno della “relazione sulla gestione della migrazione” annuale, che uno o più Stati membri siano soggetti a sbarchi frequenti e alla gestione di richiedenti particolarmente vulnerabili. Entro due settimane dalla relazione, la Commissione richiede che gli Stati collaborino nella ricollocazione di individui non soggetti a procedure di frontiera, attuando un sostegno operativo e cooperando con Paesi terzi; successivamente, gli Stati in questione elaboreranno le misure disposti ad attuare, le quali, se ritenute insufficienti dalla Commissione, saranno corrette dalla suddetta così da garantire almeno il 50% di collaborazione degli Stati in tale ambito, da ricondurre nelle c.d. “riserve di solidarietà” alle quali attingere in caso di richiesta di intervento da parte di uno Stato bisognoso.

In secondo luogo, emergono i meccanismi per le situazioni di significativa pressione migratoria: essi si attivano in seguito alla richiesta dello Stato membro interessato o in seguito all’iniziativa della Commissione, che constatando la situazione migratoria critica di uno Stato specifico (Morgese 2021), informa il Parlamento Europeo, il Consiglio e gli altri Stati sulle misure solidaristiche che questi ultimi devono adottare. A loro volta, gli Stati dovranno specificare e sottoporre alla valutazione della Commissione, la tipologia e la quantità di misure che sono disposti ad adottare. Infine, la Commissione emanerà un atto di esecuzione indicando le misure solidaristiche e i tempi in cui attuarle.

Ultimo meccanismo rilevato è quello per le situazioni di crisi (Morgese 2021): in questi casi, gli Stati chiamati ad intervenire hanno solo una settimana per presentare alla Commissione i piani di risposta solidaristica che, tra l’altro, possono riguardare esclusivamente misure volte alle ricollocazioni e rimpatri sponsorizzati.

Le criticità che Morgese rileva concernono, prima di tutto, l’eccezionalità del principio di solidarietà rispetto al sistema di Dublino; inoltre, risulta evidente come siano sempre gli Stati di primo ingresso i principali responsabili delle attività di pre-entry screening, identificazione dei rischi per la sicurezza nazionale e la verifica dello Stato competente. E ancora, emerge un eccessivo potere discrezionale della Commissione che rischia di interferire con le intenzioni di collaborazione solidaristica degli altri Stati. Infine, un’importante criticità attiene alla scarsa attenzione posta sugli individui soggetti a tali numerose e significative operazioni.

2. Strategie comuni di implementazione e il caso italiano

Questo capitolo ha l’obiettivo di analizzare le misure di implementazione del Patto. In particolare, approfondirà le implicazioni del Piano di attuazione comune del patto sulla migrazione e l’asilo, emesso dalla Commissione il 14 giugno scorso (Commissione Europea 2024a), e la relativa traduzione nell’ordinamento italiano.

2.1 Il Piano di attuazione comune del patto sulla migrazione e l'asilo

Nella Comunicazione 2024/251 la Commissione Europea delinea le tempistiche e gli obiettivi legati all’ implementazione del Patto, che entrerà in vigore nel giugno 2026. Gli “elementi costitutivi per l'attuazione degli obblighi fondamentali del patto sulla migrazione e l'asilo” rappresentano la traduzione pratica degli atti legislativi che compongono il Patto, a cui si aggiungono linee guida sul sostegno operativo e finanziario per l’attuazione, sulla “dimensione esterna della migrazione” e sul monitoraggio della fase di transizione normativa. Pur trattandosi di un atto non vincolante, questo documento contiene riferimenti interpretativi utili per identificare le misure che gli Stati membri saranno chiamati a mettere in atto nei prossimi diciotto mesi. Gli elementi “Procedure di asilo eque, efficienti, e convergenti” (ndl, obbligatorietà delle procedure accelerate, decisione di rimpatrio simultanea al respingimento della domanda di protezione internazionale, l’inasprimento delle norme sulle domande reiterate, nuovo regolamento qualifiche), “Procedure di rimpatrio efficienti ed eque'" (ndl, favorire i rimpatri volontari e la cooperazione con Paesi terzi a tal fine) e “Far funzionare la solidarietà" (ndl, solidarietà obbligatoria e flessibile, situazioni di crisi) non saranno oggetto di ulteriore analisi, in quanto coperti dal precedente capitolo.

