La questione ucraina - Donbass

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  Matteo Gabutti
  09 March 2022
  7 minutes, 41 seconds

A settimane dagli eventi di Crimea del 2014, uomini armati presero d’assalto edifici governativi nelle principali città dell’Ucraina orientale. Questa volta la risposta del governo centrale di Kiev non si fece attendere, e gli scontri tra l’esercito regolare e le milizie separatiste iniziarono a mietere le prime vittime, con la Russia a fare da convitato di pietra. A maggio, gli autoproclamati governi di Donec’k e Luhans’k indissero plebisciti sulla propria indipendenza, per poi annunciare la nascita delle due Repubbliche Popolari del Donbass.

Formalmente parte dell’Ucraina, ma di fatto fuori dal controllo di Kiev, il Donbass divenne così teatro di una guerra a ritmi alterni che si sta protraendo da quasi otto anni. La regione è recentemente tornata al centro dello scacchiere geopolitico mondiale per il riconoscimento delle due Repubbliche da parte del Cremlino, alla vigilia dell’invasione russa dell’Ucraina.

In questo articolo riassumeremo dunque la crisi del Donbass sul piano del diritto internazionale, evidenziandone somiglianze e differenze rispetto alla Crimea.




Una posizione più sfumata

Il carattere filorusso delle regioni sud-orientali dell’Ucraina ha giocato un ruolo centrale nella loro opposizione a Kiev. Gli oblast’ di Donec’k e Luhans’k, infatti, registrano una presenza rilevante di etnie russofone, seppur non predominante come in Crimea. D’altro canto, nelle parole dello storico Hiroaki Kuromiya, “il tratto distintivo della storia politica del Donbass è lo spirito di libertà e indipendenza”, e gli autoctoni si sono mostrati ambivalenti verso Mosca.

Non è dunque scontato che la lotta secessionista delle autoproclamatesi Repubbliche si debba concludere con la loro annessione alla Federazione Russa. Infatti, le relazioni tra il Cremlino e i separatisti dal 2014 non sono sempre state idilliache, soprattutto inizialmente. Ad esempio, Mosca si mostrò molto più tiepida nel supportare la creazione di una Nuova Russia in Ucraina Orientale, evitando di esporsi come in Crimea. Inoltre, Putin faticò a direzionare le nuove autorità de facto della regione, invischiate in lotte e rivalità intestine. Ciononostante, la Russia aveva continuato ad aiutare militarmente i ribelli, incrementando via via il proprio controllo sulla regione fino ai risvolti più recenti.



Conflitti armati

Sarebbe incauto equiparare i ribelli con il Cremlino relativamente alla guerra del Donbass. A tal proposito, esperti di diritto internazionale ritengono che dal 2014 vi siano stati due conflitti armati: quello non-internazionale tra il governo di Kiev e i separatisti e quello internazionale tra Ucraina e Russia. Solo se i ribelli avessero agito “su istruzione, sotto la direzione o il controllo” della Russia, le loro azioni si sarebbero potute attribuire al Cremlino, ai sensi dell’Art. 8 dei draft Articles on State responsibility della Commissione del Diritto Internazionale. Almeno fino ai più recenti sviluppi, invece, il comportamento di Mosca – che consisteva essenzialmente nell’addestramento e rifornimento di armi per i separatisti – difficilmente superava tale soglia. Di conseguenza, il Cremlino non dovrebbe rispondere direttamente delle violazioni del diritto umanitario e di diritti umani imputabili a entrambi gli schieramenti del conflitto interno ucraino.

Ciononostante, come affermato dalla Corte Internazionale di Giustizia in Nicaragua, la mera assistenza costituisce comunque una violazione dei princìpi di non-uso della forza e di non-intervento. Una guerra di procura in Donbass, perciò, comporta per Mosca importanti responsabilità di fronte al diritto internazionale, a cui vanno aggiunte quelle legate al comportamento che le è invece direttamente attribuibile. Ancora una volta, diversamente dalla Crimea, Putin si è mostrato più cauto nel riconoscere il coinvolgimento dell’esercito russo; tuttavia, molteplici fattori testimoniano il diretto sostegno militare e amministrativo russo alle Repubbliche Popolari, con Mosca e Kiev che si accusano reciprocamente di bombardamenti transfrontalieri.

Agli interventi extraterritoriali si accompagnano poi gli schieramenti delle truppe al confine, giustificati dal Cremlino come semplici esercitazioni. Dall’insediamento di Biden a Washington, in particolare, si è verificata un’escalation delle tensioni tra Kiev, con il sostegno della NATO, e Mosca. I dispiegamenti di forze russe tra 2021 e 2022 sono stati interpretati dall’Occidente come monito di un’invasione su larga scala e, nonostante le smentite del Cremlino, la situazione è precipitata con il riconoscimento da parte di Mosca delle Repubbliche Popolari di Doneck e Luhans’k.




