Fast fashion: le magliette possono distruggere il pianeta?

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  Filippo del Monte Alia
  18 September 2023
  4 minutes, 38 seconds


Uno dei primissimi utilizzi del termine fast fashion è da attribuire a un articolo del New York Times datato 31 dicembre 1989. Il contesto era l’affermazione da parte dell’azienda Zara, allora quattordicenne, che il tempo trascorso tra la nascita di un’idea per un capo e l’arrivo di questo capo sugli scaffali dei negozi fosse di soli 15 giorni. La rapidità, sia nella produzione che nel consumo, di questi vestiti è infatti ciò che caratterizza quell’industria che ora è chiamata proprio con l’aggettivo utilizzato dall’articolo del New York Times. Un’ulteriore caratteristica di questi brand è il continuo rinnovo della propria collezione: il consumatore è pertanto costantemente stimolato grazie a un’offerta smisurata di capi sempre nuovi e che di conseguenza non risulta mai “noiosa” e porta il consumatore a comprare continuamente questi nuovi articoli grazie ai loro prezzi estremamente convenienti.

Sono trascorsi più di trent’anni dall’articolo del New York Times e ancora di più dalla nascita di Zara, che non è più il solo brand di fast fashion al mondo, ma fa parte di un’industria che vale miliardi e ha rivoluzionato il mondo dello shopping. Questi brand hanno fatto della parola trend il loro cavallo di battaglia. La produzione di nuovi articoli per soppiantare quelli troppo vecchi, infatti, si basa sullo studio attento delle mode temporanee dei giovani che desiderano acquisire o esprimere un’identità e integrarsi in un determinato contesto sociale. L’abbigliamento è da sempre un modo per esprimere sé stessi e l’appartenenza a un gruppo e il fast fashion, unito ai moderni sistemi di comunicazione che permettono la rapida diffusione di informazioni e la continua nascita di mode, permette di fare proprio questo a prezzi abbordabili.

Fast fashion spesso però viene utilizzato per evidenziare in maniera dispregiativa l’aspetto consumistico di cui questi brand hanno fatto il proprio forte. Rapidità, convenienza e varietà hanno infatti un prezzo che va ben al di là di quello scritto sul cartellino.

L’altro lato della medaglia

Si tratta infatti di un’industria bulimica, dove un abito viene acquistato e indossato solo per rispecchiare un determinato trend, e poi gettato via dopo pochi utilizzi, spesso anche dopo un solo utilizzo, per venire rimpiazzato da un altro e così via. Se non è una nuova moda a portare a termine la vita del prodotto ci pensa la scarsa qualità con cui è stato confezionato a fare sì che dopo breve tempo, si parla di addirittura 10 lavaggi in alcuni casi, il capo si rompa o si usuri a tal punto da venire buttato via.

Non c’è da sorprendersi se un’industria che è caratterizzata dalla produzione continua e su vasta scala di prodotti pensando solamente a tenere bassi i prezzi venga criticata per via degli enormi danni ambientali ad essa riconducibili.

La globalizzazione è un fattore fondamentale per l’industria del fast fashion, senza il quale non sarebbe potuta diventare quello che è oggi. Si tratta infatti di un settore che si è ramificato a tal punto nel mondo da avere una catena di approvvigionamento che tocca più continenti, portando con sé numerosi danni all’ambiente. Sono necessarie materie prime come cotone, fibre sintetiche e coloranti, ciascuna prodotta in uno o più paesi diversi da quello in cui il capo viene materialmente assemblato, che spesso poi è anche qui più di uno solo.

Con tutti questi spostamenti che precedono l’arrivo nei negozi è di conseguenza necessaria una catena di trasporti impressionante per garantire l’efficienza del processo, che si traduce in una quantità importante di emissioni di CO2. Questa quantità potrebbe essere destinata ad aumentare siccome, con l’aumento dell’online shopping grazie ad aziende come Shein, per garantire una consegna ancora più rapida del prodotto finito è stato registrato un aumento delle spedizioni effettuate tramite aerei, invece delle tradizionali navi container. Alcune ricerche affermano che spedire soltanto l’1% dei prodotti in aereo causa un aumento del 35% delle emissioni di gas serra nell’atmosfera.

Le emissioni causate dal settore non sono solamente dovute a quelle dei trasporti, ma naturalmente anche alla produzione materiale dei capi. In questo caso le stime sono molteplici, ma si tratta comunque di cifre importanti: uno studio di Quantis, infatti, sostiene che nel 2016 l’8,1% delle emissioni di gas serra globali fossero riconducibili al fast fashion; un altro studio invece parla di un allarmante 14%.

Una delle risorse più importanti per la produzione di abiti a basso costo è l’acqua: solo nel 2015 sono stati consumati 79 miliardi di metri cubi di acqua, con un rapporto di 200 tonnellate di acqua per una tonnellata di vestiti, la maggior parte della quale viene impiegata nella coltivazione del cotone. Per la produzione di una sola T-shirt, infatti, il 90% della quantità di acqua necessaria alla produzione della maglietta è impiegata nella coltivazione del cotone.

Il 60% della produzione globale di tessuti è destinato al settore della moda, di cui il 51% è costituito da tessuti sintetici, prevalentemente il poliestere. L’utilizzo su larga scala di tessuti sintetici causa il rilascio di microplatiche, soprattutto nelle acque marine, a causa dei frequenti lavaggi di questi capi di scarsa qualità. Secondo un articolo di Greenpeace, infatti il 30% dell’inquinamento da plastica dei mari e degli oceani sarebbe da attribuire proprio alle microplastiche.

Fonti utilizzate nell’articolo:

https://unsplash.com/it/foto/ojZ4wJNUM5w

https://www.nytimes.com/1989/12/31/style/fashion-two-new-stores-that-cruise-fashion-s-fast-lane.html

https://www.nytimes.com/2022/06/22/learning/how-fast-fashion-became-faster-and-worse-for-the-earth.html

https://digitalcommons.bard.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1033&=&context=senproj_f2016&=&sei-redir=1&referer=https%253A%252F%252Fscholar.google.nl%252Fscholar%253Fhl%253Dit%2526as_sdt%253D0%25252C5%2526as_vis%253D1%2526q%253Dhow%252Bmuch%252Bdid%252Bthe%252Bfast%252Bfashion%252Bindustry%252Bgrow%2526btnG%253D#search=%22how%20much%20did%20fast%20fashion%20industry%20grow%22

https://www.researchgate.net/profile/Patsy-Perry/publication/340635670_The_environmental_price_of_fast_fashion/links/5f2960c4a6fdcccc43a8ca65/The-environmental-price-of-fast-fashion.pdf

https://www.greenpeace.org/international/story/6956/what-are-microfibers-and-why-are-our-clothes-polluting-the-oceans/

https://www.greenpeace.org/static/planet4-international-stateless/2018/01/6c356f9a-fact-sheet-timeout-for-fast-fashion.pdf

https://www.nytimes.com/2022/06/22/learning/how-fast-fashion-became-faster-and-worse-for-the-earth.html

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