2.1.1 Gli elementi costitutivi: potenzialità e criticità

Gli obiettivi materiali che emergono dal piano di implementazione sono (I) il rafforzamento del contrasto all’immigrazione irregolare e ai movimenti secondari, (II) il ricorso ad alternative alla protezione internazionale, (III) l’armonizzazione delle tutele per i migranti appartenenti a categorie vulnerabili.

Dal punto di vista procedurale, gli Stati membri sono chiamati ad importanti sforzi amministrativi per adempiere ai requisiti di armonizzazione e razionalizzazione entro il termine del periodo transitorio. In termini di monitoraggio, la Commissione gioca un ruolo di primo piano fino all’entrata in vigore del Patto, per poi trasferire gli oneri più operativi all’EUAA (Agenzia dell’Unione Europea per l’Asilo).

Il primo elemento costitutivo riguarda l’adozione di Eurodac come sistema comune di informazione sui migranti e richiedenti asilo. Si tratta di un sistema di raccolta delle impronte digitali creato nel 2000, che nell’ambito del nuovo Patto ha l’obiettivo di facilitare l’attribuzione delle responsabilità degli Stati membri nell’esame delle richieste di asilo e la segnalazione dei migranti “irregolari”. Al netto delle sfide amministrative che l’adozione di questa piattaforma presenta, Eurodac potrebbe essere un valido strumento per rendere la cooperazione più agile, facilitando ad esempio il ricongiungimento dei minori non accompagnati. Il nuovo Regolamento Eurodac (2024/1358) prevede un periodo di conservazione dei dati dei migranti irregolari quadruplicato rispetto alla versione precedente (Euractiv 2024). Inoltre, le tutele della privacy dei minori sono state allentate: se precedentemente l’età minima per subire la captazione dei dati biometrici era fissata a quattordici anni, il nuovo Patto l’ha abbassata a sei, ed è prevista la possibilità di coercizione del minore in ultima istanza. Il Regolamento assicura che ciò venga eseguito nel rispetto delle norme europee sul trattamento dei dati (ndl, del GDPR) e della dignità umana sancita dalla Carta dei diritti e delle libertà fondamentali dell’Unione Europea. Tuttavia, tali misure sollevano dubbi di proporzionalità rispetto alle limitazioni del diritto alla privacy (Art. 52 della Carta).

Il secondo elemento “Un nuovo sistema di gestione dei flussi migratori alle frontiere esterne dell'UE” prevede l’armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di cui al capitolo 1, in particolare gli accertamenti di sicurezza e salute a cui tutti i migranti irregolari saranno sottoposti, e la procedura di frontiera obbligatoria per i soggetti che “probabilmente non necessitano di protezione internazionale, che rappresentano un rischio per la sicurezza o che tentano di ingannare le autorità” (Commissione Europea 2024a). L’obiettivo è lo svolgimento rapido ed efficace dei controlli e delle procedure di asilo o rimpatrio alla frontiera, alla luce delle strette tempistiche stabilite da queste ultime. In particolare, la Commissione raccomanda una disciplina sulla condivisione delle informazioni tra gli attori rilevanti che permetta la gestione integrata dei casi ove necessario, e protocolli volti alla limitazione del “rischio di fuga” che prevedano misure alternative al trattenimento. Sul piano delle capacità, l’elemento più rilevante è che gli Stati membri dispongano di strutture adeguate per effettuare gli accertamenti ed ospitare i richiedenti protezione internazionale per tutta la durata della procedura di frontiera (ndl, centri di accoglienza). Gli Stati membri dovranno disporre delle infrastrutture e risorse umane necessarie per gestire un numero di domande di asilo e rimpatri alla frontiera corrispondente alla “capacità adeguata”, calcolata lo scorso agosto dalla Commissione per ogni Membro (Commissione Europea 2024b). Quanto alle garanzie, il diritto ad un ricorso effettivo viene armonizzato ed è garantito l’accesso alla consulenza legale gratuita (Commissione Europea 2024a). Il ruolo dell’EUAA nel monitoraggio (ed eventualmente raccomandazione della sospensione) della procedura di frontiera per le famiglie con minori costituisce un valore aggiunto ma non una reale garanzia, in quanto non vincolante. Inoltre, l’applicazione del principio di non respingimento resta rimessa alle valutazioni degli Stati Membri.

