Un nuovo ordine energetico è alle porte?

  Articoli (Articles)
  Redazione
  11 January 2023
  8 minutes, 36 seconds

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, membro del Comitato allo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Come conseguenza del conflitto russo-ucraino, l’intero mondo appare giunto ad un punto di grave flessione: i leader delle nazioni e interi gruppi aziendali hanno dichiarato l’aggravamento della deglobalizzazione e ipotizzato l’avvicinamento verso un nuovo periodo di stagflazione.

La stagflazione è una condizione economica nella quale sono contemporaneamente presenti nello stesso mercato sia un aumento generale dei prezzi (inflazione) che una mancanza di crescita dell'economia in termini reali (stagnazione economica).

Il mondo occidentale ha salutato il rinvigorimento dell’alleanza transatlantica e i paesi, specie quelli europei, stanno rivedendo quasi ogni aspetto delle loro politiche estere, tra cui la qualità degli aspetti commerciali, l’entità e finalità delle spese per la difesa (Germania) e l’efficacia delle alleanze militari. Altri significativi cambiamenti hanno passato in secondo piano un'altra sensibile variazione nel sistema energetico globale. Infatti, negli ultimi due decenni, la pressante necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica ha progressivamente rimodellato l'equilibrio energetico globale.

Ora, per effetto della guerra in Ucraina, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico è tornata in auge, unendosi al mutamento climatico come principale criticità per i decisori della politica interna ed estera. Infatti, una volta sommate, queste due priorità sono pronte a rimodellare la pianificazione nella produzione energetica nazionale, i flussi commerciali interstatali di energia e l'economia globale valutata in termini generali.

L’obiettivo attuale è quello di confluire in blocchi energetici costituiti tra stati ma di valenza strategica, di durata multi decennale e che sia basata su una maggiore interconnessione energetica. In alternativa si paventa di lasciare il posto a una pericolosa situazione caratterizzata da una fragile frammentazione energetica.

Il futuro ordine energetico mondiale sarà definito da qualcosa che pochi analisti hanno interamente valutato: il pieno intervento di ogni governo nel settore energetico su una scala che non si riconosce più nella memoria storica recente.

Dopo quattro decenni privi di una progettualità in campo energetico, i governi occidentali stanno ora riconoscendo l’obbligo (anche) politico di esercitare un’attività maggiormente positiva, articolata tra la riduzione e il ritiro totale delle infrastrutture indispensabili per l’estrazione dei combustibili fossili.

Guardando verso il futuro, quest’era nascente ad opera dell'intervento governativo non sarà del tutto negativa, ma solo se verrà gestita in maniera proficua e corretta.

Se adeguatamente limitato ed erogato su misura per compensare eventuali fluttuazioni di mercato, tale intervento potrà prevenire gli effetti peggiori secondari ai cambiamenti climatici, limitare molti rischi legati alla sicurezza energetica e sostenere le maggiori sfide geopolitiche del prossimo ed ineluttabile processo storico relativo alla transizione energetica stessa.

Le modalità con le quali i governi risponderanno a queste enormi sfide, tutte già esistenti ma messe in forte ed ulteriore risalto dall’ultima e ancora corrente crisi energetica, darà forma e consistenza al nuovo ordine energetico globale ancora per alcuni decenni a venire.

La storia

L’epoca delle crisi energetiche del 1970 è in parte dovuta ad alcuni provvedimenti governativi: ancora prima che sei membri dell'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) tagliassero la produzione e istituissero un embargo petrolifero contro gli Stati Uniti e più in generale l’intero Occidente, che invece sostennero Israele durante la guerra dello Yom Kippur del 1973, Washington reagì cercando di gestire attivamente i mercati petroliferi statunitensi.

Per tenere sotto controllo i prezzi, il presidente Richard Nixon adottò una serie di politiche specifiche. Nel 1971, nello stesso momento in cui la sua amministrazione pose fine al gold standard sul petrolio, impose una serie di controlli sui salari e sui prezzi anche su petrolio e gas.

Il 1970

La brutale invasione dell’Ucraina ad opera dell’esercito russo ha determinato una seconda profonda crisi energetica del tutto assimilabile a quella del 1970.

La crisi energetica innescata dall'invasione russa dell'Ucraina ha tutti i numeri per diventare la peggiore nell’ultimo mezzo secolo.

Anche se si evidenziano eclatanti differenze. In primis, l'economia globale ha compensato abbastanza bene e pertanto appare meno provata sotto il profilo energetico.

Gli economisti valutano un secondo parametro piuttosto significativo: la crescita economica ha superato l’incremento del consumo di energia, quindi il mondo ora utilizza meno energia per ogni unità di PIL.

Il che sta a significare che il “rendimento“ medio dei vari sistemi economici è aumentato e non il contrario.

In terzo luogo, oggi sono più numerose le compagnie petrolifere che distribuiscono petrolio a livello globale rispetto ai primi anni 1970, allorquando solo poche aziende controllavano più direttamente la maggior parte del mercato mondiale del petrolio. Una delle conseguenze è che le catene di approvvigionamento energetico sono ora più accessibili e durevoli.

Oltre al petrolio

L'attuale crisi energetica va ben oltre l’esclusivo commercio del petrolio e influenza, pertanto, una fetta molto più ampia dell'economia. Le fonti di energia di ogni tipo rischiano di essere sconvolte dalle turbolenze politiche di questa turbolenta fase storica.

La Russia non è solo il più grande esportatore mondiale di petrolio e prodotti petroliferi raffinati, ma anche il fornitore dominante di gas naturale in Europa e un importante esportatore di carbone e uranio a basso arricchimento utilizzato per alimentare le centrali nucleari, senza trascurare la disponibilità di molte altre materie prime.

