La diplomazia a nozze: il matrimonio reale in Giordania

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  Sara Oldani
  18 June 2023
  7 minutes, 34 seconds

Lo scorso 1° giugno si sono celebrate le nozze tra Hussein bin Abdullah II, principe ereditario di Giordania, e Rajwa al Saif, architetta proveniente da una delle più influenti famiglie saudite. Il matrimonio reale, considerato uno degli eventi più importanti all’interno delle questioni dinastiche mediorientali, ha visto la partecipazione di ospiti illustri come capi di stato e di governo – regionali e internazionali – e stampa estera. L’avvenimento ha assunto carattere simbolico in quanto andrebbe al di là della semplice unione degli sposi, indicando invece un riavvicinamento tra il regno hashemita e la monarchia saudita.

In questa breve analisi, dunque, cercheremo di delineare le relazioni bilaterali tra i due Paesi e quali potrebbero essere le prospettive future e il ruolo della Giordania all’interno della più ampia cornice di distensione e rimodellamento dei rapporti di forza in Medio Oriente.


La cooperazione tra Giordania e Arabia Saudita: una ferma necessità

“La diplomazia non è il termine corretto per definire le relazioni tra Amman e Riad. Lo sono invece la lunga storia condivisa, la cultura omogenea e i valori promossi da entrambi i popoli”, così ha definito in un’intervista Samih Maaitah, l’ex ministro giordano della comunicazione e i media. Il legame tra i due Paesi, entrambi oggetto del protettorato britannico durante il periodo della colonizzazione, è da rilevarsi già nel 1945 all’epoca della fondazione della Lega Araba presso Il Cairo. Il modello di cooperazione “pan-araba” è stato poi ripreso nel corso dei decenni, ad esempio nel 1999 in merito al processo di pace in Medio Oriente nel tentativo di trovare una soluzione alla questione israelo-palestinese.

L’ Arabia Saudita attualmente è il primo partner commerciale della Giordania, con investimenti che ammontano a più di 13 miliardi di dollari (dati 2022) e assistenza finanziaria pari all’8% del PIL giordano. Inoltre, è stato anche firmato nel 2018 un Memorandum of Understanding tra Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait per l’invio di 2,5 miliardi di aiuti economici alla monarchia giordana al fine di risollevare la domanda interna, creare posti di lavoro e riformare il settore sanitario, nella cornice di una partnership strutturata tra il Paese e le monarchie del Golfo. Secondo Jamal Shalabi, professore all’Università Hashemita, la cooperazione economica saudita ha fatto un salto di qualità a partire dal 2020: si è passati infatti da un’assistenza di tipo “umanitario” a veri e propri investimenti diretti in settori chiave dell’economia, come infrastrutture strategiche e servizi. A questo riguardo si possono citare il progetto National Railway Network che prevede la costruzione di una linea ferroviaria di 418 km per collegare il porto di Aqaba alla zona sud di Amman (esso si dovrebbe estendere in futuro fino a Siria e Arabia Saudita) e la scommessa tecnologica su OpenSooq, applicazione giordana di e-commerce.

La nuova strategia economica saudita ha impatti rilevanti anche sui cittadini giordani, di cui 430 mila vivono proprio in Arabia Saudita. Le rimesse degli expats in Arabia Saudita sono cresciute da 16,4 milioni a 1,1 miliardi di dollari agli inizi del 2022 a beneficio del PIL e delle famiglie residenti in Giordania. Una Giordania più stabile è nell’interesse dell’Arabia Saudita, sia in ottica di un mantenimento dello status quo a proprio favore – attraverso l’impiego di soft power e investimenti economici – sia dei cambiamenti in corso in area MENA a livello internazionale e regionale. Alla luce di ciò, è evidente come le nozze reali non siano prive di significato e, anzi, siano cariche di risvolti politici e geopolitici.


La monarchia hashemita: piccolo regno in un contesto strategico

La Giordania, situata sulla sponda orientale del fiume Giordano, è uno Stato la cui superficie è di 89 mila km2 circa. La sua posizione geografica ha determinato l’interesse da parte delle grandi potenze, in primis gli Stati Uniti, e delle potenze regionali come l’Arabia Saudita con cui condivide la frontiera a sud-est. Gli altri confini, invece, non sono altrettanto pacificati, di fatti il regno ha dei vicini instabili dal punto di vista politico e/o securitario: a ovest la barriera naturale del mar Morto e del fiume Giordano lo dividono da Israele e dalla Cisgiordania occupata; a nord il confine siriano è elemento di preoccupazione per il governo giordano a causa del traffico di droga e di esseri umani; a nord-ovest l’Iraq rimane instabile per la presenza di cellule terroristiche latenti.

Alla luce di questo contesto, la Giordania ha assunto il ruolo di mediatore nelle crisi regionali, per evitare effetti spill-over sul suo territorio. In questo, la monarchia hashemita guidata dal re Abdullah II ha avuto la legittimazione necessaria per garantire al Paese stabilità e pacificazione interna, nonostante la crisi economica e la presenza di numerosi profughi palestinesi. La legittimazione in ambito internazionale è garantita, da una parte, dai buoni rapporti intrattenuti dalla monarchia con l’amministrazione britannica e americana, e dall’altra, dalla neutralità o equidistanza che la leadership giordana ha messo in atto anche a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Di fatti il governo giordano – ricordiamo che in Giordania vige una monarchia costituzionale, in cui tuttavia il re dispone di importanti poteri nel campo esecutivo e legislativo – non può prescindere da un dialogo con la Russia perché ne va della sua sicurezza nazionale circa la normalizzazione della Siria di Assad.

