US counter-terrorism strategy in Libia. Segnali di un'espansione delle operazioni?

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  Redazione
  20 April 2018
  5 minutes, 32 seconds

A cura di Vincenzo Battaglia

Sabato 29 marzo gli USA hanno perpetrato il primo raid aereo contro alcuni militanti di Al Qaeda nel sud della Libia.

Il Comando africano degli Stati Uniti (AFRICOM) ha annunciato che in suddetta offensiva sono stati uccisi due combattenti jihadisti. Tra questi, è stato identificato Musa Abu Dawud, esponente di spicco di AQIM (Al Qaeda in the Islamic Maghreb) e noto all'intelligence americana per le attività di reclutamento e addestramento dei militanti qaedisti in Libia.

L'attacco, condotto mediante l'uso di droni, è avvenuto nella cittadina libica di Ubari, nel sud-ovest del paese; tale area geografica è considerata un notorio rifugio per Al Qaeda ed altre fazioni estremiste operanti negli stati limitrofi della regione del Sahel (Niger, Chad, Mali, Algeria). La località di Ubari, ritenuta uno strategico luogo d'incontro delle forze jihadiste, è stata il teatro di un sanguinoso conflitto scoppiato nel 2014 tra i gruppi etnici Tuareg e Tebu per il controllo delle attività illegali di contrabbando. Nonostante il recente accordo raggiunto tra le due parti belligeranti, le tensioni permangono e i fattori di instabilità sono molteplici. In particolare, mentre i Tebu hanno siglato un'alleanza con il governo di Tripoli (sostenuto dalla comunità internazionale), i Tuareg hanno rafforzato i loro legami con gli esponenti di AQIM sempre più coinvolti negli affari illeciti presso il confine meridionale libico.

L'offensiva americana assume dei connotati non poco rilevanti poiché è il primo intervento diretto contro i militanti di Al Qaeda nel sud-ovest della Libia; finora, il Pentagono aveva infatti indirizzato le proprie operazioni di counter-terrorism quasi esclusivamente contro gli avamposti e uomini dell'ISIS lungo le zone costiere settentrionali. Nel 2016 l'aviazione americana ha condotto circa cinquecento raid aerei presso l'area di Sirte, ex roccaforte dello Stato Islamico, nonché città che ha dato i natali a Mu'Ammar Gheddafi. Invece, dall'insediamento alla Casa Bianca di Donald J.Trump, il quale fin da subito ha tenuto una posizione politica disinteressata e defilata sulla crisi libica, si sono contati otto interventi aerei contro i militanti di Daesh.

Rispetto a quanto accaduto a Ubari, occorre chiedersi se l'iniziativa statunitense sia da considerare una semplice operazione finalizzata all'uccisione di due rilevanti profili di AQIM o se questa, possa intendersi come parte di una nuova e più estesa strategia militare di opposizione al terrorismo di matrice islamista nel nord-ovest del continente africano. Secondo alcuni esperti, tale intervento potrebbe segnare l'inizio di un'imminente espansione della campagna militare americana di contrasto al jihadismo in Libia - in particolare nel sud del paese, un'area geografica vasta, desertica, senza controllo, ove i combattenti islamici possono facilmente nascondersi, addestrarsi e ottenere armi da contrabbando.

La previsione di un possibile incremento delle operazioni statunitensi di counter-terrorism nel Nord Africa è avvalorata dai recenti sviluppi in Niger, ove nell'ottobre scorso hanno perso la vita quattro soldati americani a seguito di un'imboscata perpetrata da alcuni estremisti islamici. In risposta all'agguato subito, l'amministrazione Trump ha manifestato l'intenzione di riconsiderare il proprio impegno in Niger e il Pentagono ha predisposto nuove missioni militari (principalmente attacchi con droni) che avrebbero il proprio fulcro logistico a Niamey, capitale nigerina. Inoltre, gli USA stanno costruendo una base per i propri droni ad Agadez (a nord di Niamey) con l'obiettivo di potenziare le proprie attività di lotta al terrorismo in quest'area geografica.

