Il sistema per lo scambio di quote di emissione dell’Unione Europea (EU Emission Trading System, o EU ETS) è stato il primo, e ad oggi il più esteso, mercato mondiale di CO2. È stato lanciato nel 2005 con una Direttiva che si proponeva di diminuire l’emissione di gas serra sfruttando le logiche di mercato (regolazione “cap-and-trade”), metodo considerato più efficiente delle normative cosiddette “command-and-control”, legate ad un’ottica puramente sanzionatoria, che si limitano a porre degli standard (sia di emissione, che di tecnologie da impegare nell’industria) per poi sanzionare chi li non li rispetta.
Opera secondo un principio semplice: le imprese interessate dal sistema (principalmente impianti industriali ad alto consumo energetico e compagnie aeree) ricevono un numero limitato di “quote di emissione”, che garantiscono di poter emettere una quantità di gas serra pari al tetto fissato ogni anno. Le quote, che gli Stati distribuiscono a titolo gratuito o attraverso delle aste, possono essere scambiate e vendute: questo crea vantaggi per le imprese che le comprano, autorizzate ad emettere di più, e per quelle che le cedono, che possono utilizzare la vendita come sistema ulteriore di finanziamento. Poiché il tetto di emissioni diminuisce ogni anno, ci si aspetta che nel 2030 le emissioni saranno inferiori del 43% rispetto al 2005.
Certo il sistema non è esente da critiche da parte di analisti, accademici e attori del mercato stesso, specialmente da quando gli obiettivi di decarbonizzazione si sono fatti sempre più ambiziosi: basti pensare che con il Green Deal l’Unione si è proposta di azzerare le emissioni entro il 2050. Ancora più di metà delle quote di emissione viene distribuita a titolo gratuito: nonostante la volontà europea vada nella direzione di applicare il più possibile il principio “polluter pays”, la grande quantità di quote ancora distribuite gratuitamente è forse il maggior ostacolo alla piena efficacia dell’ETS, che viene accusato di non rendere le emissioni di gas serra sufficientemente costose. Il prezzo di vendita delle quote di emissione tende a diminuire, anche se soggetto a fluttuazioni, perché la crisi economica del 2008 e l’implementazione di nuove tecnologie più efficienti hanno rallentato, in generale, la domanda di energia. Inoltre, solo il 45% circa delle emissioni prodotte all’interno dell’Unione è regolata da questo sistema, nonostante ne facciano parte tutti gli Stati membri oltre che Islanda, Liechtestein e Norvegia.
Uno studio del 2020 riporta che la diminuzione di CO2 attribuibile all’EU ETS è del 3,8% delle emissioni totali tra il 2008 e il 2016[1]. Un risultato, pur visibile, che non è sostanziale: sembra che gli sforzi più efficaci a livello politico e legislativo siano quelli che tendono a costruire un futuro low-carbon per l’industria e i consumi privati, supportando nuove tecnologie innovative e nuove azioni che portino in quella direzione (il Green Deal è, in questo senso, una politica ad ampio raggio).
Altri mercati di emissioni, comunque, sono attivi a livello mondiale, dalla Cina, che annuncerà a febbraio un nuovo sistema di controllo delle emissioni a livello nazionale, alle iniziative degli Stati Uniti per ETS regionali, al Canada.
In ogni caso, non è un anno qualunque per parlare di EU ETS: proprio nel 2021 inizia la cosiddetta “fase 4”, che durerà fino al 2030. In questa fase la Commissione ha proposto di revisionare il programma diminuendo le quote disponibili ad un tasso del 2,2% l’anno (invece che dell’1,74%), e di rivedere il sistema di allocazione di quote gratuite, utilizzando migliori target che prendano in considerazione produttività dell’impresa, benchmark per valutare l’innovazione tecnologica delle industrie e classificazione più precisa del tipo di emissioni.
Con le iniziative congiunte di Green Deal, revisione del mercato europeo delle emissioni e attraverso anche il supporto alla decarbonizzazione che dovrebbe arrivare con il Recovery Fund, l’Unione intende porsi come capofila nello sforzo internazionale per la low-carbon transition. Politiche forti in questa direzione anche a da parte degli Stati membri sono essenziali, e sarà necessario tenerne conto anche nella ricostruzione economica successiva alla pandemia.
a cura di Lidia Tamellini
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