Elemento che interessa particolarmente anche alla monarchia saudita, la quale sta avviando un nuovo cammino della sua politica estera regionale sulla spinta del principe ereditario Mohammed bin Salman. Nell’ambito della Vision 2030, programma strategico di rinnovamento economico e culturale della monarchia del Golfo, vi sono gli obiettivi di un’integrazione economica regionale che, però, può essere garantita solo da una distensione dei rapporti tra i vari players. In questo senso può essere visto il progetto NEOM, proposto nel 2022, che permetterà uno scambio di energia solare e desalinizzazione delle acque del Mar Rosso a beneficio dello Stato giordano.

All’interno di questo progetto è presente anche un attore importante, lo Stato di Israele, con cui la Giordania ha un rapporto burrascoso, specialmente con il nuovo governo di Netanyahu e la coalizione di estrema destra. Nonostante le relazioni bilaterali di tipo economico siano importanti per lo sviluppo della Giordania, esse non si sono evolute in ambito politico: la monarchia hashemita, infatti, ha dichiarato di non voler partecipare agli incontri del Forum del Negev fino a che l’Autorità nazionale palestinese non deciderà di volervi aderire. Il ruolo della monarchia nella questione palestinese, dati i 2,2 milioni di palestinesi residenti in Giordania, è estremamente importante dato il fatto che il re Abdullah II è custode dei luoghi santi di Gerusalemme, tra cui la Spianata delle Moschee, per tradizione e per discendenza della dinastia da Maometto.


Un regno in crisi: quo vado?

Tali elementi hanno legittimato la monarchia hashemita nel corso degli anni, ma, a seguito della pandemia da Covid-19 e della guerra tra Russia e Ucraina, la situazione economica nel Paese è peggiorata ed è così aumentato il malcontento popolare. Nonostante l’aura di sacralità da cui sono avvolti i regnanti, il malcontento popolare dato dall’incremento del prezzo del carburante e dalla successiva inflazione, ha determinato proteste in numerose città. Secondo Arab Barometer, la fiducia dei giordani nei confronti della classe dirigente è crollata dal 72% nel 2010 al 31% nel 2022. Inoltre, lo scandalo circa il caso Hamza – fratello del re precedentemente designato come erede al trono – aveva creato preoccupazioni sia in ambito interno che internazionale. Il fratello, ancora agli arresti domiciliari, avrebbe infatti intentato nel 2021 un colpo di stato con l’appoggio dell’ex consigliere di Mohammed bin Salman per spodestare l’attuale re. Tale avvenimento aveva raffreddato fortemente le relazioni tra le due monarchie, con ingenti danni per il governo giordano che, come abbiamo sottolineato, dipende dagli aiuti e dagli investimenti sauditi.

Le nozze tra il principe giordano e la sua consorte saudita – imparentata con re Abdulaziz al Saud, fondatore dalla dinastia saudita e appartenente all’influente tribù Subai – sembrerebbero dunque una strategia per rafforzare i legami tra i due Paesi. Come affermato dall’analista Amer al-Sabaileh, i matrimoni nel mondo arabo hanno sempre una funzione diplomatica: la consorte di Abdullah II è una palestinese cresciuta in Kuwait e le nozze si sono tenute in un periodo storico in cui la questione palestinese era all’ordine del giorno, avente dimensione non solo politica, ma sociale. Così, attraverso il matrimonio con Rajwa al Saif, la Giordania vuole assicurarsi una connessione con l’Arabia Saudita, una risorsa per migliorare le relazioni tra i Paesi; la Giordania ha infatti bisogno di una relazione stabile con la monarchia del Golfo che costituisce un hub regionale fondamentale per le aspirazioni economiche del regno”.


Fonti consultate

R. OMARI, Saudi-Jordanian cooperation ‘a role model’ for the entire Middle East, in Arab News, https://arab.news/6czpf, 23/06/2022

M. SERRA, Giordania: un inverno caldo, Focus Mediterraneo Allargato n.1, ISPI, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/giordania-un-inverno-caldo-110820, 27/01/2023

L. STEPHAN, Entre la Jordanie et l’Arabie saoudite, un mariage princier et politique, in Le Monde, https://www.lemonde.fr/international/article/2023/05/31/entre-la-jordanie-et-l-arabie-saoudite-un-mariage-princier-et-politique_6175622_3210.html, 31/05/2023

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L'Autore

Sara Oldani

Sara Oldani, classe 1998, ha conseguito la laurea triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano e prosegue i suoi studi magistrali a Roma con il curriculum in sicurezza internazionale. Esperta di Medio Oriente e Nord Africa, ha effettuato diversi soggiorni di studio e lavoro in Turchia, Marocco, Palestina ed Israele. Studiosa della lingua araba, vuole aggiungere al suo arsenale linguistico l'ebraico. In Mondo Internazionale Post è Caporedattrice dell'area di politica internazionale, Framing the World.

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