Sul tema “Ripensare l’accoglienza”, l’evoluzione più significativa è visibile nell’armonizzazione delle norme sull’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, in base a cui gli Stati membri devono assicurare un’adeguata qualità di vita (ovvero il sostentamento, la salute fisica e mentale, e il rispetto dei diritti fondamentali) ai richiedenti, tenendo conto di eventuali esigenze di accoglienza particolari (ndl, compreso dei soggetti che saranno sottoposti alla detenzione negli hotspot). Ciò include la capacità di fornire accesso all’istruzione per i minori, alla formazione civica, nonché al mercato del lavoro dopo sei mesi dalla richiesta. Un altro aspetto dell’armonizzazione dell’accoglienza riguarda le misure per la limitazione dei movimenti secondari e lo sviluppo delle capacità per la ricollocazione. Dal punto di vista legislativo, oltre al recepimento della suddetta Direttiva gli Stati sono tenuti a prevedere alternative al trattenimento (ndl, detenzione) nell’ordinamento nazionale (Commissione Europea 2024a),
L’elemento (VI) “Un sistema equo ed efficiente: far funzionare le nuove norme in materia di competenza” dispone adeguamenti legislativi per recepire i nuovi criteri di ripartizione delle richieste tra gli Stati membri, in particolare la priorità da accordare ai ricongiungimenti familiari e il criterio delle qualifiche, in base a cui i richiedenti che hanno ottenuto diplomi o qualifiche professionali in uno Stato dell’UE saranno presi in carico da tale Stato. Queste novità hanno l’obiettivo di ridurre gli incentivi ai movimenti secondari (Commissione Europea 2024a).
Gli ultimi due elementi (4) prevedono garanzie per i richiedenti protezione internazionale e le persone vulnerabili. Particolare attenzione è riservata ai minori stranieri non accompagnati, che avranno diritto alla valutazione multidisciplinare dell’età e all’assegnazione di un tutore (entro 24 ore dall’identificazione) e di un rappresentante legale (entro 15 giorni dalla domanda di asilo). Inoltre, sarà implementato un quadro comune per i reingressi (di rifugiati riconosciuti o richiedenti protezione internazionale) e l’ammissione umanitaria (di persone vulnerabili) attraverso l’attuazione di un piano concordato dagli Stati membri per definire le priorità geografiche su base biennale (Commissione Europea 2024a).

2.1.2 L’assistenza nell’implementazione

La Commissione, attraverso il Piano di attuazione comune, offre agli Stati membri la possibilità di ricevere supporto da parte di esperti nei rispettivi quadri nazionali per individuare le aree che necessitano di maggiori interventi al fine di implementare gli elementi. Nove Paesi (6) beneficiano di questo strumento. L’Italia ha richiesto assistenza nell’implementazione di tutti gli elementi al di fuori di (I) Eurodac e (VII) “Far funzionare la solidarietà” (Eunews 2024).

In base a quanto riportato dai canali ufficiali della Commissione, le principali aree di intervento nel Paese riguardano l’elemento (VI) “Un sistema equo ed efficiente: far funzionare le nuove norme in materia di competenza”, nell’ambito di cui sono previste riforme legislative e relative all’organizzazione dell’Unità di Dublino. Inoltre, è previsto il potenziamento di alcune garanzie trasversali, in particolare per quanto riguarda l’accesso alla consulenza legale gratuita, le alternative al trattenimento e sulla tutela dei minori non accompagnati. A ciò si aggiunge l’obiettivo di creare un meccanismo indipendente per il monitoraggio dei diritti fondamentali (Commissione Europea 2024b).

La prossima sezione analizza gli aspetti del quadro normativo italiano sull’immigrazione che necessitano di riforme in maniera più sostanziale.