Autodeterminazione e riconoscimento

Il discorso di Putin del 21 febbraio scorso ricalca le linee adottate in Crimea. Vi è infatti il riconoscimento dell’indipendenza delle Repubbliche separatiste, nonché la firma di trattati di amicizia e assistenza che spianano la strada per un intervento russo basato su una sorta di teoria di remedial secession, e di presunte violazioni di diritti umani del governo di Kiev contro l’etnia russofona locale. Tuttavia, risulta difficile sostenere il diritto all’autodeterminazione dei separatisti per le ragioni addotte nell’articolo sull’annessione della Crimea: il Donbass non è un territorio non-autonomo, l’interessamento della Russia – culminato col senno di poi nell’invasione dell’Ucraina – appare decisamente in cattiva fede, e sembrano mancare gli estremi per una remedial secession.

Nonostante le atrocità della guerra civile ucraina si contino su entrambi i fronti, la retorica russa di un genocidio che mini l’esistenza stessa delle Repubbliche, tanto da giustificarne l’indipendenza come atto estremo di autoconservazione, suona poco convincente. Inoltre, questo riconoscimento durante bello – con il conflitto per il controllo del territorio ancora in corso –, costituisce un intervento negli affari interni ucraini, nonché una violazione dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina, come denunciato dal Segretario Generale dell’ONU.



Gli Accordi di Minsk

Visti gli ultimi sviluppi della questione ucraina, non si possono ignorare gli Accordi di Minsk. Il plurale è dovuto al fatto che il primo trattato, siglato nella capitale bielorussa tra Ucraina, Russia e separatisti nel settembre 2014, fu violato quasi subito. Pertanto, a febbraio 2015, sotto gli auspici dell’OSCE – Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa –, i leader di Mosca e Kiev, insieme a Merkel e Hollande, firmarono un nuovo accordo. I 13 punti di quest’ultimo ribadiscono le direttive del primo – cessate il fuoco, ritiro delle armi pesanti da entrambe le parti e di tutte le formazioni armate straniere… –, per poi estenderle. Prevedono infatti il riconoscimento dello status speciale degli oblast’ di Doneck e Luhans’k attraverso una risoluzione parlamentare e una riforma costituzionale su una più ampia decentralizzazione del potere.

Neanche Minsk II, tuttavia, è stato completamente implementato. Il cessate il fuoco è stato ripetutamente violato, il Cremlino non si è mai disinteressato della questione, e Kiev non ha concesso ai due oblast’ lo status speciale per salvaguardare l’unità nazionale. Pubblicamente, nessun leader ha rigettato gli Accordi, ma in pratica ogni fronte accusava l’altro di non rispettarli, con il conseguente aumento delle tensioni.

La recente invasione ha di fatto reso tali Accordi carta straccia. Eppure, fino all’ultimo è rimasta la speranza che i leader politici potessero stilare Minsk III, correggendo le mancanze dei precedenti per rimediare agli errori del 2014. Intanto, il 28 febbraio le delegazioni di Russia e Ucraina sono tornate a discutere, proprio in Bielorussia.

Fonti consultate per il presente articolo

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L'Autore

Matteo Gabutti

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Matteo Gabutti è uno studente classe 2000 originario della provincia di Torino. Nel capoluogo piemontese ha frequentato il Liceo classico Massimo D'Azeglio, per poi conseguire anche il diploma di scuola superiore statunitense presso la prestigiosa Phillips Academy di Andover (Massachusetts). Dopo aver conseguito la laurea in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Università di Bologna, al momento sta conseguendo il master in International Governance and Diplomacy offerto alla Paris School of International Affairs di SciencesPo. All'interno di Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autore per l'area tematica Legge e Società, oltre a contribuire frequentemente alla stesura di articoli per il periodico geopolitico Kosmos.

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Matteo Gabutti is a graduate student born in 2000 in the province of Turin. In the Piedmont capital he has attended Liceo Massimo D'Azeglio, a secondary school specializing in classical studies, after which he also graduated from Phillips Academy Andover (MA), one of the most prestigious preparatory schools in the U.S. After his bachelor's in International Relations and Diplomatic Affairs at the University of Bologna, he is currently pursuing a master's in International Governance and Diplomacy at SciencesPo's Paris School of International Affairs. He works with Mondo Internazionale as an author for the thematic area of Law and Society, and he is a frequent contributor for the geopolitical journal Kosmos.

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