In Ecuador i narcos regnavano già da qualche anno

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  Alessandro Dowlatshahi
  29 January 2024
  6 minutes, 13 seconds

In Ecuador i narcos regnavano già da qualche anno

Con l’inizio del 2024 l’Ecuador è piombato nel caos. Domenica 7 gennaio il capo di una delle più note bande di narcotrafficanti del Paese, Adolfo Macias, detto “Fito”, è evaso dalla prigione regionale di Guayaquil. Nel giro di poche ore, in diverse carceri ecuadoriane sono scoppiati focolai di rivolta e decine di agenti sono stati presi in ostaggio dai detenuti. La violenza ha quindi iniziato a deflagrare in varie città del Paese: secondo i media locali, i narcos hanno colpito ospedali e università, saccheggiato negozi e compiuto atti criminali nei confronti della popolazione.

In risposta ai disordini, l’8 gennaio il neo-eletto Presidente Daniel Noboa ha decretato lo Stato d’emergenza, con un coprifuoco notturno dalle undici di sera alle cinque di mattina. Il giorno seguente un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione nello studio televisivo di un’emittente locale, e ha preso in ostaggio giornalisti e tecnici mentre andava in onda una trasmissione pomeridiana. Milioni di ecuadoriani hanno assistito per circa trenta minuti alle violenze dei criminali. Dopo circa due ore, un blitz della polizia ha riportato la situazione sotto controllo: tredici persone, probabilmente appartenenti alla gang “Los Tiburones”, sono state arrestate a seguito dell’intervento degli agenti. A partire da questo episodio, Noboa ha deciso di mobilitare l’esercito per contrastare l’azione delle bande.

Il 18 gennaio è arrivata la contro-risposta dei narcos: César Suárez, il pubblico ministero incaricato di indagare sull’assalto allo studio televisivo, è stato freddato con un’arma da fuoco mentre viaggiava in auto a Guayaquil. Secondo i dati delle amministrazioni locali, sono almeno 13 le persone uccise a partire dal 7 gennaio. I disordini nel Paese, dunque, stentano a diminuire e non si esclude un’ulteriore escalation delle violenze.

Il silenzioso potere dei narcos in Ecuador

I fatti di inizio gennaio non nascono dal nulla. Come spiegato da Elena Basso, giornalista freelance esperta di America Latina, in Ecuador la situazione era già compromessa da tempo. La stampa internazionale, tuttavia, non ci aveva fatto caso. E solamente l’assassinio di Fernando Villavicencio, candidato presidenziale fatto fuori in un agguato lo scorso agosto, aveva riportato i riflettori su Quito dopo anni di sostanziale disinteresse nei confronti del Paese sudamericano. Di fatto, l’uccisione del politico ha permesso di svelare agli occhi del mondo lo strapotere detenuto dai narcotrafficanti in Ecuador, tanto a livello amministrativo quanto a livello militare. Ed è un dominio ottenuto grazie ad anni di corruzione della classe dirigente e infiltrazione dei criminali nelle più alte sfere di controllo politico.

Il mandato di Noboa, iniziato nell’ottobre scorso, si è aperto all’insegna del braccio di ferro con le bande armate. Il capo di stato ecuadoriano, 36enne centrista con forti idee neoliberiste, ha infatti dichiarato apertamente di voler intervenire con la forza per porre fine alla crisi di sicurezza nel Paese. Un pugno duro che, secondo Basso, ha causato la reazione dei narcotrafficanti e portato all’evasione dal carcere di “Fito” e ai conseguenti disordini in diverse città.