Con i prezzi del carbone, della benzina, del diesel, del gas naturale e di altre materie prime tutti prossimi a livelli da record, un'ulteriore interruzione delle forniture energetiche russe, avviata dalla Federazione Russia o dall'Europa e accelererebbe l'inflazione.

Il precedente stress energetico internazionale

Ai fini di una più congrua interpretazione geopolitica, giova ricordare che il sistema energetico globale era sotto stress anche prima che il presidente russo Vladimir Putin ed il suo gruppo di potere decidessero di invadere militarmente l'Ucraina.

L'Europa e altre parti del mondo hanno affrontato problematiche relative alla produzione di energia poiché sempre più elettricità proveniva , anche in prospettiva, da fonti illimitate ma intermittenti come il solare e l'eolico.

Allo stesso tempo, anni di scarsi rendimenti energetici e maggiori pressioni climatiche avevano ridotto gli investimenti in petrolio e gas.

I problemi indotti alla catena di approvvigionamento legati al COVID-19 hanno aggravato la scarsità e contestualmente aumentato il prezzo di tutti i carburanti, specie del gas.

Le cose avrebbero potuto andare anche peggio, ma in soccorso è sopraggiunto il clima estivo ben più caldo del previsto in Europa e in Asia, che ha ben ridotto una parte della domanda di energia.

I mercati dopo l’inizio della guerra

Dallo scoppio della guerra in Ucraina, i mercati dell'energia sono divenuti ancora più volatili mentre i mercati del credito si sono ristretti, lasciando scarsa liquidità per sostenere l'ulteriore acquisto e la vendita di petrolio. Il primo risultato è stato che sia l'offerta che la domanda hanno subito drastiche e preoccupanti riduzioni.

Molti acquirenti si sono tenuti alla larga dal petrolio russo, preoccupati per il regime sanzionatorio bancario e finanziario occidentali comminato alla Russia anche sotto il profilo contrattualistico degli affari nell’export-import.

L'Agenzia internazionale per l'energia (IAE) stima già che la Russia stia producendo circa un milione di barili in meno al giorno, un numero che potrebbe salire se l'Unione europea seguisse il suo piano di vietare tutto il petrolio greggio e in aggiunta anche la benzina raffinata e il diesel russi entro breve tempo.

La speculazione che potrebbero esserci ulteriori sanzioni europee all'orizzonte, insieme alla riluttanza dell'OPEC a coprire il divario dell'offerta petrolifera russa persa, ha spinto i prezzi ancora più in alto.

I consumatori in Europa e altrove affrontano un'emergenza ancora più acuta a causa dei prezzi record del gas naturale. Tali prezzi sarebbero ancora più alti se non fosse per due potenti fattori che stanno almeno temporaneamente muovendo il mercato nella direzione opposta.

I lockdown indotti dal COVID-19 in Cina hanno gravemente intaccato la domanda globale di energia mentre gli Stati Uniti e i loro partner internazionali hanno consumato quantità senza precedenti di petrolio dalle loro riserve strategiche.

Attualmente, il volume occupato dalle scorte strategiche è sufficiente a colmare quasi totalmente la perdita dell’approvvigionamento russo.

Per cui, eventuali sanzioni aggiuntive da parte dell’Occidente avrebbero effetti di secondo e terzo ordine sul sistema energetico globale.

Le turbolenze vigenti nei mercati del gas naturale liquefatto, che sono già fluite sempre più verso l'Europa a causa dei prezzi più alti, oggi hanno lasciato anche l'Asia alla ricerca e realizzazione di fonti energetiche alternative.



Come sarà il futuro?

Con tali e tante variabili in corso, lo possiamo soltanto ipotizzare.

Forse il peggio deve ancora venire. Quando i lockdown cinesi dovessero allentarsi, la domanda di petrolio aumenterà, spingendo al rialzo i prezzi.

Lo stesso varrà per i prezzi del gas naturale, che a loro volta influenzano i prezzi dell'elettricità, industriale e civile, e del riscaldamento abitativo.

Sebbene il gas russo abbia in buona parte continuato a fluire verso l'Europa, Mosca ha tagliato le vendite in Finlandia, Polonia e Bulgaria; ha frenato le esportazioni attraverso l'Ucraina e verso una filiale di Gazprom sequestrata dalla Germania; e ha minacciato di tagliare le forniture a tutti i paesi europei che non pagano in rubli. Un taglio completo delle forniture di gas russo all'Europa è ancora improbabile, ma difficilmente impensabile, e probabilmente porterebbe a carenze, razionamento energetico e chiusura delle industrie ad alta intensità energetica.

La vittoria del carbone

Il carbone, un sostituto abbondante e relativamente economico del gas naturale, ha vinto.

La Cina e altri paesi hanno aumentato la produzione di carbone tra i crescenti timori di carenze energetiche globali, togliendo parte della pressione sui mercati globali del gas.

Senza l'aumento della produzione asiatica di carbone, l'Europa sarebbe meno in grado di far fronte alla perdita di gas russo.

Ma anche la maggiore dipendenza dal carbone ha spinto il suo prezzo a livelli record, lasciando i paesi a basso reddito come l'India e il Pakistan a lottare per soddisfare il loro fabbisogno energetico nel mezzo di ondate di calore mortali.

I prezzi elevati del gas naturale, utilizzato per produrre fertilizzanti, stanno anche facendo salire i prezzi alimentari, già in fase di aumento a causa delle interruzioni delle esportazioni agricole russe e ucraine. Tutti i protagonisti di questo caos produttivo e finanziario confidano che il 2023 potrà risolvere alcune di tali problematiche globali.

Share the post

L'Autore

Redazione

Categories

Ambiente e Sviluppo

Tag

Carbone sostenibilità