2.2 Focus sull’Italia: cosa dovrebbe cambiare?

L’ordinamento nazionale vede il c.d. “Testo unico sull’immigrazione” del 1998 come base portante del diritto sull’immigrazione, che negli ultimi vent’anni è stato modellato attraverso leggi disciplinanti varie materie, dai rimpatri ai MSNA (Normattiva 2024). Le attuali politiche migratorie si dispiegano lungo tre direttrici: esternalizzazione delle frontiere, attrazione di manodopera qualificata, “incoraggiamento” al rimpatrio. La conclusione di accordi di partenariato con Paesi terzi per la gestione dei flussi migratori verso l’Italia è stata la policy “bandiera” dell’attuale governo, sollevando pareri contrastanti a Bruxelles (ISPI 2024). Quanto al secondo aspetto, il c.d. “Decreto Cutro” (Decreto Legge n. 20/2023) ha introdotto la pianificazione triennale dei flussi di ingresso legale per i lavoratori (Art. 21,22), agevolando i soggetti provenienti da Paesi che hanno sottoscritto accordi bilaterali in materia. Lo stesso atto prevede l’aumento della capacità e dei tempi di trattenimento nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) da novanta giorni a dodici mesi (Art. 14). Inoltre, in sede di conversione in legge sono stati adottati i criteri previsti dal Patto in materia di procedure accelerate. La linea nazionale sugli accordi di partenariato e il potenziamento delle misure per favorire i rimpatri costituiscono chiari elementi di convergenza con il nuovo Patto, pur sollevando preoccupazioni di carattere umanitario nelle modalità di implementazione. Tuttavia, altri ambiti registrano incongruenze con gli “elementi costitutivi” sotto tre punti di vista, che saranno oggetto di approfondimento in questa sezione.

2.2.1 Alternative al trattenimento

Come anticipato, la l. 50/2023 estende l’applicazione delle procedure di frontiera accelerate (introdotte dal c.d. “Decreto Salvini” nel 2018 per i soli richiedenti protezione internazionale “alla frontiera o nelle zone di transito”) ai migranti “fermati per aver eluso o tentato di eludere i controlli alla frontiera” o che “provengano da un Paese di origine sicuro”. La procedura deve essere svolta direttamente alla frontiera (o nella zona di transito) e la commissione territoriale deve decidere entro sette giorni. Nell’attesa della decisione, i richiedenti possono essere detenuti per un massimo di quattro settimane nei c.d. “hotspot” nel caso non abbiano consegnato il passaporto alle autorità o “non prestino idonea garanzia finanziaria”. In altre parole, per queste categorie di migranti l’alternativa al versamento di una garanzia finanziaria (fissata a €4.938) è la detenzione. Sebbene gli esperti in materia (Passalacqua, Savino 2023) abbiano pareri contrastanti sui profili di incompatibilità della norma con il principio di proporzionalità previsto dalla Direttiva sull’accoglienza (Art. 8), la necessità di fornire alternative “meno coercitive” (Savino 2023) non viene messa in dubbio. Inoltre, la Comunicazione 2024/251 contribuisce a chiarificare i dubbi interpretativi: gli Stati membri devono “massimizzare l’efficacia” delle alternative alla detenzione (Commissione Europea 2024a).

2.2.2 Tutela dei minori stranieri non accompagnati (MSNA)

Le pratiche sulla tutela dei minori stranieri non accompagnati costituiscono un problema sistemico in Italia, come riconosciuto a più riprese dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CtEDU). Il quadro normativo delineato dalla “Legge Zampa” del 2017 assicura in maniera soddisfacente diritti fondamentali del minore quali il divieto assoluto del respingimento, l’equiparazione al minore italiano e il diritto all’assistenza legale a spese dello stato. Inoltre, le procedure di accertamento dell’età e dell’identificazione sono multidisciplinari, e la materia del permesso di soggiorno semplificata (Gazzetta Ufficiale 2017). Tuttavia, numerose criticità pratiche (prima tra tutte, la carenza di risorse ed infrastrutture per l’accoglienza) causano diffuse situazioni di precarietà, legate principalmente ad arretrati significativi nelle procedure sopra menzionate e al sovraffollamento delle strutture predisposte. Inoltre, la recente disposizione secondo cui i minori di età superiore a sedici anni possono essere collocati nei centri di accoglienza per adulti (D.L. n. 133/2023) ha sollevato notevoli criticità giuridiche, risultate nella condanna dell’Italia da parte della CtEDU per violazione degli Artt.3 (divieto di trattamento inumano o degradante) e 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Tuttavia, quest’ultima norma non contrasta con la Direttiva accoglienza (Unione Europea 2024b). Gli sforzi per l’implementazione del Patto in quest’area saranno piuttosto concentrati sull’adeguamento delle capacità organizzative e delle risorse, aspetti cruciali per adempiere alle tempistiche e modalità di assegnazione dei tutor e dei rappresentanti legali previsti (Commissione Europea 2024a).