Chi sono i narcos in Ecuador

Come riportato dai media locali, in Ecuador operano le più pericolose organizzazioni criminali connesse al contrabbando di stupefacenti a livello mondiale. Oltre ai cartelli messicani e peruviani, è stato documentato che la ‘ndrangheta italiana ha ormai solide basi nel Paese, così come la mafia albanese. E pure gruppi di trafficanti di droga dalla Colombia si sono impiantati da tempo in alcune città ecuadoriane, probabilmente in seguito agli accordi di pace tra le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e il governo di Bogotà del 2016, che hanno spinto molte gang sudamericane a trovare una nuova base operativa. L’arrivo di questi gruppi nel Paese ha reso in breve tempo l’Ecuador uno dei punti più rilevanti nel continente per il commercio della cocaina diretta in Europa. La facilità con cui i narcos hanno attecchito nei nuovi centri di lavoro è da connettere alla poca esperienza posseduta da Quito nell’ambito della guerra agli stupefacenti. Di fatto, a differenza di altri Paesi della regione, l’Ecuador non ha quasi mai avuto problemi legati al narcotraffico nella sua storia recente, e quindi è privo di una struttura militare e politica capace di affrontare i cartelli più potenti al mondo. Ciò ha permesso alla criminalità di assumere rapidamente le redini dei principali apparati statali, corrompendo ed entrando in contatto con governatori, magistrati e capi militari.

Negli ultimi anni, i luoghi in cui operano i narcos a fini di reclutamento sono le prigioni. È all’interno delle mura dei centri penitenziari ecuadoriani, infatti, che i capi delle bande ingaggiano nuovi seguaci, spesso in maniera forzosa o in seguito a ricatti. Non solo: in molti casi le carceri fungono da quartier generale da cui i boss emanano direttive per coloro che sono all’esterno. Ed è possibile che all’interno di una stessa prigione lavorino due o più gang. Alla luce di ciò, come ha spiegato Basso, è possibile che i disordini avvenuti nel carcere regionale di Guayaquil a partire dal 7 gennaio siano connessi a regolamenti di conti tra bande rivali. In particolare, la fuga di “Fito” avrebbe creato le condizioni ideali per innescare degli scontri tra gang antagoniste, nel contesto di un’ampia guerra per il commercio di stupefacenti a livello mondiale. A fare le spese in questa situazione sono stati tanto gli altri detenuti quanto le guardie: secondo i media, in cinque carceri del Paesi oltre 200 tra prigionieri e forze dell’ordine sono stati tenuti in ostaggio per alcuni giorni, prima che la polizia riprendesse il controllo degli istituti con dei blitz.

Tra “vacuna” e “falsos positivos

In Ecuador i narcos operano in maniera non troppo diversa dalla mafia nel sud Italia qualche decennio fa. Chiunque abbia un’attività commerciale è tenuto a pagare una sorta di “pizzo” all’organizzazione criminale più influente nella zona. Tale estorsione prende il nome di “vacuna” (“vaccino”), in quanto garantisce protezione e sopravvivenza al soggetto che la subisce. Diversamente da quanto si possa pensare, concedere una parte dei propri guadagni alle bande dei narcotrafficanti risulta in molti casi più conveniente che affidarsi alla tutela dello Stato.

A riguardo, Basso riferisce di parecchi casi di “falsos positivos”, vale a dire cittadini comuni uccisi per errore dalle forze armate, che li avevano scambiati per criminali avendo essi opposto resistenza nel momento dell’arresto. In merito a queste morti innocenti, il governo ecuadoriano ha sempre tentato in ogni modo di assolvere i responsabili, insabbiando, inoltre, le voci attorno a queste esecuzioni attraverso un’attenta opera di censura della stampa locale.

Laddove, dunque, lo Stato fallisce in termini di sicurezza per la popolazione, la criminalità fa proseliti in maniera agevole. Questo è il caso di molti giovani che hanno aderito alla causa del narcotraffico per necessità economiche, riconoscendo nella via della delinquenza una risposta a fame e povertà. A testimonianza della capillare influenza della criminalità sul territorio, tanto a Quito quanto a Guayaquil sono presenti quartieri interamente gestiti da membri delle gang, che mettono a disposizione delle famiglie luoghi di istruzione per i propri figli e spazi di aggregazione sociale. Diventare solidali con i narcotrafficanti, in questo senso, risulta essere un’opzione opportuna e proficua per i molti cittadini ecuadoriani che si sentono abbandonati dallo Stato.

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Alessandro Dowlatshahi

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South America

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