Sulla base di quanto espresso finora, sembra pertanto possibile l'eventuale estensione degli impegni militari americani nel continente africano. Tuttavia, il Pentagono sta chiaramente tentando di oscurare le sue operazioni in Libia e nel resto dell'Africa nord-occidentale. Infatti, gli Stati Uniti non hanno tempestivamente annunciato la notizia del raid aereo, la quale è apparsa inzialmente in alcune testate giornalistiche libiche. Per di più, nella dichiarazione ufficiale dell'accaduto, rilasciata dall'AFRICOM molte ore dopo rispetto all'attacco e su sollecitazione del New York Times, non sono state fornite informazioni dettagliate e precise in merito alla vicenda. Solo nei giorni successivi il Comando militare africano degli Usa ha divulgato l'identità di Musa Abu Dawud, confermandone la morte. Mentre, per quanto concerne il secondo militante di AQIM ucciso nel raid, non è stata fornita alcuna informazione. Gli interrogativi sulla volontà degli Usa di offuscare le proprie azioni in questi territori, erano già sorti il mese scorso, quando è trapelata la notizia di quattro interventi aerei condotti dall'aviazione statunitense in Libia (sul totale di otto durante l'amministrazione Trump) nel periodo compreso tra settembre 2017 e gennaio 2018 - e non comunicati allora dall'AFRICOM.

Nonostante il chiaro tentativo degli USA di velare le proprie operazioni di anti-terrorismo nel teatro africano, il commento di Mark Cheadle, portavoce del Comando africano americano, lascia presagire la concreta possibilità di un allargamento del raggio di intervento nella Libia meridionale; egli ha infatti affermato che l'opzione del raid aereo deve essere certamente tenuta in considerazione, specialmente quando vengono individuati bersagli contro cui occorre intervenire. Il Col. Cheadle ha pertanto aggiunto che Musa Abu Dawud rappresentava un esponente altamente pericoloso di AQIM e per tale motivo l'offensiva contro quest'ultimo è stata necessaria, oltre che appropriata. Inoltre, è opportuno analizzare una specifica parte della dichiarazione rilasciata dall'AFRICOM qualche giorno dopo rispetto all'accaduto (la stessa in cui è stata individuata l'identità di Musa Abu Dawud come visto poc'anzi): "Al Qaeda ed altri gruppi terroristici hanno sfruttato i territori libici non sottoposti ad alcun controllo governativo per stabilire rifugi dai quali è possibile tramare, stimolare e dirigere attacchi terroristici", ha affermato il comando nella sua nota ufficiale. "Lasciare libertà d'azione a queste organizzazioni potrebbe causare ulteriori danni ai civili, alle forze speciali e agli interessi dei cittadini statunitensi e dei paesi alleati nella regione."

Dunque, la dichiarazione dell'AFRICOM e le parole del suo portavoce lasciano poco margine di interpretazione: gli Usa sono pronti a potenziare i propri interventi contro i militanti di Al Qaeda (e non solo) nel sud della Libia e in generale, nel nord-ovest africano. L' espansione di questa "Shadow War" (guerra fantasma), come definita dal New York Times perché tenuta in gran parte nascosta dagli organi militari americani, interessa fortemente diversi stati che negli ultimi mesi hanno incrementato il loro impegno nelle regioni del Sahel. Tra questi, oltre alla Francia, vi è l'Italia, che nel dicembre scorso ha proclamato l'avvio di una missione militare in Niger con il compito di addestrare e preparare le forze di sicurezza nigerine per combattere il traffico di migranti al confine con la Libia. Anche per tale motivazione, sarà interessante seguire gli sviluppi delle operazioni americane in questo contesto territoriale estremamente fragile che necessita di una pronta stabilizzazione.

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