2.2.3 Accesso a rimedi effettivi

L’ordinamento giuridico italiano garantisce il diritto a un ricorso effettivo contro le decisioni adottate in materia di protezione internazionale (7). In particolare, nel contesto delle procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato (8) è previsto l’esame equo ed individuale delle domande, nonché la possibilità per i richiedenti di presentare ricorso in caso di decisione negativa. Sul piano normativo, l’Italia adempie alle disposizioni del Patto riguardo l’accesso a rimedi effettivi in caso di decisioni di rimpatrio e all’esecuzione delle procedure di frontiera. Tuttavia, come per il punto precedente, la pratica presenta casi molto distanti dalla norma. Nel 2023, la CtEDU ha condannato l’Italia tre volte per non aver garantito l’accesso a rimedi effettivi a migranti detenuti nell’hotspot di Lampedusa in “condizioni inumane e degradanti” tra il 2017 e il 2019. Nonostante precedenti sentenze della Corte avessero scaturito una procedura di monitoraggio da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (conclusasi nel 2021), il giudice di Strasburgo ha rilevato che tali violazioni sussistono nonostante le riforme adottate nel periodo di chiusura (J.A. e altri c. Italia, A.B. c. Italia, A.M c. Italia 2023).

3. Proposte per un regime migratorio più sostenibile

Ciò che emerge dall’analisi effettuata è che le criticità del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo sono particolarmente significative e implicano conseguenze altrettanto rilevanti e perlopiù negative per gli individui che saranno i protagonisti di tali strategie a livello europeo e nazionale, ovvero i migranti. Pensare a soluzioni con l’obiettivo di ridurre i rischi che essi si vedano violati quei diritti loro dovuti per principio risulta particolarmente ostico, in quanto la gestione del fenomeno migratorio stessa è da sempre una tematica ricca di interrogativi e di difficoltà dal punto di vista normativo e pratico. Tuttavia, a partire dalle problematiche rilevate, è possibile cercare di individuare i punti su cui sarebbe ottimale cercare di apportare dei miglioramenti, garantendo una maggiore tutela dal punto di vista dei diritti umani. Questo capitolo avanza alcune proposte a tale scopo.

3.1 Accordi vincolanti con i Paesi terzi

In primo luogo, in merito alla cooperazione con Stati terzi, è emerso che la propensione dell’Unione Europea consiste nella volontà di concludere intese informali con Paesi che non garantiscono una soddisfacente attenzione per quei principi che nell’ordinamento europeo sono fondamentali: lo stato diritto, la democrazia, il rispetto dei diritti umani, la tutela delle minoranze. Una soluzione auspicabile potrebbe essere l’incremento da parte dell’UE alla stipulazione di accordi formali (piuttosto che di memorandum di intesa e dichiarazioni informali): in questo modo, si ridurrebbe l’elusione delle norme in materia di conclusione di accordi internazionali dell’Unione Europea (art. 218 TFUE) che prevedono una partecipazione attiva del Consiglio e del Parlamento Europeo, che invece, in tali accordi viene totalmente meno, evitando così di minare la democraticità dell’ordinamento giuridico europeo e migliorando la trasparenza verso i cittadini dell’Unione circa l’imputabilità di un atto da quest’ultima adottato. Inoltre, seppur risulterebbe difficile per l’UE sottrarsi alla stipulazione di accordi con Stati in cui è nota l’assenza di politiche inclini all’accoglienza e alla tutela dei diritti umani (come la Turchia, la Bosnia-Erzegovina, la Tunisia,...), si potrebbe sperare di rendere gli accordi con quest’ultimi vincolanti: in questo modo deriverebbe una maggiore facilità per l’UE di vigilare sulle misure adottate da tali Paesi in riferimento all’accoglienza dei migranti rimpatriati, minimizzando i rischi che questi ultimi possano attuare azioni discriminatorie in violazione di Convenzioni internazionali in materia di tutela dei diritti umani.

3.2 Maggiore utilizzo dei corridoi umanitari

Come evidenziato in precedenza, il Patto ha tra i principali obiettivi il contrasto organico all’immigrazione illegale. A questo proposito, si propone un utilizzo più sistematico di uno strumento che favorisce l’ingresso nel Paese dei migranti vulnerabili (9) in maniera legale e sicura: i corridoi umanitari. In questo contesto, per corridoi umanitari non si intendono i percorsi temporanei istituiti nelle zone di guerra per evacuare i civili, ma progetti realizzati attraverso accordi tra pubbliche amministrazioni (autorità ministeriali competenti) ed enti privati (organizzazioni della società civile) per favorire la migrazione legale di migranti ritenuti vulnerabili (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale 2024). Tra il 2016, anno della prima iniziativa, e la metà del 2024, il 90% degli ingressi nell’UE attraverso corridoi umanitari ha avuto luogo in Italia (Orso 2023). Questo strumento, finora numericamente marginale e geograficamente limitato nell’applicazione (10), detiene potenzialità inespresse che ben si conciliano con il nuovo Patto. In particolare, lo svolgimento dei controlli di sicurezza sui potenziali beneficiari da parte delle autorità statali risponde alle esigenze securitarie degli attuali regimi giuridici sull’immigrazione. Inoltre, sebbene l’attuale assenza di regolazione lasci alcune questioni aperte in merito alla definizione dei beneficiari, la ridotta prassi ha visto tra le categorie maggiormente rappresentate i rifugiati provenienti da zone di conflitto o situazioni di transito critiche, nonché famiglie e minori non accompagnati (Orso 2023). In tutti i casi, si tratta di categorie che rientrano nelle fattispecie della vulnerabilità o delle “particolari necessità” a cui il Patto accorda maggiori tutele (Commissione Europea 2024a). Questi strumenti prevedono anche un ruolo attivo dell’ente privato nel facilitare l’integrazione del migrante nella società ospitante. Considerando il successo registrato dai corridoi umanitari nella loro fase sperimentale, ne è auspicabile un utilizzo più frequente e diffuso, eventualmente accompagnato dalla definizione giuridica a livello comunitario.

3.3 Focus Italia: alternative al trattenimento

Se le altre criticità rilevate nel capitolo precedente possono trovare rimedio attraverso maggiori capacità e procedure adeguate, l’assenza di alternative accessibili alla detenzione necessita di soluzioni inedite. Nell’ambito di una sentenza che rigettava la richiesta di trattenimento di un migrante nell’hotspot di Lampedusa nel 2023, il Tribunale di Catania proponeva l’obbligo di residenza e di firma come alternative alla detenzione. La traduzione pratica di queste proposte sarebbe l’obbligo di residenza nei centri di accoglienza (o altri alloggi dedicati) e/o di presentarsi periodicamente presso una stazione di polizia o altra autorità designata. Seppur valide dal punto di vista giuridico, queste soluzioni presentano attualmente dei limiti nell’efficacia dati dall’assenza di un numero sufficiente di strutture adeguate e dalla diffusa carenza di soluzioni di trasporto per permettere ai migranti di raggiungere la sede di firma (Favilli 2023). Per quanto riguarda la garanzia finanziaria, tale misura potrebbe assicurare maggiore equità se resa progressiva in base alle risorse economiche del migrante (Favilli 2023). Dal momento che numerosi migranti provengono da Paesi carenti nelle pratiche di identificazione della popolazione e da sistemi bancari limitati, tale misura richiederebbe la predisposizione di parametri adeguati, nonché la valutazione ad hoc degli stessi, da parte delle autorità italiane (ad esempio, in base ad un esame delle necessità).

I limiti che queste proposte incontrerebbero sono legati alla scarsità delle risorse, soprattutto in termini di monitoraggio. A questo proposito, si propone una parziale esternalizzazione di questa funzione, sul modello dei corridoi umanitari: previ accordi ad hoc con le autorità italiane, l’esecuzione del monitoraggio in base ai criteri predisposti (e nel caso delle garanzie finanziarie progressive, la valutazione del singolo caso) sarebbe affidata ad enti privati competenti (ad esempio organizzazioni del terzo settore o enti religiosi che operano sul campo), garantendo una maggiore agilità operativa ferma restando la sovranità statale nella definizione del quadro regolatorio.

4. Conclusione

Questo lavoro ha tentato di chiarificare gli elementi essenziali di uno strumento legislativo di lettura complessa, in modo da offrire un quadro chiaro degli obblighi che comporta, nonché degli spunti di riflessione sulle misure da adottare per risolvere le criticità che presenta.
Le proposte presentate nell’ultimo capitolo auspicano ad un governo del fenomeno migratorio che bilanci maggiormente la gestione massiva richiesta dai grandi numeri con il rispetto dei diritti dell’individuo, con l’obiettivo di offrire soluzioni efficienti alle carenze sistematiche presentate dal quadro attuale. Assicurare l’applicazione del regime giuridico europeo nell’ambito degli accordi di partenariato e offrire soluzioni flessibili in base alle esigenze riscontrate sul campo non rappresentano esercizi puramente umanitari, ma soprattutto legati all’effettività nella gestione e al raggiungimento degli scopi indicati dal Patto. Gli accordi con Paesi terzi per l’esternalizzazione delle frontiere costituiscono un valido strumento per ridurre gli oneri dei Paesi di primo ingresso: l’implementazione delle tutele giuridiche europee ne garantisce l’effettività e la sostenibilità sul lungo periodo, prevenendo peraltro gli ostacoli giurisprudenziali che le violazioni del diritto comunitario sollevano. L’utilizzo sistematico di corridoi umanitari contribuisce alla diffusione di buone pratiche di integrazione, elemento fondamentale per contrastare i movimenti secondari. Infine, la creazione di alternative alla detenzione nei centri di accoglienza è un requisito giuridico essenziale del Patto. Questo policy paper contribuisce a dimostrare che la gestione dell’immigrazione attraverso pratiche sostenibili non solo è compatibile con gli scopi del nuovo Patto, ma ne contribuisce alla realizzazione.

(1) Questa nuova finzione giuridica considera le zone di frontiera come non facenti parte del territorio degli Stati membri, impedendo alle persone sottoposte ad accertamenti negli hotspot e alla nuova procedura di asilo di frontiera di muoversi sul territorio e di avere accesso a una tutela effettiva dei loro diritti fondamentali.

(2) L’art. 80 TFUE afferma che “[l]e politiche dell’Unione [concernenti tra l’altro l’asilo] e la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. Ogniqualvolta necessario, gli atti dell’Unione adottati in virtù del presente capo contengono misure appropriate ai fini dell’applicazione di tale principio”. Cfr. Morgese G., 2021.

(3) Lo Stato sponsor si impegna a sostenere un altro Stato membro (lo Stato beneficiario) che affronta una pressione migratoria significativa, assumendo la responsabilità di organizzare il rimpatrio dei migranti irregolari presenti nel territorio dello Stato beneficiario.

(4) (9) Nuove garanzie per i richiedenti protezione internazionale e le persone vulnerabili e monitoraggio potenziato dei diritti fondamentali, (10) Reinsediamento, inclusione e integrazione.

(5) Belgio, Estonia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo, Repubblica Ceca e Romania.

(6) Contrariamente alla situazione di pressione migratoria, quella di crisi si rileva da un’analisi della situazione migratoria dello Stato da parte della commissione riguardante il mese precedente.

(7) In ultimo, M.H. e altri c. Italia (2023)

(8) Che recepisce la Direttiva 2005/85/CE

(9) I beneficiari sono definiti ad hoc dall’ente privato.

(10) L’Italia ha accolto circa 6.500 persone tramite i corridoi umanitari, provenienti da Libano, Marocco, Etiopia, Niger, Giordania e Afghanistan. Altri Paesi partecipanti includono Francia (629 ingressi), Belgio (310), Andorra (22), Germania (18) e Svizzera (3).

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